Cesare deve morire è un film del 2012 diretto da Paolo e Vittorio Taviani. La pellicola, girata in uno stile docu-drama, narra la messa in s...

Cesare deve morire è un film del 2012 diretto da Paolo e Vittorio Taviani. La pellicola, girata in uno stile docu-drama, narra la messa in scena del Giulio Cesare di William Shakespeare da parte dei detenuti di Rebibbia diretti dal regista teatrale Fabio Cavalli.

Il film ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino 2012, riconoscimento che mancava al cinema italiano dal 1991, quando il premio era stata assegnato a La casa del sorriso di Marco Ferreri. Ha ricevuto inoltre otto candidature ai David di Donatello 2012, tra le quali quelle per miglior film e miglior regista e ne ha vinti 5, compresi i due citati.

Trama.
All'interno del teatro del carcere di Rebibbia, si conclude la rappresentazione del "Giulio Cesare" di Shakespeare, affidata ad alcuni detenuti della sezione Alta Sicurezza. I detenuti, qui in veste di attori, tornano nelle celle. Sei mesi prima, infatti, il direttore del carcere aveva annunciato il progetto della rappresentazione teatrale; ne seguono quindi i provini. Il "Giulio Cesare", dunque, prende corpo progressivamente ed è l'occasione per gli attori di comprendere come le passioni, i legami e i tradimenti che punteggiano, guidano o traviano la vita dell'uomo (e le loro storie criminali) non sono mai cambiate nei secoli e che le vicende della storia riproducono, solo in scala diversa, quelle delle vite di tutti.

I Taviani scelgono la strada del work in progress utilizzando coraggiosamente l'ormai antinaturalistico (e televisivamente poco gradito) bianco e nero. L'originalità della loro ricerca sta nella cifra quasi pirandelliana con la quale cercano la verità nella finzione. Questi uomini che mettono la loro faccia e anche la loro fedina penale (sovrascritta sullo schermo) in pubblico si ritrovano, inizialmente in modo inconsapevole, a cercare e infine a trovare se stessi nelle parole del bardo divenute loro più vicine grazie all'uso dell'espressione dialettale. Frasi scritte centinaia di anni fa incidono sul presente nel modo che Jan Kott attribuiva loro nel saggio del 1964 dal titolo "Shakespeare nostro contemporaneo". Ogni detenuto 'sente' e dice le battute come se sgorgassero dal suo intimo così che (ad esempio) Giovanni Arcuri è se stesso e Cesare al contempo e la presenza del regista Cavalli e dell'ex detenuto e ora attore Striano nel ruolo di Bruto non stonano nel contesto.

Interpreti e personaggi.
Cosimo Rega: Cassio
Salvatore Striano: Bruto
Giovanni Arcuri: Cesare
Antonio Frasca: Marcantonio
Juan Dario Bonetti: Decio
Vincenzo Gallo: Lucio
Rosario Majorana: Metello
Francesco De Masi: Trebonio
Gennaro Solito: Cinna
Vittorio Parrella: Casca
Pasquale Crapetti: legionario
Francesco Carusone: indovino

I ragazzi del coro (Les choristes) è un film del 2004 diretto da Christophe Barratier. Il nocciolo della storia è tratto dal film del 1945 ...

I ragazzi del coro (Les choristes) è un film del 2004 diretto da Christophe Barratier.

Il nocciolo della storia è tratto dal film del 1945 La gabbia degli usignoli diretto da Jean Dréville, che ottenne una candidatura agli Oscar del 1948 per il miglior soggetto.

Ottima regia ed ottima fotografia, quasi tutto le riprese del film vengono svolte all’interno del “Fond de l’étang”. Sontuosa, l’interpretazione di un grande attore come Gérard Jugnot, ma anche quelle di Jean-Baptiste Maunier (che interpreta il ragazzo Pierre Morhange) e di Grégory Gatignol (che interpreta Mondain).

Azione, reazione: la regola imposta dal dispotico Rachin si rivela, ribaltata, la morale del film. Non sono il direttore, l’insegnante o il sorvegliante a reagire, ma i ragazzi che, abituati ad un rapporto di sottomissione all’autorità collegiale, scoprono un nuovo e migliore modo di rapportarsi con essa. Così, dal ruolo di carceriere, Mathieu finirà per ricoprire quello di padre passando, soprattutto, per quello di salvatore: un nugolo di ragazzini senza prospettive scopre grazie a lui come crearsele, imparando a costruire, ognuno da sé, il proprio futuro.  Il mezzo attraverso il quale si trasmette questo messaggio, da Mathieu ai ragazzi e da questi allo spettatore, è la musica, universale veicolo di emozioni.

Trama
New York. Pierre Morhange è un famoso direttore d'orchestra francese, che riceve una telefonata dalla Francia: sua madre è morta. Tornato in Francia, la sera dopo il funerale un uomo bussa alla sua porta. Inizialmente Pierre non lo riconosce, ma quando l'uomo dice di chiamarsi Pepinot improvvisamente si ricorda: cinquant'anni prima i due, quando erano ragazzi, erano stati tenuti in un collegio per bambini difficili chiamato "Fond de l'étang" (Fondo dello stagno). Guardando le foto assieme, ad un certo punto Pepinot passa a Pierre un diario, scritto da Clément Mathieu, loro sorvegliante all'istituto. Pierre comincia a leggere.

1949. Mathieu, compositore e insegnante di musica rimasto senza lavoro, accetta un impiego da sorvegliante a Fond de l'étang. Viene accolto dal direttore Rachin, che gli parla dei ragazzi che frequentano l'istituto, del loro comportamento non corretto e gli presenta la sua regola azione-reazione. Suggerisce a Mathieu di non dare alcuna giustificazione agli alunni, nella convinzione che i ragazzi capiscono solo se puniti. Mathieu crede, invece, che per educarli sia possibile usare punizioni meno severe, instaurando con loro un dialogo e una maggiore comprensione. Dopo un paio di scherzi, sentendo i ragazzi cantare, decide anche di formare un coro diviso in tre gruppi, nonostante la contrarietà del direttore.

Una sera Mathieu sente Pierre Morhange, uno degli alunni più indisciplinati della classe, cantare un pezzo della canzone Vois sur ton chemin. Il ragazzo, grazie al suo talento, viene nominato solista del coro.

Mathieu è comprensivo con i ragazzi, ma così facendo si attira le antipatie del direttore. Quest'ultimo, infatti, in realtà è un arrampicatore sociale insoddisfatto della sua condizione, che sfoga la propria rabbia sui ragazzi a cui, inoltre, ruba parte dei sussidi, e vede nella formazione del coro una critica alla sua autorità.

Un giorno arriva all'istituto un nuovo ragazzo: Mondain, un delinquente trasferito dal carcere minorile, verso cui Rachin dimostra ancora meno comprensione, picchiandolo e punendolo più volte, finché scappa. Poiché nel frattempo vengono persi anche i soldi per i sussidi, Rachin incolpa immediatamente Mondain che, quando viene trovato e riportato all'istituto, viene brutalmente picchiato e poi mandato in prigione. Mondain, però, continua a dichiararsi innocente.

Vedendo come il coro abbia portato molta più felicità, gli altri insegnanti dell'istituto cominciano ad appoggiare Mathieu dimostrando, in realtà, di tenere ai ragazzi; ma, dati i recenti sviluppi, Rachin proibisce la continuazione del coro. La cosa ha poca importanza: il coro diventa clandestino e, poco tempo dopo, zio Maxence, magazziniere dell'istituto che già da prima vedeva la disumanità del direttore, ne rivela l'esistenza alle benefattrici e alla contessa locale, che viene ad ascoltare i ragazzi. Il coro ha molto successo e Rachin lascia che i ragazzi continuino a cantare in classe (ma solo per attribuirsi il merito dell'ideazione del coro) e ora il signor Langlois, insegnante di matematica, accompagna il coro con il pianoforte. Ad un certo punto, zio Maxence trova i soldi scomparsi vicino all'armonica di uno dei ragazzi: questa è la prova che Mondain era davvero innocente, ma comunque Rachin si rifiuta di farlo scarcerare, poiché "se non è stato colpevole oggi, lo sarà stato ieri".

Nel frattempo Mathieu aveva dedicato parte del suo tempo ad "addomesticare" Morhange, nel tentativo di renderlo più educato. La cosa aveva avuto successo e, nel frattempo, Mathieu si era avvicinato alla madre del ragazzo, Violette, raccontandole del talento del figlio ed incitandola un giorno a farlo sviluppare.

Un giorno, mentre Mathieu ha lasciato il collegio assieme ai ragazzi per portarli a giocare all'aperto quando il direttore non c'era, si scatena un incendio. Ad appiccarlo è stato Mondain, uscito dal carcere, per vendicarsi di Rachin. Mathieu viene licenziato per aver lasciato il collegio incustodito e quando se ne va i ragazzi, che sono chiusi in classe, lo salutano lanciandogli dalla finestra degli aeroplanini di carta, sulle note di Cerf volant. Mathieu se ne va commosso.

Il diario è finito perché Mathieu non ha fatto in tempo a scrivere il resto, ma Pepinot racconta a Pierre quello che sa.

Tornando a casa, Pierre ricorda ciò che è successo dopo il licenziamento di Mathieu: quest'ultima ingiustizia spinse il resto degli insegnanti a denunciare Rachin, che fu licenziato a sua volta; Pierre, invece, dopo la partenza di Mathieu, tornò a vivere con sua madre e fu ammesso al conservatorio di Lione, da cui partì la sua carriera musicale; Mathieu continuò a insegnare e comporre fino alla fine della sua vita, mentre Pepinot, all'epoca il più piccolo dei ragazzi del coro e orfano di entrambi i genitori, lasciò l'istituto assieme a Mathieu, coronando il suo sogno. Pepinot, infatti, era convinto che un sabato, giorno in cui Mathieu lo aveva "adottato" e portato via con sé, suo padre sarebbe venuto a prenderlo.

Interpreti e personaggi
Gérard Jugnot: Clément Mathieu
François Berléand: Rachin
Jean-Baptiste Maunier: Pierre Morhange
Jacques Perrin: Pierre (adulto)
Kad Merad: Chabert
Marie Bunel: Violette Morhange
Philippe Du Janerand: Signor Langlois
Jean-Paul Bonnaire: zio Maxence
Grégory Gatignol: Pascal Mondain
Thomas Blumenthal: Corbin
Maxence Perrin: Pépinot
Didier Flamand: Pépinot (adulto)
Théodul Carré-Cassaigne: Leclerc
Erick Desmarestz: Dottor Dervaux
Simon Fargeot: Boniface


Doppiatori italiani
Mino Caprio: Clément Mathieu
Dario Penne: Rachin
Flavio Aquilone: Pierre Morhange
Gino La Monica: Pierre (adulto)
Massimo Rinaldi: Chabert
Tiziana Avarista: Violette Morhange
Paolo Lombardi: Signor Langlois
Dante Biagioni: Maxence
Paolo Vivio: Mondain
Alex Polidori: Pépinot
Nino Prester: Pépinot (adulto)
Jacopo Bonanni: Leclerc
Sandro Iovino: Dottor Dervaux
Simone Notarangelo: Boniface

Yol (turco per La strada) è un film del 1982 diretto da Şerif Gören e Yilmaz Güney, vincitore della Palma d'oro come miglior film al 35º...

Yol (turco per La strada) è un film del 1982 diretto da Şerif Gören e Yilmaz Güney, vincitore della Palma d'oro come miglior film al 35º Festival di Cannes.

Il film è un ritratto della società turca dopo il colpo di Stato del 1980, raccontata attraverso le storie di cinque prigionieri che ottengono il permesso di tornare a casa per una settimana dalla prigione in cui sono rinchiusi.

Appassionato film in presa diretta sulla realtà sociale e politica della Turchia in regime militare, svolge con linguaggio limpido, severo ma mai greve, un discorso sulla continuità tra il "dentro" e il "fuori" del carcere: l'uno è il seguito e il complemento dell'altro. Caso raro di un film in cui la passione non esclude la riflessione.

Trama
1981, carcere di Imrali, isola dell'Egeo: cinque detenuti ottengono una settimana di licenza. Ognuno segue la sua strada (Yol in turco significa strada) per raggiungere la propria famiglia. Qui saranno accolti da conflitti sociali e culturali che hanno investito le rispettive famiglie a causa della loro condanna.

Produzione
La realizzazione del film fu avventurosa, poiché il regista e sceneggiatore Yilmaz Güney si trovava in prigione al momento delle riprese. Il film fu diretto dal suo assistente Şerif Gören, che seguì con precisione le indicazioni del regista. Dopo la fine delle riprese Güney riuscì a fuggire dal carcere, prese i negativi del film che nel frattempo erano stati trasferiti in Svizzera e infine lavorò al montaggio a Parigi.

Interpreti e personaggi
Tarik Akan: Seyit Ali
Serif Seze: Ziné
Halil Ergün: Mehmet Salih
Meral Orhonsay: Emine
Necmettin Çobanoglu: Omer
Semra Uçar: Gulbahar
Hikmet Çelik: Mevlat
Sevda Aktolga: Meral

Un affare di famiglia è un film drammatico del 2018 diretto da Hirokazu Kore'eda e interpretato da Kirin Kiki, Lily Franky, Sōsuke Ikema...

Un affare di famiglia è un film drammatico del 2018 diretto da Hirokazu Kore'eda e interpretato da Kirin Kiki, Lily Franky, Sōsuke Ikematsu, Sakura Andō, Moemi Katayama. Il film è stato premiato con la Palma d'oro al Festival di Cannes del 2018.

La ricomposizione di una famiglia o la sua progressiva disgregazione: il cinema di Kore-eda si muove fra questi due poli interrogandosi a ogni nuovo passaggio sull’idea di appartenenza, sui legami di sangue e sulla scelta degli affetti.


Trama

Di ritorno dall'ennesimo furtarello in un supermercato, Osamu e suo figlio incrociano una bambina abbandonata a se stessa per strada, decidendo di condurla con loro presso la loro piccola abitazione. Scoprendo che la bambina viene maltrattata dai propri genitori, la moglie di Osamu comincia a prendersi cura della piccola. Nonostante la povertà e la mancanza di legami di sangue, la piccola ritrova la felicità nel nuovo ambiente familiare.

Sono una famiglia di piccoli ladri, la nonna percepisce ancora la pensione del marito morto, la madre ha un lavoro part-time che a un certo punto perde, la sorella minore si esibisce come ragazza in vetrina, il padre ogni tanto lavora nei cantieri ma il più del tempo lo passa escogitando col figlio vari modi per tirar su il pranzo e la cena. L’arrivo della nuova bambina è un’occasione felice per donare amore e calore, niente di più. «Sembra un rapimento di persona», obietta il padre; «no», le risponde la moglie, «perché non chiediamo alcun riscatto e le diamo da mangiare». E poco dopo, stringendola forte in un abbraccio materno, le insegna la differenza fra un amore che fa male e un amore che semplicemente coccola e scalda.

Il titolo scelto per il pubblico internazionale elide la parola "famiglia" (kazoku) lasciando intatto il resto, ovvero manbiki, "taccheggiatori", tradendo la linea narrativa che fa da trait d'union alla filmografia di Kore'eda[5]. Ciò non accade però con il titolo italiano. Con Affare di famiglia Kore'eda continua infatti la sua esplorazione della famiglia contemporanea giapponese, tematica che ha già pervaso molti dei suoi lavori precedenti, come Little Sister, Father and Son e Ritratto di famiglia con tempesta.

Questa volta il regista nipponico arriva, e forse oltrepassa, la frontiera della sfera familiare, svuotandola completamente del suo significato convenzionale, ovvero famiglia come insieme di individui connessi esclusivamente da legami di sangue, rimettendo al centro del discorso l'essenzialità dello "stare insieme" per affrontare i drammi della vita. il termine "famiglia" assume così un valore puramente eudaimonico, ovvero famiglia come "scelta".

Interpreti e personaggi

    Lily Franky: Osamu Shibata
     Sakura Andō: Nobuyo Shibata
     Kirin Kiki: Hatsue Shibata
     Mayu Matsuoka: Aki Shibata
     Jyo Kairi: Shōta Shibata
     Miyu Sasaki: Juri/Yuri/Rin
     Chizuru Ikewaki: Miyabe Kie
     Sōsuke Ikematsu: 4 ban-san
     Moemi Katayama:
     Akira Emoto:
     Kengo Kōra: Takumi Maezono
     Yōko Moriguchi:
     Naoto Ogata:
     Yuki Yamada:

Doppiatori italiani

    Antonio Palumbo: Osamu Shibata
     Daniela Calò: Nobuyo Shibata
     Graziella Polesinanti: Hatsue Shibata
     Valentina Favazza: Aki Shibata
     Giulio Bartolomei: Shota Shibata
     Charlotte Infussi: Yuri
     Galatea Ranzi: Miyabe Kie

The Danish Girl è un film del 2015 diretto da Tom Hooper, adattamento del romanzo La danese (The Danish Girl), scritto nel 2000 da David Ebe...

The Danish Girl è un film del 2015 diretto da Tom Hooper, adattamento del romanzo La danese (The Danish Girl), scritto nel 2000 da David Ebershoff e liberamente ispirato alle vite delle pittrici danesi Lili Elbe e Gerda Wegener.

Il film ha come protagonista Eddie Redmayne nei panni di Lili Elbe, la prima persona a essere identificata come transessuale e a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale, e Alicia Vikander nei panni di Gerda Wegener; fanno inoltre parte del cast Matthias Schoenaerts, Ben Whishaw, Amber Heard e Sebastian Koch.

Trama
Nella Copenaghen degli anni venti la ritrattista Gerda Wegener è sposata con il pittore paesaggista Einar Wegener; i due vivono con alcune tensioni, dovute alla disparità tra la notevole fama di lui e quella meno significativa di lei, oltre al fatto di non riuscire a concepire un bambino nonostante numerosi tentativi. Ciononostante entrambi si amano e si sostengono a vicenda.

Un giorno Gerda chiede a Einar di posare per lei al posto di una modella, la ballerina Ulla, impegnata nelle prove di uno spettacolo; quasi per gioco l'uomo assume l'identità di Lili Elbe, il suo alter ego femminile. Successivamente Gerda gli chiede di accompagnarla a una festa per artisti indetta proprio da Ulla nei panni di Lili; i due sposi studiano quindi il travestimento adatto per Einar, che arriva alla festa completamente vestito, truccato e con una parrucca da donna. Inizialmente Einar è molto imbarazzato dalla sua nuova identità; alla festa però conosce Henrik, un pittore omosessuale che, pur sapendo chi lui sia in realtà, finge di essere attratto da Lili per sedurlo.

Gradualmente Einar comincia a prendere coscienza del fatto di essersi sempre riconosciuto nel sesso opposto, nonostante abbia sempre tentato di nasconderlo a se stesso e alla società; comincia perciò a lasciarsi sempre più spesso dietro i panni maschili per essere Lili. Ciò ha ovviamente ripercussioni sul matrimonio con Gerda, che comincia a percepire suo marito molto distante da sé; tuttavia decide di non abbandonarlo, e comincia a dipingere dei ritratti usando Lili come modella. Einar, combattuto tra la lotta per la sua identità e le implicazioni morali che ciò comporta, consulta un medico che lo sottopone a un doloroso intervento di castrazione chimica; ciò non fa che incrementare il suo desiderio di essere Lili.

Intanto i ritratti di Lili fatti da Gerda hanno successo, e i due si trasferiscono a Parigi. Gerda nutre la speranza che la nuova vita parigina possa in qualche modo ridarle suo marito, ma accade il contrario: Einar diventa sempre più insofferente alla sua vita maschile. In un estremo tentativo di aiutarlo, Gerda ricontatta Hans, un impresario d'arte di cui in passato Einar era stato innamorato. Lui gli si presenta nei panni di Lili, ma si accorge di non essere ricambiato; Gerda, dal canto suo, rimane sedotta da Hans, ma è fermamente decisa a non abbandonare quello che lei ritiene ancora suo marito.

Man mano che il desiderio di Einar si fa sempre più forte, i due consultano diversi psicologi, ma nessuno sembra considerare l'uomo più che un pervertito e in taluni casi schizofrenico. La loro ultima speranza risiede nel dottor Warnekros, che da tempo studia e progetta un intervento di riassegnazione sessuale: quando spiega a Einar di cosa si tratta, l'uomo decide di offrirsi come cavia nonostante si tratti di una procedura sperimentale, mai osata prima e potenzialmente molto pericolosa.

Einar si sottopone come prima cosa a un intervento di orchiectomia, che sembra andar bene; per un breve periodo Lili e Gerda convivono da amiche sotto lo stesso tetto, anche se Gerda non riesce ancora ad accettare questo cambiamento, e Lili cerca di ricostruirsi una vita completamente diversa da quella che aveva Einar, lavorando come commessa in una profumeria e desiderando una relazione con un uomo.

Tuttavia, il suo smodato desiderio di terminare tutto in fretta la porta a sottoporsi a una vaginoplastica con un trapianto di ovaie del tutto fallimentare: la donna muore il giorno dopo il secondo intervento, tra le braccia di Gerda. Gerda e Hans ricercano i paesaggi che Einar amava dipingere; mentre visitano un fiordo a lui particolarmente caro, una sciarpa che Lili aveva donato a Gerda vola in aria, e lei la lascia andare, finalmente libera.
Interpreti e personaggi
Eddie Redmayne: Einar Wegener / Lili Elbe
Alicia Vikander: Gerda Wegener
Matthias Schoenaerts: Hans Axgil
Ben Whishaw: Henrik
Amber Heard: Ulla
Sebastian Koch: dott. Warnekros
Pip Torrens: dott. Hexler
Emerald Fennell: Elsa
Adrian Schiller: Rasmussen
Richard Dixon: Fonnesbeck
Henry Pettigrew: Niels
Doppiatori italiani
Flavio Aquilone: Einar Wegener / Lili Elbe
Valentina Favazza: Gerda Wegener
Edoardo Stoppacciaro: Hans Axgil
Alessandro Quarta: Henrik
Domitilla D'Amico: Ulla
Mario Cordova: dott. Warnekros
Luca Biagini: dott. Hexler
Barbara Salvucci: Elsa
Franco Mannella: Rasmussen
Ambrogio Colombo: Fonnesbeck
Francesco Sechi: Niels

La ballata di Narayama è un film del 1983 diretto da Shōhei Imamura, vincitore della Palma d'oro come miglior film al 36º Festival di Ca...

La ballata di Narayama è un film del 1983 diretto da Shōhei Imamura, vincitore della Palma d'oro come miglior film al 36º Festival di Cannes.

Si tratta di un remake di un film La leggenda di Narayama del 1958 diretto da Keisuke Kinoshita, tratto dagli stessi racconti di Fukazawa Shichirō.

Il film di Imamura si distingue per l’estrema freddezza con cui racconta un anno nella vita di un villaggio come, presumibilmente, ce ne furono molti in Giappone. Uno sguardo antropologico, quello del regista, su di una società ancora molto arretrata, alle porte dell’epoca moderna, fondata sull’agricoltura di sussistenza e regolata da leggi che sembrano appartenere più al mondo selvaggio della natura che a quello della civiltà umana.

Trama
Siamo nel 1860. Una legge del villaggio Shinshu obbliga le persone che compiono settant'anni a recarsi a Narayama, una montagna dove essi devono attendere la propria morte. La morte di un vecchio significa la possibilità per un giovane di sopravvivere. Ma questa legge, alle volte, viene elusa: è il caso di Orin, una vecchia sessantanovenne. La paura della donna è quella di non riuscire a mettere i membri della sua famiglia nella condizione di vivere una vita decorosa. Si impegna dunque a risolvere i loro problemi, a partire da quelli del figlio maggiore Tatsuhei, vedovo, che ella vorrebbe far risposare. Poi risolve i problemi del secondogenito Risuke, affinché egli possa finalmente coricarsi con una donna. Infine, quando tutto è pronto, spezzati i denti davanti come atto simbolico che prelude la sua futura partenza, Orin lascia il paese sulle spalle del primogenito per recarsi a Narayama. Giunti sul luogo, cosparso di ossa umane, la donna attende il suo momento; il film termina mentre inizia a nevicare.

Interpreti e personaggi.
Ken Ogata: Tatsuhei
Sumiko Sakamoto: Orin
Aki Takejo: Tamayan
Tonpei Hidari: Fratello di Tatsuhei
Seiji Kurasaki: Kesakichi
Kaoru Shimamori: Tomekichi
Ryutaro Tatsumi: Matayan

. Pelle alla conquista del mondo (Pelle erobreren) è un film del 1987 diretto da Bille August, vincitore della Palma d'oro come miglior...

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Pelle alla conquista del mondo (Pelle erobreren) è un film del 1987 diretto da Bille August, vincitore della Palma d'oro come miglior film al Festival di Cannes 1988 e dell'Oscar al miglior film straniero.

Il film è basato sul primo dei quattro volumi del romanzo Pelle erobreren di Martin Andersen Nexø (1906-10). Del film sono protagonisti Max von Sydow (che per questa parte fu nominato all'Oscar al miglior attore) e il piccolo Pelle Hvenegaard (vincitore di un Young Artist Award).

L'anno precedente la stessa storia era già stato adattata una prima volta per la televisione in Pelle der Eroberer (Germania Est, 1986) per la regia di Christian Steinke, con protagonisti Martin Trettau e il piccolo Stefan Schrader.

Trama.

Nell'Ottocento molti lasciavano la povera Svezia per andare a lavorare in Danimarca. Qui sbarcano l'undicenne Pelle con l’anziano padre Lasse. Assunti presso una fattoria, i due sono destinati alle stalle: la fatica, le umiliazioni e le angherie sono frequenti. Passa il tempo e Pelle va a scuola, odiato dai compagni non solo per la sua intelligenza, ma perché è svedese. Diventa amico di Erik, un bracciante che, non sopportando le vessazioni e lo sfruttamento, vuole emigrare in America. Durante uno scontro tra Erik e il fattore, che lo considera un agitatore, il ragazzo reagisce e lo ferisce; poi, gravemente colpito alla testa da una pietra, resterà menomato. La padrona, la signora Kongstrup, promuove Pelle come aiutante stalliere, ma questi pensa che in America debba esserci una vita migliore. Così, lasciato il padre Lasse, Pelle parte coraggiosamente per la grande avventura della vita.


Interpreti e personaggi
Pelle Hvenegaard: Pelle
Max von Sydow: Lassefar
Erik Paaske: Capomastro
Björn Granath: Erik
Astrid Villaume: Mrs. Kongstrup
Axel Strøbye: Kongstrup
Troels Asmussen: Rud
Kristina Törnqvist: Anna
Karen Wegener: Mrs. Olsen
Sofie Gråbøl: Miss Sine
Lars Simonsen: Niels Køller
Buster Larsen: Ole Køller
John Wittig: Insegnante

Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti è un film del 2010 scritto e diretto da Apichatpong Weerasethakul. Il film, che tratta il t...

Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti è un film del 2010 scritto e diretto da Apichatpong Weerasethakul. Il film, che tratta il tema della reincarnazione, vinse la Palma d'oro al 63º Festival di Cannes, diventando l'unico lungometraggio thailandese ad averla conquistata.

Apichatpong Weerasethakul è un regista non semplice da seguire nelle sue dilatate riflessioni sul ruolo dell'uomo all'interno di un universo composto da animali, natura ed elementi della metafisica. La storia di zio Boonme parte come l'esplorazione degli stadi finali della vita di un uomo e finisce con un viaggio attraverso le sue possibili incarnazioni passate tracciando un filo unico tra ciò che è, ciò che è stato e ciò che probabilmente sarà. Nel viaggio in questione, però, non è il racconto a mostrare quali siano quelle vite ma le immagini, e la risposta non è univoca.

Trama

Il prologo del film è costituito dall'immagine di un bufalo domestico che, dopo aver rotto il laccio che lo legava a un albero, vaga gemendo nella savana brumosa e notturna, finché si lascia guidare docilmente da un uomo che gli è andato incontro e lo ha invitato a seguirlo.

Segue poi la figura del protagonista, lo zio Boonmee, un piccolo proprietario terriero thailandese malato di insufficienza renale, che passa i suoi ultimi giorni in campagna con Jai, un immigrato laotiano suo dipendente che si prende cura di lui, e con la cognata Jen e il figlio di questa, Thong, che sono appena giunti in visita dalla città.

In una calma sera, mentre cenano nella veranda della casa all'interno del suo podere dove crescono grandi alberi di tamarindo, appaiono alla loro tavola i fantasmi della moglie Huay morta 19 anni prima e del figlio, scomparso da qualche tempo, che ora ha assunto la forma di una grande scimmia semi-umana dagli occhi rossi e fosforescenti. Non vi è nulla di terrorizzante nella loro apparizione: essi parlano con i viventi con malinconica serenità, sono da loro interrogati e rappresentano la prova che la vita non cessa con la morte ma si trasforma in un incessante ciclo di forme umane, animali e vegetali.

«Il paradiso è sopravvalutato - dice la moglie a Boonmee - non c'è niente là. I fantasmi non sono legati ai luoghi, sono legati alle persone»: l'apparizione dei due morti significa anche che Boonmee sta per morire ed essi lo condurranno - attraverso un lungo cammino notturno nella foresta ricca di suoni e di apparizioni fantastiche - fino a una grotta che rappresenta anche l'utero dove egli morirà per rinascere.

Nel centro del film è la scena, che si svolge in un ambiente naturale d'incontaminata bellezza, dell'accoppiamento di una principessa dal volto sfigurato con un pesce gatto in un lago alimentato da una cascata, sia rievocazione fantastica di una vita precedente dello zio Boonmee, sia leggenda mitologica, che ancora ricorda l'inscindibile legame di tutti gli esseri nella natura: «di fronte alla giungla, alle colline e alle valli - dice Boonmee - le mie vite passate, come animale o altro essere, emergono davanti a me».


Interpreti e personaggi

    Thanapat Saisaymar: Boonmee
     Jenjira Pongpas: Jen
     Sakda Kaewbuadee: Thong
     Natthakarn Aphaiwong: Huay, moglie di Boonmee
     Jeerasak Kulhong: Boonsong, figlio di Boonmee
     Kanokporn Thongaram: Roong, amico di Jen
     Samud Kugasang: Jai
     Wallapa Mongkolprasert: la principessa
     Sumit Suebsee: soldato
     Vien Pimdee: contadino

Doppiatori italiani

    Ennio Coltorti: Boonmee
     Lorenza Biella: Jen
     Stefano Crescentini: Thong
     Alessandra Korompay: Huay, moglie di Boonmee
     Edoardo Stoppacciaro: Boonsong, figlio di Boonmee
     Chiara Gioncardi: Jai
     Marina Tagliaferri: la principessa
     Rodolfo Bianchi: spirito pesce palla

Io, Daniel Blake (I, Daniel Blake) è un film del 2016 diretto da Ken Loach vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes 2016. Tram...

Io, Daniel Blake (I, Daniel Blake) è un film del 2016 diretto da Ken Loach vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes 2016.

Trama
Il vedovo 59enne Daniel Blake ha lavorato come carpentiere a Newcastle upon Tyne, nel nord-est dell'Inghilterra, per la maggior parte della sua vita. Ora però, in seguito a una malattia, per la prima volta in vita sua, ha bisogno di un aiuto da parte dello Stato. Il destino di Daniel si incrocia con quello di Katie, madre single di due bambini, Daisy e Dylan, appena trasferiti a Newcastle da Londra, dove vivevano in una monocamera in un ostello per senza tetto.

Katie cerca un lavoro come addetta alle pulizie e aspira anche a riprendere gli studi; nel frattempo è costretta a mangiare pochissimo, non avendo a disposizione molto denaro. Daniel la aiuta con dei piccoli lavori nell'abitazione che le è stata assegnata; nel mentre è alle prese con la richiesta di disoccupazione, via internet, e con una chiamata per il ricorso dell'indennità per malattia.

Daniel si trova bloccato, senza alcuna fonte di reddito, fra il medico che gli vieta di tornare a lavorare, l'attesa di indennità per malattia in seguito all'infarto e la ricerca di un lavoro per avere il sussidio di disoccupazione.

Daniel aiuta la famiglia di Katie portandoli alla banca del cibo, dove però Katie ha un crollo e apre una scatola di fagioli, iniziando a mangiare, per poi scoppiare a piangere.

Daniel riceve una telefonata dove lo si informa che è stato dichiarato abile al lavoro, e che quindi non ha diritto al sussidio di disoccupazione. Deve però rinunciare a un lavoro per cui aveva lasciato il curriculum, visto il divieto del medico a lavorare.

Katie nel frattempo viene scoperta a rubare in un negozio di generi alimentari, ma il direttore la lascia andare. Una guardia però, la trattiene e le consegna il suo numero, dicendole di chiamarlo in caso di necessità.

Daniel racconta a cena alla famiglia di Katie di Molly, la sua moglie ormai defunta. Katie confida a Daniel dei suoi due ragazzi precedenti, padri dei suoi due figli.

Daniel nel frattempo si vede negato il sussidio ancora una volta e viene sanzionato per 4 settimane vista l'insufficienza dei suoi sforzi nel cercare lavoro.

E così è costretto a vendere molti dei suoi mobili per tirare avanti. Katie, alla richiesta della figlia di un nuovo paio di scarpe, contatta Ivan, la guardia del negozio, il quale la mette in contatto con la tenutaria di un bordello.

Dan, venutolo a sapere, la va a cercare direttamente al bordello e cerca di tirarla fuori da lì, ma lei ammette di non avere al momento altro modo di dare da mangiare ai suoi figli.

All'ennesimo incontro al Jobcentre, Daniel decide di dare un ultimatum alla riconsiderazione, seppure questo lo privi di ogni reddito e sussistenza. Decide di farsi fissare una data per il ricorso, e scrive con la vernice spray sul muro del Job Center "Io, Daniel Blake, esigo una data per il mio ricorso prima di morire di fame". Così facendo si guadagna la simpatia dei passanti, ma un ammonimento dalla polizia.

Daniel si rinchiude in casa in attesa della data del processo di ricorso per l'indennità per malattia, ma Daisy lo va a trovare, forzandolo ad uscire.

Il giorno del processo, Dan, che sarà giudicato da un medico e un giudice, va in compagnia di Katie a parlare con l'avvocato, che gli espone la grande possibilità di vittoria. Poco prima dell'inizio del processo, Daniel va in bagno ma lì ha un malore al cuore e muore.

Al funerale, Katie legge un discorso scritto a matita da Dan stesso (che avrebbe voluto leggere al processo), in cui chiede solamente l'assistenza dovuta dallo stato a lui, cittadino che ha sempre pagato le tasse e che ha sempre lavorato, e in cui denuncia la labirintica burocrazia delle politiche per il Welfare nella moderna Gran Bretagna.

Interpreti e personaggi
Dave Johns: Daniel Blake
Hayley Squires: Katie
Dylan McKiernan: Dylan
Briana Shann: Daisy
Kema Sikazwe: China
Sharon Percy: Sheila
Micky McGregor: Ivan


Doppiatori italiani
Carlo Valli: Daniel Blake
Chiara Gioncardi: Katie
Leonardo Gebbia: Dylan
Alice Labidi: Daisy
Simone Crisari: China
Franca D'Amato: Sheila
Francesco Sechi: Ivan
Chiara Salerno: Anna

Il regno d'inverno - Winter Sleep (Kış Uykusu) è un film del 2014 diretto da Nuri Bilge Ceylan, liberamente ispirato al racconto Mia mog...

Il regno d'inverno - Winter Sleep (Kış Uykusu) è un film del 2014 diretto da Nuri Bilge Ceylan, liberamente ispirato al racconto Mia moglie (Жена) di Anton Čechov.

La pellicola si è aggiudicata al Festival di Cannes 2014 la Palma d'oro per il miglior film.


Trama
Aydın, un ex attore teatrale, gestisce un piccolo albergo in Cappadocia (Anatolia centrale) con la giovane moglie Nihal, con la quale ha solo in apparenza un rapporto felice, e sua sorella Necla che soffre del suo recente divorzio. Aydın, inoltre, possiede diverse proprietà date in affitto a persone del luogo e, nel suo albergo, conduce una vita agiata, ben diversa da quella della maggior parte delle persone che lo circondano. Colto e ricco, trascorre il tempo scrivendo articoli per un giornale locale e facendo ricerche sul teatro turco, di cui si propone di scrivere in futuro una storia generale. Nihal è molto più giovane del marito, lo ha sposato sperando in una vita brillante, ma ora si sente in trappola e cerca di dare un senso alla sua esistenza organizzando una raccolta di fondi da destinare alle scuole della regione.

In inverno la neve comincia a cadere, l'albergo si trasforma in un rifugio, ma anche in un luogo ineludibile che alimenta le animosità dei protagonisti del film.

Un giorno, il vetro dello sportello dell'auto su cui sta viaggiando Aydın col suo assistente Hidayet, viene colpito da una pietra e sta per uscire fuori strada. La pietra è stata lanciata da İlyas, figlio di Ismail, uno degli affittuari di Aydın che è rimasto indietro di diversi mesi nel pagamento dell'affitto. Il gesto è stato determinato dal fatto che gli amministratori di Aydın avevano affidato il recupero del credito a un'agenzia che ha pignorato il televisore e il frigorifero dalla casa di İsmail, il quale è stato anche picchiato dalla polizia per aver resistito agli agenti.

Nihal ha organizzato un incontro in casa con i membri del suo comitato di raccolta fondi, ma vive come un'intrusione l'intervento del marito che intende aiutarla a riordinare la contabilità delle donazioni. Ne nasce un litigio in cui i loro problemi di convivenza si rivelano e in cui Nihal rivela ad Aydın il proprio disprezzo.

Aydın, turbato, dice alla giovane che non s'intrometterà nei suoi progetti e che trascorrerà il resto dell'inverno a İstanbul. In realtà finge di partire fermandosi invece da un amico che abita poco lontano. Nihal approfitta della sua assenza per andare a portare a İsmail, presso la casa del fratello Hamdi, la grossa somma ricevuta dal marito come contributo per la sua iniziativa. Ma İsmail, rientrato ubriaco, la mette in imbarazzo chiedendole con rabbia di spiegargli perché vuole fargli quel regalo, poi getta nel fuoco con disprezzo le banconote, accusando la giovane di volersi lavare la coscienza con un gesto che non può cancellare le umiliazioni ricevute da parte del marito. Lei, scioccata dall'accaduto, torna a casa.

Il giorno dopo, anche Aydın rientra a casa e, mentre Nihal lo guarda in silenzio dalla finestra, si sente la voce di Aydın che spiega di amare Nihal, anche se non riesce a esprimerle la profondità del suo amore, e che, pur sapendo di non essere più amato, non può vivere senza di lei e desidera comunque restarle vicino, essendo l'unico affetto che gli rimane. Infine, Aydın riprende le sua consuete occupazioni sedendosi al tavolo davanti al computer e iniziando a scrivere.

Analisi del film
Il personaggio centrale del film esprime appieno «l’aridità dell’egoismo, che qui assume ulteriori connotazioni: il senso di superiorità e il disprezzo nei confronti del prossimo, il paternalismo soffocante e vampiresco verso la moglie, l’ostilità sprezzante dissimulata dalle buone maniere e dall’adesione a una giustizia e legittimità che rimangono astratte e teoriche e non sono mai vissute nella concretezza dei rapporti umani [...] Aydin è quindi un uomo che ha sempre mentito a se stesso, illudendosi dell’onestà e lucidità della propria coscienza.»

Non meglio di lui «La stessa Nihal [...] vive come una parassita alle spalle del marito e non ha il coraggio di lasciarlo per affrontare tutte le difficoltà pratiche che ne conseguirebbero. Perfino un ragazzino come Ilyas appare già contagiato dai risentimenti degli adulti: Ceylan si sofferma a inquadrare in dettaglio i suoi sguardi astiosi e, per la tensione emotiva, addirittura sviene quando deve chiedere il perdono di Aydin.»

Infine la scena finale di Aydin tranquillamente al lavoro con il suo computer esprime chiaramente «il protrarsi indefinito di una situazione


Interpreti e personaggi
Haluk Bilginer: Aydın
Melisa Sözen: Nihal
Demet Akbağ: Necla
Ayberk Pekcan: Hidayet
Tamer Levent: Suavi
Serhat Mustafa Kiliç: Hamdi
Nejat İşler: İsmail
Nadir Saribacak: Levent
Mehmet Ali Nuroğlu: Timur
Doppiatori italiani
Rodolfo Bianchi: Aydın
Chiara Colizzi: Nihal
Stefanella Marrama: Necla
Angelo Nicotra: Suavi
Alessandro Quarta: Levent

Morte di un maestro del tè (titolo originale: Sen no Rikyu) è un film giapponese diretto nel 1989 dal regista Kei Kumai, dedicato alla vita ...

Morte di un maestro del tè (titolo originale: Sen no Rikyu) è un film giapponese diretto nel 1989 dal regista Kei Kumai, dedicato alla vita del maestro del tè Sen no Rikyū.

Un film che ha diviso la critica alla Mostra di Venezia del 1989 e ha ricevuto ex aequo con un film portoghese il Leone d'Argento. Uno dei più fedeli discepoli di Sen No Rikyu, grande maestro del tè, vive ancora del ricordo di ciò che il suo istruttore gli ha insegnato. Viene invitato un giorno da Uraku, un altro discepolo, all'inaugurazione di una nuova sala da tè perché quest'ultimo vuole un aiuto nella ricostruzione dell'ultimo periodo di vita del maestro e conoscere le cause che lo portarono a fare harakiri. Molto tradizionale nello spirito del cinema giapponese, il film ha una sua bellezza pur rimanendo su toni freddi e intellettuali.

Trama
Il film racconta il tentativo dei due discepoli di ricostruire l'ultimo periodo di vita del maestro e le cause che lo portarono al suicidio rituale (seppuku).

1618. Malgrado siano trascorsi ventisette anni dalla morte di Sen no Rikyu, gran cerimoniere del tè, il suo prediletto discepolo Honkakubo vive il lutto del maestro in dignitosa povertà e ha di continuo sogni e visioni in cui il defunto gli appare sempre in atteggiamento ieratico. Incontratosi con Uraku, un altro discepolo di Rikyu, Honkakubo cerca di rievocare gli avvenimenti che avevano indotto il maestro a suicidarsi tramite karakiri: Rikyu, addetto alla cerimonia del tè per il sovrano Hideyoshi, negli ultimi anni della sua permanenza a corte aveva sofferto amara umiliazione poiché il suo signore pretendeva che la cerimonia si svolgesse a propiziare fini violenti. Da qui l'opposizione di Rikyu, non solo rispettoso custode dell'essenza etica e delle antiche forme del rituale, ma anche tenace oppositore di alcune idee politiche di Hideyoshi, desideroso di invadere la Corea. Per il maestro Rikyu, ormai condannato all'esilio, dopo essere stato scacciato da Kioto, non vi era altra possibilità per la sua dignità di cerimoniere che una morte per karakiri.

Produzione
Tratto dal testo di Yasushi Inoue Honkakubo ibun ("Il testamento di Honkakubo"), è basato su elementi e figure realmente esistite come l'allievo di Rikyu, Honkakubo e Urakusai, fratello minore del daimyō Oda Nobunaga.

Interpreti e personaggi
Toshirō Mifune: Rikyu no Sen
Eiji Okuda: Honkakubo
Kinnosuke Yorozuya: Urakusai Oda
Go Kato: Oribe Furuta
Shinsuke Ashida: Hideyoshi Toyotomi

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