Il Nome della Rosa romanzo storico scritto da Umberto Eco con ambientazione medievale.
Posted by Fausto Baccino
Posted on sabato, marzo 31, 2012
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Il nome della rosa è un romanzo scritto da Umberto Eco, edito per la prima volta nel 1980. Dopo aver scritto moltissimi saggi.
Eco decise di scrivere il suo primo romanzo, dopo alcuni anni di meticolosa preparazione, cimentandosi nel genere del giallo ed in particolare nel giallo deduttivo.
L'opera è ambientata nel Medioevo e viene presentata come il manoscritto di un anziano frate che ha trascritto un'avventura vissuta da novizio, molti decenni addietro, in compagnia del suo maestro presso un monastero benedettino dell'Italia settentrionale.
La narrazione, suddivisa in sette giornate, scandite dai ritmi della vita monastica, vede protagonisti Guglielmo da Baskerville, frate francescano, e il novizio Adso da Melk, il narratore della storia.
Dal romanzo è stato tratto nel 1986 un film omonimo per la regia di Jean-Jacques Annaud.
Il titolo provvisorio del libro, durante la stesura, era L'abbazia del delitto, poi Eco aveva pensato anche al titolo Adso da Melk (ma poi considerò che nella letteratura italiana - a differenza di quella inglese - i libri aventi per titolo il nome del protagonista non hanno mai avuto fortuna), per approdare infine al titolo Il nome della Rosa tratto dal motto nominalista che chiude il romanzo: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ("La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto nome: noi possediamo nudi nomi" - nel senso che, come sostenuto dai nominalisti, non possiamo cogliere l'essenza delle cose - diversamente da quanto sostenuto da Aristotele e dalla dottrina cattolica di san Tommaso d'Aquino).
Il titolo inoltre rimanda implicitamente ad alcuni dei temi centrali dell'opera: la frase stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ricorda anche il fatto che di tutte le cose alla fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo. Così è per la biblioteca e i suoi libri distrutti dal fuoco, ad esempio, e per tutto un mondo, quello conosciuto dal giovane Adso, destinato a scomparire nel tempo.
Ma in realtà tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare segni, "libri che parlano di altri libri", come suggerisce lo stesso Eco nelle "Postille al Nome della Rosa", le parole e i "nomi" attorno a cui ruota tutto il complesso di indagini, lotte, rapporti di forza, conflitti politici e culturali.
Nel prologo, l'autore racconta di aver letto durante un soggiorno all'estero il manoscritto di un monaco benedettino riguardante una misteriosa vicenda svoltasi in età medievale in un'abbazia dell'Italia settentrionale. Rapito dalla lettura, egli inizia a quel punto a tradurlo su qualche quaderno di appunti prima di interromprere i rapporti con la persona che gli aveva messo il manoscritto tra le mani. Dopo aver ricostruito la ricerca bibliografica che lo portò a recuperare alcune conferme oltre alle parti di testo mancanti, l'autore passa quindi a narrare la vicenda di Adso da Melk.
È la fine di novembre del 1327. Guglielmo e Adso si recano in un monastero benedettino di regola cluniacense sperduto sui monti dell'Italia settentrionale. Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i francescani - sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'imperatore Ludovico - e i delegati della curia papale, insediata a quei tempi ad Avignone.
I due monaci (Guglielmo è francescano e inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo perché Guglielmo è stato incaricato dall'imperatore di partecipare al congresso quale sostenitore delle tesi pauperistiche.
Allo stesso tempo l'abate, preoccupato che l'inspiegabile morte del giovane confratello Adelmo durante una bufera di neve possa far saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa su di lui, confida nelle capacità inquisitorie di Guglielmo affinché faccia luce sul tragico omicidio, cui i monaci - tra l'altro - attribuiscono misteriose cause soprannaturali. Nel monastero circolano infatti numerose credenze circa la venuta dell'Anticristo.
Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex inquisitore, altre morti violente si susseguono: quella di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e amico di Adelmo, e quella di Berengario, aiutante bibliotecario che aveva ottenuto illecitamente i favori del giovane Adelmo. Anche altri monaci troveranno la morte nell'abbazia, mentre i delegati del papa disputano con i francescani delegati dall'imperatore sul tema della povertà della Chiesa cattolica.
Guglielmo scopre che le morti sono riconnesse a un manoscritto greco custodito gelosamente nella biblioteca, vanto del monastero (costruita come un intricato labirinto a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante).
Nel monastero sono presenti anche due ex appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore, che parla una strana lingua. Remigio intrattiene un commercio illecito con una povera fanciulla del luogo, che in cambio di favori sessuali riceve cibo dal cellario. Anche il giovane Adso fa la conoscenza della ragazza e scopre così i piaceri della carne.
La situazione è complicata dall'arrivo dell'inquisitore Bernardo Gui, che trova la fanciulla insieme a Salvatore e prende spunto dalla presenza di un gallo nero, che la ragazza affamata avrebbe voluto mangiare, e di un gatto nero, per accusarli di essere cultori di riti satanici e responsabili delle misteriose morti. Dopo aver fatto torturare il povero Salvatore, che confessa il suo passato di dolciniano, Bernardo Gui - facendosi assistere dall'Abate e da Guglielmo da Baskerville - processa e condanna fra' Remigio, Salvatore e la fanciulla, dichiarandoli colpevoli delle morti avvenute nel monastero.
I personaggi, anche quelli minori, si offrono ad una doppia (alle volte tripla) lettura; alcuni sono di fantasia e altri realmente esistiti.
Fra' Guglielmo, oltre ad un medievale Sherlock Holmes, ricorda anche in maniera palese il filosofo francescano inglese Guglielmo di Occam, maestro del metodo deduttivo; peraltro, nelle citazioni l'autore inventa una fittizia discendenza discepolare di fra' Guglielmo da Ruggero Bacone, anch'egli filosofo d'Oltremanica tardo-medievale.
Infine, il paese di provenienza di Guglielmo si richiama a Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle, autore dello stesso Sherlock Holmes. Allo stesso modo Adso ricorda Watson, il non meno celebre aiutante di Holmes, ed entrambi sono narratori in prima persona dei fatti.
Alcuni epiteti di Jorge da Burgos sono direttamente tratti dagli strali lanciati dal doctor mellifluus Bernardo di Chiaravalle contro l'origine diabolica del riso. Il personaggio, peraltro, appare una riuscita caricatura di Jorge Luis Borges: ciò non soltanto per la comune cecità e per l'evidente assonanza dei nomi, ma anche per la diretta discendenza borgesiana dell'immagine della biblioteca come specchio del mondo e persino della planimetria poligonale con cui la biblioteca dell'abbazia è disegnata (cfr. La biblioteca di Babele).
L'ex dolciniano Salvatore - ed il suo grido "Penitenziagite!", con cui accoglie i nuovi venuti all'abbazia - ci riporta alle lotte intestine della chiesa medievale, alle volte anche sanguinose, tra i vescovi cattolici e il movimento degli spirituali, portato avanti dai seguaci di fra' Dolcino da Novara. La parola Penitenziagite è una contrazione della locuzione latina Penitentiam agite cioè fate la Penitenza, frase con cui, a detta di Bernardo Gui, il celebre inquisitore, nel suo trattato Practica Inquisitionis Heretice Pravitatis, i dolciniani ammonivano il popolo al loro passaggio.
Altri sono personaggi storicamente vissuti come il domenicano Bernardo Gui, Ubertino da Casale e Michele da Cesena, tutti primi attori della disputa francescana tra conventuali e spirituali del periodo del papato avignonese di papa Giovanni XXII e dell'impero di Ludovico il Bavaro.
Un'altra notazione può essere fatta sui luoghi dove sono ambientate le storie. Se da un lato Eco non rinuncia a situare l'abbazia nella sua terra natale (la zona di confine tra Liguria e Piemonte), nel nome Adso da Melk probabilmente subisce la suggestione di una delle più importanti biblioteche europee, quella appunto dell'abbazia benedettina di Melk, oggi in Austria, affacciata sul Danubio.
La tecnica con cui vengono assassinati i monaci è chiaramente ispirata dalla leggenda sulla realizzazione del "Jin Ping Mei" (金瓶梅; pinyin: Jīn Píng Méi), un romanzo della letteratura cinese del XVI secolo. Anche la fiaba intitolata Il pescatore venerando e l'arcigno ginn presente nella raccolta Le mille e una notte contiene la descrizione della stessa tecnica con cui i monaci venivano uccisi.
Il nome di Remigio da Varagine, ex dolciniano, può essere ricondotto al frate domenicano Jacopo da Varagine, scrittore in latino, che deve la sua fama ad una raccolta di vite di santi, tra le quali spicca la Legenda aurea, una versione della leggenda della Vera Croce, ripresa tra l'altro anche da Piero della Francesca per il suo ciclo di affreschi in San Francesco ad Arezzo (Storie della Vera Croce).
In un'atmosfera inquietante, alternando lunghe digressioni storico-filosofiche, ragionamenti investigatori e scene d'azione, Guglielmo e Adso si avvicinano alla verità penetrando nel labirinto della biblioteca e scoprendo il luogo dove è custodito il manoscritto fatale (l'ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele), che tratta della commedia e del riso. Alla fine, il venerabile Jorge, dopo la morte del bibliotecario Malachia, tenta di uccidere Guglielmo offrendogli il manoscritto dalle pagine avvelenate.
Ma Guglielmo lo sfoglia con le mani protette da un guanto, e allora il vecchio monaco, in un eccesso di fanatico fervore, divora le pagine avvelenate del testo in modo che più nessuno possa leggerle. Nel tentativo di fermarlo, Guglielmo e Adso provocano un incendio che nessuno riuscirà a fermare e che inghiottirà nel fuoco l’intera abbazia. Adso e il suo maestro partiranno infine da quelle macerie, in cui il giovane tornerà anni dopo, trovando la solitudine più totale, in quello stesso luogo che era stato teatro di omicidi e intrighi, veleni e scoperte.
Protagonisti.
Monaci dell'Abbazia
Personaggi minori
Delegazione pontificia
Delegazione imperiale (minoriti)
Eco decise di scrivere il suo primo romanzo, dopo alcuni anni di meticolosa preparazione, cimentandosi nel genere del giallo ed in particolare nel giallo deduttivo.
L'opera è ambientata nel Medioevo e viene presentata come il manoscritto di un anziano frate che ha trascritto un'avventura vissuta da novizio, molti decenni addietro, in compagnia del suo maestro presso un monastero benedettino dell'Italia settentrionale.
La narrazione, suddivisa in sette giornate, scandite dai ritmi della vita monastica, vede protagonisti Guglielmo da Baskerville, frate francescano, e il novizio Adso da Melk, il narratore della storia.
Dal romanzo è stato tratto nel 1986 un film omonimo per la regia di Jean-Jacques Annaud.
Il titolo provvisorio del libro, durante la stesura, era L'abbazia del delitto, poi Eco aveva pensato anche al titolo Adso da Melk (ma poi considerò che nella letteratura italiana - a differenza di quella inglese - i libri aventi per titolo il nome del protagonista non hanno mai avuto fortuna), per approdare infine al titolo Il nome della Rosa tratto dal motto nominalista che chiude il romanzo: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ("La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto nome: noi possediamo nudi nomi" - nel senso che, come sostenuto dai nominalisti, non possiamo cogliere l'essenza delle cose - diversamente da quanto sostenuto da Aristotele e dalla dottrina cattolica di san Tommaso d'Aquino).
Il titolo inoltre rimanda implicitamente ad alcuni dei temi centrali dell'opera: la frase stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ricorda anche il fatto che di tutte le cose alla fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo. Così è per la biblioteca e i suoi libri distrutti dal fuoco, ad esempio, e per tutto un mondo, quello conosciuto dal giovane Adso, destinato a scomparire nel tempo.
Ma in realtà tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare segni, "libri che parlano di altri libri", come suggerisce lo stesso Eco nelle "Postille al Nome della Rosa", le parole e i "nomi" attorno a cui ruota tutto il complesso di indagini, lotte, rapporti di forza, conflitti politici e culturali.
Nel prologo, l'autore racconta di aver letto durante un soggiorno all'estero il manoscritto di un monaco benedettino riguardante una misteriosa vicenda svoltasi in età medievale in un'abbazia dell'Italia settentrionale. Rapito dalla lettura, egli inizia a quel punto a tradurlo su qualche quaderno di appunti prima di interromprere i rapporti con la persona che gli aveva messo il manoscritto tra le mani. Dopo aver ricostruito la ricerca bibliografica che lo portò a recuperare alcune conferme oltre alle parti di testo mancanti, l'autore passa quindi a narrare la vicenda di Adso da Melk.
È la fine di novembre del 1327. Guglielmo e Adso si recano in un monastero benedettino di regola cluniacense sperduto sui monti dell'Italia settentrionale. Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i francescani - sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'imperatore Ludovico - e i delegati della curia papale, insediata a quei tempi ad Avignone.
I due monaci (Guglielmo è francescano e inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo perché Guglielmo è stato incaricato dall'imperatore di partecipare al congresso quale sostenitore delle tesi pauperistiche.
Allo stesso tempo l'abate, preoccupato che l'inspiegabile morte del giovane confratello Adelmo durante una bufera di neve possa far saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa su di lui, confida nelle capacità inquisitorie di Guglielmo affinché faccia luce sul tragico omicidio, cui i monaci - tra l'altro - attribuiscono misteriose cause soprannaturali. Nel monastero circolano infatti numerose credenze circa la venuta dell'Anticristo.
Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex inquisitore, altre morti violente si susseguono: quella di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e amico di Adelmo, e quella di Berengario, aiutante bibliotecario che aveva ottenuto illecitamente i favori del giovane Adelmo. Anche altri monaci troveranno la morte nell'abbazia, mentre i delegati del papa disputano con i francescani delegati dall'imperatore sul tema della povertà della Chiesa cattolica.
Guglielmo scopre che le morti sono riconnesse a un manoscritto greco custodito gelosamente nella biblioteca, vanto del monastero (costruita come un intricato labirinto a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante).
Nel monastero sono presenti anche due ex appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore, che parla una strana lingua. Remigio intrattiene un commercio illecito con una povera fanciulla del luogo, che in cambio di favori sessuali riceve cibo dal cellario. Anche il giovane Adso fa la conoscenza della ragazza e scopre così i piaceri della carne.
La situazione è complicata dall'arrivo dell'inquisitore Bernardo Gui, che trova la fanciulla insieme a Salvatore e prende spunto dalla presenza di un gallo nero, che la ragazza affamata avrebbe voluto mangiare, e di un gatto nero, per accusarli di essere cultori di riti satanici e responsabili delle misteriose morti. Dopo aver fatto torturare il povero Salvatore, che confessa il suo passato di dolciniano, Bernardo Gui - facendosi assistere dall'Abate e da Guglielmo da Baskerville - processa e condanna fra' Remigio, Salvatore e la fanciulla, dichiarandoli colpevoli delle morti avvenute nel monastero.
I personaggi, anche quelli minori, si offrono ad una doppia (alle volte tripla) lettura; alcuni sono di fantasia e altri realmente esistiti.
Fra' Guglielmo, oltre ad un medievale Sherlock Holmes, ricorda anche in maniera palese il filosofo francescano inglese Guglielmo di Occam, maestro del metodo deduttivo; peraltro, nelle citazioni l'autore inventa una fittizia discendenza discepolare di fra' Guglielmo da Ruggero Bacone, anch'egli filosofo d'Oltremanica tardo-medievale.
Infine, il paese di provenienza di Guglielmo si richiama a Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle, autore dello stesso Sherlock Holmes. Allo stesso modo Adso ricorda Watson, il non meno celebre aiutante di Holmes, ed entrambi sono narratori in prima persona dei fatti.
Alcuni epiteti di Jorge da Burgos sono direttamente tratti dagli strali lanciati dal doctor mellifluus Bernardo di Chiaravalle contro l'origine diabolica del riso. Il personaggio, peraltro, appare una riuscita caricatura di Jorge Luis Borges: ciò non soltanto per la comune cecità e per l'evidente assonanza dei nomi, ma anche per la diretta discendenza borgesiana dell'immagine della biblioteca come specchio del mondo e persino della planimetria poligonale con cui la biblioteca dell'abbazia è disegnata (cfr. La biblioteca di Babele).
L'ex dolciniano Salvatore - ed il suo grido "Penitenziagite!", con cui accoglie i nuovi venuti all'abbazia - ci riporta alle lotte intestine della chiesa medievale, alle volte anche sanguinose, tra i vescovi cattolici e il movimento degli spirituali, portato avanti dai seguaci di fra' Dolcino da Novara. La parola Penitenziagite è una contrazione della locuzione latina Penitentiam agite cioè fate la Penitenza, frase con cui, a detta di Bernardo Gui, il celebre inquisitore, nel suo trattato Practica Inquisitionis Heretice Pravitatis, i dolciniani ammonivano il popolo al loro passaggio.
Altri sono personaggi storicamente vissuti come il domenicano Bernardo Gui, Ubertino da Casale e Michele da Cesena, tutti primi attori della disputa francescana tra conventuali e spirituali del periodo del papato avignonese di papa Giovanni XXII e dell'impero di Ludovico il Bavaro.
Un'altra notazione può essere fatta sui luoghi dove sono ambientate le storie. Se da un lato Eco non rinuncia a situare l'abbazia nella sua terra natale (la zona di confine tra Liguria e Piemonte), nel nome Adso da Melk probabilmente subisce la suggestione di una delle più importanti biblioteche europee, quella appunto dell'abbazia benedettina di Melk, oggi in Austria, affacciata sul Danubio.
La tecnica con cui vengono assassinati i monaci è chiaramente ispirata dalla leggenda sulla realizzazione del "Jin Ping Mei" (金瓶梅; pinyin: Jīn Píng Méi), un romanzo della letteratura cinese del XVI secolo. Anche la fiaba intitolata Il pescatore venerando e l'arcigno ginn presente nella raccolta Le mille e una notte contiene la descrizione della stessa tecnica con cui i monaci venivano uccisi.
Il nome di Remigio da Varagine, ex dolciniano, può essere ricondotto al frate domenicano Jacopo da Varagine, scrittore in latino, che deve la sua fama ad una raccolta di vite di santi, tra le quali spicca la Legenda aurea, una versione della leggenda della Vera Croce, ripresa tra l'altro anche da Piero della Francesca per il suo ciclo di affreschi in San Francesco ad Arezzo (Storie della Vera Croce).
In un'atmosfera inquietante, alternando lunghe digressioni storico-filosofiche, ragionamenti investigatori e scene d'azione, Guglielmo e Adso si avvicinano alla verità penetrando nel labirinto della biblioteca e scoprendo il luogo dove è custodito il manoscritto fatale (l'ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele), che tratta della commedia e del riso. Alla fine, il venerabile Jorge, dopo la morte del bibliotecario Malachia, tenta di uccidere Guglielmo offrendogli il manoscritto dalle pagine avvelenate.
Ma Guglielmo lo sfoglia con le mani protette da un guanto, e allora il vecchio monaco, in un eccesso di fanatico fervore, divora le pagine avvelenate del testo in modo che più nessuno possa leggerle. Nel tentativo di fermarlo, Guglielmo e Adso provocano un incendio che nessuno riuscirà a fermare e che inghiottirà nel fuoco l’intera abbazia. Adso e il suo maestro partiranno infine da quelle macerie, in cui il giovane tornerà anni dopo, trovando la solitudine più totale, in quello stesso luogo che era stato teatro di omicidi e intrighi, veleni e scoperte.
Protagonisti.
- Adso da Melk (voce narrante), novizio benedettino al seguito di Guglielmo.
- Guglielmo da Baskerville, francescano, già inquisitore, in visita presso il monastero dove si svolge la vicenda.
Monaci dell'Abbazia
- Abbone, abate del monastero; è l'unico, insieme al bibliotecario al suo aiutante e a padre Jorge Da Burgos, a conoscere i segreti della biblioteca.
- Jorge da Burgos, anziano cieco, profondo conoscitore dei segreti del monastero e in passato bibliotecario.
- Adelmo da Otranto, miniatore ucciso nel primo delitto.
- Alinardo da Grottaferrata, il più anziano dei monaci e per il suo comportamento considerato da tutti un pazzo ma si rivela utile alla risoluzione della vicenda.
- Aymaro da Alessandria, trascrittore italiano.
- Bencio da Uppsala, giovane scandinavo trascrittore di testi di retorica e nuovo aiuto-bibliotecario.
- Berengario da Arundel, aiuto bibliotecario dell'abbazia.
Personaggi minori
- Magnus da Iona, trascrittore.
- Patrizio da Clonmacnois, trascrittore.
- Rabano da Toledo, trascrittore.
- Waldo da Hereford, trascrittore.
- Contadina del villaggio, il cui nome è taciuto; è l'unica donna con la quale Adso prova l'esperienza sessuale.
- Malachia da Hildesheim, bibliotecario.
- Nicola da Morimondo, vetraio.
- Remigio da Varagine, cellario ex-dolciniano.
- Salvatore, ex-eretico dolciniano, amico di Remigi; parla una lingua mista di latino e volgare.
- Severino da Sant'Emmerano, erborista.
- Ubertino da Casale, francescano spirituale.
- Venanzio da Salvemec, traduttore dal greco e dall'arabo, conoscitore dell'antica Grecia e devoto di Aristotele.
Delegazione pontificia
- Bernardo Gui, inquisitore dell'ordine domenicano.
- Bertrando del Poggetto, cardinale a capo della delegazione pontificia.
Delegazione imperiale (minoriti)
- Berengario Talloni.
- Girolamo di Caffa, vescovo.
- Michele da Cesena, generale dell'ordine dei frati minori e capo della delegazione imperiale.
- Ugo da Novocastro.
- Bonagrazia da Bergamo
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