Fin dal termine della prima parte de La quarta verità di Iain Pears, infatti, il lettore comprende che si trova davanti a quattro testimoni...

iain_pears_la quarta veritàFin dal termine della prima parte de La quarta verità di Iain Pears, infatti, il lettore comprende che si trova davanti a quattro testimoni dai punti di vista così diversi che, pur avendo tutti vissuto in prima persona l’omicidio di un professore nella Oxford del 1663, le testimonianze, le deduzioni, le conclusioni di ciascun protagonista sembrano, in buona fede o per calcolo, smentire quelle degli altri.

Nonostante un colpo di scena finale facilmente prevedibile, si è spinti ad arrivare alla fine delle oltre 700 pagine La quarta verità, mantiene intatto il fascino del romanzo basato su fonti storiche, su fatti realmente accaduti e su personaggi realmente esistiti nell’Inghilterra, e nell’Europa, del diciassettesimo secolo. Diplomazia, intrighi, complotti, guerre di religione, nuove teorie filosofiche e mediche… 

C’è n’è un po’ per tutti i gusti ed anche il lettore più esigente apprezzerà, oltre alla trama, lo sforzo linguistico, di Iain Pears che ha saputo tratteggiare ognuno dei protagonisti in modo impeccabile anche dal punto di vista espressivo.

L'idea veramente originale di questo libro è quella di raccontare quattro volte la stessa storia. Quella che sembra un'oggettiva sequenza dei fatti acquista, in questo modo, sfumature sempre differenti. La banale realtà della prima narrazione (che non va saltata, anche se un po' noiosa, altrimenti non capirete niente!) è necessaria per poter comprendere le altre realtà delle successive. E la verità, ciascuna verità, sarà sempre diversa, eppure vera, come le successive reazioni chimiche di una serie di esperimenti successivi.

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Inoltre, l'ambientazione storica (l'Inghilterra all'indomani della restaurazione della monarchia Stuart, nel 1664) è curata nel dettaglio, e non costituisce solo uno sfondo, ma è parte integrante nella storia. Il che può essere anche un limite: i personaggi sono numerosissimi, e questo, insieme ai riferimenti a vicende che possono non essere sempre esattamente presenti al lettore, possono creare un certo smarrimento. Ma, in ogni caso, non tale da inficiare la comprensione.
 
Leggere questo libro è stata un'esperienza affascinante.

Ora, non voglio gridare al capolavoro, alla grande letteratura. Semmai al bel romanzo. Che fa riflettere su quanto, in un'epoca come la nostra che sembra volere cercare a tutti i costi la verità, la realtà oggettiva, le mediazioni siano necessarie e costringano la nostra opinione verso un obbligato binario di pensiero, dal quale solo con uno sforzo riusciamo a distaccarci.

Normalmente siamo abituati e tenere in considerazione maggiore quello che è scritto, piuttosto che quello che ci viene detto a voce. Subiamo, in una qualche misura, una certa venerazione verso la parola scritta, meglio se stampata, ma adesso anche webbata. Certo, per la rete c'è sempre una certa diffidenza, ma tendiamo a considerare quanto scritto in alcuni siti come più fededegno di altri, o addirittura, in certi casi, superiori a quello che troviamo tra i caratteri stampati. Certo, se si legge una cosa sul blog di Ipazia Sognatrice, e si legge l'opposto su Corriere.it, non si hanno dubbi su chi debba essere il depositario della nostra fiducia (lascio volutamente in sospeso questa frase, così magari qualcuno ci casca... ).

In realtà, ogni messaggio, a prescindere dal mezzo, è sempre portatore di una fra le mille verità possibili. O meglio, fra le mille interpretazioni della verità che potremmo trovare. E se questo ci può confortare dell'umanità che tutto permea ed avvolge, ci getta però anche in un imbarazzo ancor più grande: quello di dover scegliere a chi, ed in che misura credere. Ma ci tornerò, spero, su questo.

Intanto, un'ultima cosa sul libro di Pears: il titolo italiano La quarta verità riesce piuttosto piatto, muto, rispetto all'originale An instance for the Fingerpost, che si rifà, nientemeno, agli scritti di Lord Bacon, dove l'stanza cruciale era l'esperimento, l'elemento che finalmente riesce ad indicare allo scienziato quale via seguire, dopo una serie di esperimenti non significativi, esattamente come un cartello stradale (fingerpost, appunto). Forse, un titolo quale L'istanza cruciale, o La quarta istanza avrebbe retto meglio il confronto, pur sempre perdente, con l'originale.


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Iain Pears (Coventry, 1955) è uno storico dell'arte e scrittore inglese. Ha studiato al Wadham College e al Wolfson College, entrambi d...

IAIN PEARSIain Pears (Coventry, 1955) è uno storico dell'arte e scrittore inglese. Ha studiato al Wadham College e al Wolfson College, entrambi di Oxford (città dove vive tuttora).

Ha lavorato per anni come giornalista per la Reuters prima di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno.

Autore di innumerevoli articoli di argomento artistico e storico, ha raggiunto il successo internazionale di pubblico e di critica con il romanzo La Quarta Verità, pubblicato da Longanesi nel 1999, cui sono seguiti Il Sogno di Scipione e Il Ritratto. Della serie di romanzi polizieschi ambientati nel mondo dell'arte che hanno come protagonisti Taddeo Bottardi, Flavia Di Stefano e Jonathan Argyll, sono stati pubblicati: Il Caso Raffaello, Il Comitato Tiziano, Il Busto di Bernini, Il Auadro che Uccide, Il Tocco di Giotto e La Pista Caravaggio.

Bibliografia.

Serie di Jonathan Argyll.
    1990 - Il caso Raffaello (The Raphael Affair).
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    1991 - Il comitato Tiziano (The Titian Committee).
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    1992 - Il busto di Bernini (The Bernini Bust).
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    1993 - Il quadro che uccide (The Last Judgement).
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    1994 - Il tocco di Giotto (Giotto's Hand).
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1995 - La pista Caravaggio (Death and Restoration).

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2000 - La donna che collezionava segreti (The Immaculate Deception).
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Altri romanzi.
    1997 - La quarta verità (An Instance of the Fingerpost).
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    2002 - Il sogno di Scipione (The Dream of Scipio).
    2005 - Il ritratto (The Portrait).
    2009 - L'uomo caduto dal tetto del mondo (Stone's Fall).
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Saggistica.
    1988 - The Discovery of Painting.
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Quando il corpo di una giovane donna, colpito da numerose coltellate, viene rinvenuto in un isolato cimitero di Londra, Lynley e la sua squa...

questo-corpo-mortale-elizabeth-george-libriQuando il corpo di una giovane donna, colpito da numerose coltellate, viene rinvenuto in un isolato cimitero di Londra, Lynley e la sua squadra sono chiamati a intervenire. 

Ma questo non è un caso come gli altri: li condurrà infatti dalle cupe periferie londinesi allo Hampshire, una zona dell'Inghilterra sconosciuta ai più, un luogo bello e al tempo stesso inquietante, dove gli animali vagano liberi per le strade, i tetti sono ancora di paglia e gli estranei non sono i benvenuti. Una zona che nasconde segreti tragici, crudeli, efferati. 

Cosa ha portato la vittima dalla serenità apparente dello Hampshire alla caleidoscopica confusione di Londra, e chi poteva volere la sua morte? Sono troppi, e spesso misteriosi, i personaggi che si muovevano nella sua orbita: una pittoresca sensitiva, un violinista visionario che sente le voci degli angeli, un artista di strada che colleziona amanti; oltre a un ex fidanzato dal passato oscuro... Un puzzle intricato e sconvolgente, strutturato per condurre il lettore fino alla fine del romanzo con il fiato in gola.

In “Questo corpo mortale” (Longanesi) di Elisabeth George  in Gran Bretagna il mese di giugno era insolitamente caldo. Si susseguivano “giorni senza una nuvola” i quali facevano presagire “un luglio e un agosto torridi”.
Questo clima si ravvisava sia nella movimentata Londra sia nella New Forest nell’Hampshire terra incantata nella quale sembrava non accadere mai nulla.
In uno dei tanti villaggi del luogo composto di cottage dai tetti di paglia e dove i pony “abitanti di antica data della New Forest” brucano liberamente nei prati, tra i sorbi e le betulle, sotto querce e faggi antichisssimi, una giovane donna Jemina Hastings era scomparsa improvvisamente alcuni mesi prima lasciando l’ex fidanzato Gordon Josse, il suo negozio avviato di dolci The Cupcake Queen, le sue amicizie e il fratello Robbie. In un rifugio accanto a una cappella del giardino - cimitero di Abney Park nella zona nord - orientale di Londra era stato ritrovato il cadavere di una giovane donna colpita da numerose coltellate, quel corpo mortale apparteneva proprio a Jemina Hastings, la quale aveva deciso di iniziare una nuova esistenza nella capitale britannica lontano dal suo luogo di origine. Le indagini erano state affidate a Isabelle Ardery sovrintendente investigativo provvisorio di New Scotland Yard, due figli gemelli di otto anni, divorziata, con una pericolosa propensione al bere. La squadra investigativa di Thomas Lynley le cui punte di diamante erano i sergenti investigativi Barbara Havers e Winston Nkata “molto alto, molto scuro, con il viso sfregiato da una cicatrice, ricordo di una rissa adolescenziale” ora erano alle dirette dipendenze dell’ultima arrivata, dopo che il sovrintendente Lynley aveva deciso di prendersi una pausa dal lavoro in seguito all’omicidio della moglie Helen.

La maestra assoluta del mystery all’inglese” come l’ha definita The New York Times, non delude i suoi appassionati lettori e riporta sulla scena del crimine l’ottavo Conte di Asherton il quale si era rifugiato nella natia Cornovaglia per cercare di dare libero sfogo al suo immenso dolore. L’aristocratico Thomas aveva deciso di ritornare a vivere a Londra nella sua abitazione nel quartiere di Belgravia accudito dal suo maggiordomo Charlie Denton. L’uomo era stato convinto da Isabelle a ritornare in servizio, insieme avrebbero cercato di risolvere un caso che via via si andava rivelando sempre più complicato. “Io credo che potremmo lavorare insieme Thomas. Credo che possiamo lavorare molto bene insieme, a dirla tutta”. Chi aveva ucciso Jemima dagli “occhi opachi” il cui cadavere è stato ritrovato in uno storico cimitero che sembra un labirinto dove non avrebbe dovuto stare?
Tutti i rapporti degli agenti investigativi che interrogarono sia Michael Spargo sia sua madre prima della formalizzazione delle accuse contro di lui, indicano che il mattino del decimo compleanno del ragazzo era cominciato male. Certo, tali rapporti potrebbero essere ritenuti so­spetti, vista la natura del crimine di Michael e la forte ostilità della po­lizia e dei membri della comunità nei suoi confronti, tuttavia non si può ignorare il fatto che la lunga relazione dell'assistente sociale ri­masta al suo fianco durante gli interrogatori e gli atti del successivo processo riferiscono le stesse cose. Ci sono sempre dei particolari che rimangono ignoti a chi studia gli abusi sull'infanzia, le disfunzioni fa­miliari e le psicopatologie causate da tali abusi e disfunzioni, ma i fatti principali non si possono nascondere, perché di essi sono necessaria­mente testimoni, a volte direttamente coinvolti, coloro che vengono in contatto con i soggetti coinvolti nel momento in cui questi mostra­no - consciamente o inconsciamente - i disturbi mentali, psicologici o emotivi di cui soffrono. Con Michael Spargo e la sua famiglia accad­de proprio questo.

Michael era il sesto di nove figli. Due di loro (Richard e Rete, che all'epoca avevano diciotto e quindici anni) e la madre, Sue, erano già schedati per comportamento antisociale a causa di continue liti con i vicini, molestie nei confronti dei pensionati delle case popolari, ubria­chezza e danneggiamento di proprietà pubbliche e private. Il padre non viveva con loro: quattro anni prima del decimo compleanno di Michael, Donovan Spargo aveva abbandonato moglie e figli ed era andato a vivere in Portogallo con una vedova di quindici anni più vec­chia, lasciando un biglietto d'addio e una banconota da cinque ster­line sul tavolo della cucina. Da allora non si era più saputo nulla di lui. Al processo di Michael non si fece vedere.



Sue Spargo, che non aveva la benché minima qualifica lavorativa e il cui livello di istruzione non andava oltre un fallito tentativo di pren­dere il diploma, non si vergogna di ammettere « di essersi messa a bere un po' troppo » dopo l'abbandono da parte del marito e di ave

re, di conseguenza, un po' trascurato i suoi figli da quel momento in poi. Sembra che prima della partenza di Donovan Spargo la famiglia mantenesse un certo grado di stabilità apparente (come indicano sia i rapporti scolastici sia i commenti dei vicini e le relazioni della polizia), ma che, una volta partito il capofamiglia, i problemi ignoti alla comu­nità avessero cominciato a venire a galla.
La famiglia viveva nel Buchanan Estate, una squallida distesa di torri grigie di acciaio e cemento e casette a schiera, in un quartiere dall'appropriato nome di Gallows, « Forca », tristemente noto per le risse da strada, i furti d'auto, le effrazioni e le aggressioni agli an­ziani. Gli omicidi erano rari, ma la violenza era all'ordine del giorno. Gli Spargo erano tra i fortunati: essendo una famiglia numerosa, vi­vevano in una delle case a schiera e non in una delle torri; avevano un giardino sul retro e un fazzoletto di terra sul davanti, anche se incolti. La casa era composta da soggiorno, cucina, quattro camere da letto e un bagno. Michael condivideva la stanza con i fratelli minori; erano cinque in tutto, divisi in due letti a castello. Tre dei fratelli maggiori dividevano la stanza adiacente e solo Richard, il maggiore, aveva una stanza tutta per sé, un privilegio a quanto pare dovuto alla sua aggressività verso i fratelli minori. Anche Sue Spargo aveva una stan­za sua. È curioso notare come negli interrogatori affermi più volte che « quando i ragazzi si ammalavano dormivano con lei » e « non con quel mascalzone di Richard».

Il giorno del decimo compleanno di Michael, la polizia venne chia­mata poco dopo le sette. Una lite era degenerata al punto che i vicini avevano cercato di intervenire. Questi ultimi affermano che il loro in­tento era solo quello di riportare la pace e la tranquillità; Sue Spargo, al contrario, li accusa di aver aggredito i suoi ragazzi. L'esame dei ver­bali degli interrogatori della polizia rivela che tra Richard e Rete Spar­go era cominciata una lite al piano superiore, causata dal fatto che Rete non si decideva a liberare il bagno. Richard, molto più grande e forte del fratello, lo aveva aggredito brutalmente. A quel punto Doug, di sedici anni, era intervenuto in difesa di Rete; questo aveva trasformato Rete e Richard in alleati, che insieme avevano aggredito Doug. Quando Sue Spargo era intervenuta, la rissa si era già spostata al piano di sotto, e nel momento in cui era sembrato che Richard e Rete fossero sul punto di aggredire anche lei, il dodicenne David ave­va pensato di proteggerla con un coltello da macellaio preso in cuci­na, dove, a sentire lui, era andato a prepararsi la colazione.

A quel punto erano stati coinvolti i vicini, svegliati dal rumore al di là delle pareti. Purtroppo queste persone, tre in tutto, si erano pre­sentate dagli Spargo armate di una mazza da cricket, un cric e un martello. Stando al resoconto di Richard, era stata proprio la vista di quelle armi a fargli perdere il controllo. « Volevano attaccarci, altro che », affermò il ragazzo, che si considerava il capofamiglia, in dove­re di proteggere la madre e i fratelli.

Michael Spargo si era svegliato nel bel mezzo di quel delirio. « Ri­chard e Rete se la stavano prendendo con la mamma », si legge nella sua deposizione. « Li sentivamo, io e i piccoli, ma non volevamo met­terci in mezzo. » Afferma che non era spaventato, ma alla richiesta di ulteriori spiegazioni, risulta chiaro che aveva fatto di tutto per stare alla larga dai fratelli maggiori per « evitare guai se mi fossi messo con­tro di loro ». Cosa che non sempre gli riusciva, come confermato dai suoi insegnanti, tre dei quali avevano riferito agli assistenti sociali di graffi, ecchimosi, bruciature e di almeno un occhio nero. Tuttavia, l'unico effetto di quei rapporti era stato solo un sopralluogo. Eviden­temente il sistema era troppo oberato per occuparsene.

Ci sono riscontri del fatto che Michael sfogasse quei maltratta­menti sui fratellini minori. Dalle testimonianze raccolte dopo che i quattro più piccoli vennero dati in affidamento, sembra infatti che Michael fosse stato incaricato di evitare che il piccolo Steve « bagnas­se il letto». Privo di indicazioni su come far fronte al compito, pare che facesse regolarmente ricorso alle botte con il fratellino di sette anni, il quale a sua volta sfogava la sua rabbia sui più piccoli.
Non si sa se quel mattino Michael abbia picchiato i fratellini. A sentire lui, una volta arrivata la polizia, si era alzato, aveva messo la divisa della scuola ed era sceso in cucina con l'intenzione di fare co­lazione. Sapeva che era il suo compleanno, ma non si aspettava che la ricorrenza venisse ricordata. « Non me ne fregava niente», avreb­be detto più tardi alla polizia.

La colazione consisteva in cereali e merendine alla marmellata. Non c'era latte-fatto che Michael ribadisce due volte nei primi inter­rogatori - per cui aveva mangiato i cereali così com'erano, lasciando le merendine ai fratellini più piccoli. Ne aveva presa una e l'aveva messa nella tasca della giacca a vento color senape (sia la merendina sia la giacca a vento si sarebbero rivelati particolari cruciali) ed era uscito di casa dal cortile posteriore.
Disse che era sua intenzione andare direttamente a scuola, e nel primo interrogatorio ribadisce di esserci andato. Non cambia versione fino a quando non gli viene letta la deposizione del suo insegnante che al contrario attesta la sua assenza; a quel punto cambia la storia e confessa di essere andato negli orti del Buchanan Estate, situati die­tro le case a schiera dove vivevano gli Spargo, e che una volta lì, for­se, « poteva aver tormentato un po' un vecchio che lavorava in uno degli orti » e « forse poteva essere entrato in uno dei capanni » e « poteva aver preso un paio di cesoie, solo che non le aveva tenute, non lo faceva mai ». Il « vecchio » in questione conferma la presenza di Michael negli orti alle otto del mattino, anche se ritiene improba­bile che gli appezzamenti coltivati potessero avere per lui qualche in­teresse, tanto che aveva passato circa un quarto d'ora « a calpestar­li », afferma il pensionato, finché « non gliene ho dette quattro. Allo­ra se n'è andato, con una sfilza di parolacce».

Sembra che a quel punto Michael si sia incamminato in dirczione della scuola, a poco più di un chilometro dal Buchanan Estate. E du­rante il tragitto si sia imbattuto in Reggie Arnold.

Reggie e Michael non potevano essere più diversi: mentre quest'ulti­mo era alto per la sua età, e piuttosto magro, Reggie era grassottello, tracagnotto e con la testa rasata, dettaglio per cui veniva regolar­mente preso in giro a scuola (era soprannominato Crapapelata), ma a differenza di Michael i suoi vestiti erano sempre puliti e in ordi­ne. Secondo gli insegnanti, Reggie era un bravo ragazzo, ma molto suscettibile; alla richiesta di maggiori spiegazioni, tendono ad attri­buire questa suscettibilità ai « problemi con il padre e la madre, oltre che al problema del fratello e della sorella ». Stando a ciò, è probabil­mente corretto affermare che la strana natura del matrimonio degli Arnold, aggiunta all'invalidità del fratello maggiore e all'infermità mentale della sorella, rendesse Reggie particolarmente vulnerabile al­lo scompiglio della vita quotidiana.
C'è da dire che la sorte non aveva servito delle belle carte a Rudy e Laura Arnold: il figlio maggiore era inchiodato su una sedia a rotelle a causa di una gravissima paralisi cerebrale e la figlia era stata dichia­rata inadatta a frequentare una classe normale. Due fattori che ave­vano portato gli Arnold a concentrare tutte le loro attenzioni sui figli dliabìlì, caricando di ulteriori tensioni un matrimonio già fragile, durante il quale si erano più volte lasciati, con il risultato che Laura era costretta a cavarsela da sola.

Era quindi improbabile che, in una simile situazione, Reggie potes­se ricevere molte attenzioni. Laura confessa candidamente di « non essersi comportata bene con lui », mentre il padre afferma di « averlo fatto andare da lui quattro o cinque volte », riferendosi evidentemen­te all'adempimento dei propri doveri nei periodi di separazione. Co­me si può immaginare, il bisogno insoddisfatto di attenzioni e cure di Reggie si era trasformato in tentativi di attirare l'attenzione degli adulti. Fuori casa questo si traduceva in piccoli furtarelli e in episodi di bullismo verso i ragazzi più piccoli; a scuola, invece, in una condot­ta indisciplinata. Purtroppo questa sua mancanza di disciplina era in­terpretata dai professori come « suscettibilità », appunto, e non co­me il grido di aiuto che in effetti era. Quando veniva contraddetto, Reggie rovesciava il banco e lo prendeva a testate, come faceva con i muri, e si buttava per terra smaniando.
Secondo i resoconti sul giorno del delitto - confermati dalle tele­camere di sorveglianza - Michael Spargo e Reggie Arnold si incontra­rono davanti a un negozio vicino a casa di Reggie, sul percorso che Michael faceva per andare a scuola. I due ragazzi si conoscevano e dovevano aver giocato insieme in passato, anche se i rispettivi geni­tori non sapevano nulla della loro amicizia. Laura Arnold dice di aver mandato Reggie al negozio a prendere il latte, e il negoziante confer­ma che Reggie aveva effettivamente comprato mezzo litro di latte parzialmente scremato oltre, a quanto pare, ad aver rubato due bar­rette di Mars, «per scherzo», a sentire Michael.

Michael si unì a Reggie e, mentre tornavano a casa di quest'ulti­mo, celebrarono l'incontro aprendo il cartone del latte, che versaro­no nel serbatoio di una Harley-Davidson, uno scherzo a cui assistette lo stesso proprietario della moto, il quale li inseguì invano. Il motoci­clista riconobbe in seguito la giacca a vento color senape indossata da Michael e, pur non conoscendo il nome di nessuno dei due ragaz­zi, fu in grado di identificare Reggie Arnold tra le fotografie che la po­lizia gli mostrò.

Arrivato a casa senza il latte che era stato mandato a comprare, Reggie raccontò alla madre, con Michael a suffragare la sua versione, di essere stato aggredito da due ragazzi, i quali gli avevano rubato il denaro per il latte. « Piangeva e stava per fare una delle sue solite sce­nate», afferma Laura Arnold. « E io gli ho creduto: che altro potevo fare? » In effetti. Considerando che doveva prendersi cura da sola di due bambini disabili, la mancanza di un cartone di latte, per quanto necessario fosse stato quel mattino, non poteva che sembrare poca cosa. Volle invece sapere chi fosse il ragazzo che accompagnava il fi­glio. Reggie presentò Michael Spargo come un « compagno di scuo­la », e se lo portò dietro mentre andava a svolgere il secondo dei compiti che la madre gli aveva assegnato, vale a dire fare alzare dal letto la sorella. A quel punto erano quasi le otto e quarantadn-que, e se i ragazzi avevano in programma di andare a scuola, sareb­bero arrivati tardi. Senza dubbio ne erano consapevoli, come risulta dall'interrogatorio di Michael, che riferisce di un diverbio tra Reggie e sua madre a proposito dell'ordine da lei impartito: « Reggie si lamen­tava che avrebbe fatto tardi, ma a lei non importava. Gli disse di por­tare il culo di sopra e di far scendere la sorella, e che doveva ringra­ziare Dio di non essere come gli altri due». A quanto pare, era un ritornello che Laura ripeteva di frequente.

Reggie però non obbedì all'ordine e mandò sua madre « a fare quella brutta cosa » (queste le parole di Michael; Reggie doveva esse­re stato molto più diretto). I due ragazzi uscirono e una volta in strada videro Rudy Arnold, che doveva essere arrivato mentre loro erano in casa, il quale se ne stava in macchina « come se avesse paura di en­trare ». Lui e Reggie si scambiarono qualche parola, di tenore tutt'al-tro che amichevole, almeno da parte di Reggie. Michael asserisce di aver chiesto chi fosse quell'uomo, perché pensava che fosse « il ra­gazzo della madre, o qualcosa di simile», sentendosi rispondere che « quello stupido coglione » era suo padre, dichiarazione alla qua­le seguì un piccolo atto di vandalismo: Reggie prese il cestino del latte di un vicino, lo buttò in strada, gli saltò sopra e lo ruppe.

Michael afferma di non aver preso parte alla cosa. Nella sua depo­sizione a quel punto afferma di aver avuto intenzione di andare a scuola, ma che Reggie aveva insistito per saltare la lezione e andare a divertirsi, una volta tanto. Fu di Reggie, a quanto afferma Michael, l'idea di includere lan Barker in quello che seguì.

All'età di undici anni lan Barker era già stato etichettato come ragaz-10 difficile, disadattato, problematico, pericoloso, borderline, iroso e pllcopatico, a seconda dei rapporti sui quali appare. All'epoca era l'u-figlio di una ragazza di ventiquattro anni (il padre rimane tuttora ignoto) che lui aveva sempre preso per sua sorella. Sembra che fosse parecchio affezionato alla nonna, che credeva sua madre, mentre odiava la ragazza che in realtà lo era. Quando aveva compiuto nove anni era stato considerato grande abbastanza per conoscere la verità. Lui però non l'aveva presa affatto bene, soprattutto perché l'aveva saputo quando Patricia Barker era stata invitata ad andarsene dalla casa di sua madre, portandosi dietro il figlio. La nonna di lan afferma di aver cercato di amarli « con severità. Sarei stata più che felice di tenerli con me tutti e due, il ragazzo e Tricia, a patto che quella ra­gazza lavorasse, ma lei non voleva saperne, voleva solo feste, amici e uscire come e quanto le pareva. Ho pensato che se fosse stata costret­ta ad allevare suo figlio da sola, avrebbe cambiato modo di fare ».

Tricia però non era cambiata. Il governo le aveva assegnato una casa, anche se piccola, dove doveva dividere la stanza con il figlio. Probabilmente la stessa stanza dove lan aveva cominciato a vedere sua madre mentre faceva sesso con uomini diversi e, almeno in un'occasione, con più di uno. Vale la pena notare che lan non si rife­risce mai a lei né come a sua madre né come a Tricia, ma con una serie di epiteti quali « puttana, troia, zoccola, vacca, baldracca ». La nonna non viene nemmeno nominata.

Michael e Reggie non ebbero difficoltà a rintracciare lan Barker, quel mattino. Non andarono a casa sua - a sentire Reggie, « sua ma­dre era sempre incazzata, e gridava parolacce dalla porta » - ma si imbatterono in lui mentre se la prendeva con un ragazzine più picco­lo che stava andando a scuola, lan « gli aveva buttato per terra lo zai­no », e stava frugando all'interno alla ricerca di qualcosa di valore, so­prattutto soldi. Non trovando niente che valesse la pena rubare, lan « lo sbattè contro il muro di una casa » e, secondo le parole di Mi­chael, «cominciò a picchiarlo».

Né lui né Reggie cercarono di fermarlo. Reggie dice che «si stava solo divertendo un po', avevo capito che non voleva fargli male »; Mi­chael afferma invece che « non riuscivo a vedere bene cosa stava fa­cendo », cosa alquanto improbabile, visto che i due ragazzi erano da­vanti a lui sul marciapiede. Quali che fossero le intenzioni di lan, si risolsero nel nulla: un motociclista si fermò e chiese cosa stava succe­dendo, mettendo in fuga i ragazzi.

Qualcuno ha suggerito che proprio la frustrazione delle sue pulsio­ni violente sia stata all'origine di quello che avvenne in seguito. E in effetti, durante l'interrogatorio Reggie sembra più che ansioso di puntare il dito contro lan. Ma benché il suo carattere iroso lo avesse portato in passato a commettere atti riprovevoli, che lo misero in una luce ben peggiore rispetto agli altri due ragazzi quando saltò fuori la verità, le prove dimostrarono che fu correo in quello che seguì.


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Susan Elizabeth George (Warren, 26 febbraio 1949) è una scrittrice statunitense, specializzata nel romanzo giallo. All'età di 18 mes...

elizabeth-george Susan Elizabeth George (Warren, 26 febbraio 1949) è una scrittrice statunitense, specializzata nel romanzo giallo.

All'età di 18 mesi si trasferisce in California.

Insegna lingua inglese alla scuola pubblica, mentre si laurea in psicologia.

Attualmente vive fra Huntington Beach (California) e South Kensington (Inghilterra).

Serie sull'Ispettore Lynley.

    1988 - E liberaci dal padre (A Great Deliverance), Longanesi.
    1989 - La miglior vendetta (Payment in Blood), Longanesi.
    1990 - Scuola omicidi (Well-Schooled in Murder), Longanesi.
    1991 - Il lungo ritorno (A Suitable Vengeance), TEA ; Il Giallo Mondadori n. 2322 (Il romanzo è comunque ambientato prima di tutti gli altri, con Linley fidanzato con Deborah.).
    1992 - Per amore di Elena (For the Sake of Elena), Il Giallo Mondadori n. 2423
    ristampato nel 2008 con il titolo "Corsa verso il baratro" da Longanesi .
    1993 - Dicembre è un mese crudele (Missing Joseph), Il Giallo Mondadori n. 2469
    ristampato nel 2010 da Longanesi.
    1994 - Un pugno di cenere (Playing For the Ashes), Longanesi.
    1996 - In presenza del nemico (In the Presence of the Enemy), Longanesi.
    1997 - Il prezzo dell'inganno (Deception On His Mind), Longanesi.
    1999 - Il morso del serpente (In Pursuit of the Proper Sinner), Longanesi.
    2001 - Cercando nel buio (A Traitor to Memory), Longanesi.
    2005 - Nessun testimone (With No One as Witness), Longanesi.
    2006 - Prima di ucciderla (What Came Before He Shot Her), Longanesi.
    2008 - La donna che vestiva di rosso (Careless in Red), Longanesi.
    2010 - Questo corpo mortale (This Body of Death), Longanesi.

questo-corpo-mortale-elizabeth-george-libri
    2012 - Believing the lie

Altri romanzi.

    2003 - Agguato sull'isola (A Place of Hiding), Longanesi (Il romanzo non ha il duo Linley-Havers come protagonisti, ma St. James e la moglie Deborah, già trovati negli altri romanzi.).

Antologie di racconti.

    1999 - The Evidence Exposed.
    2001 - Un omicidio inutile (I, Richard), Tea.

Saggistica.

    2004 - Write Away: One Novelist's Approach to the Novel.

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Mo Hayder (Essex, 1962) è una scrittrice britannica. Figlia di uno scienziato, abbandona gli studi per recarsi a Londra a lavorare come c...

Mo-HaydenMo Hayder (Essex, 1962) è una scrittrice britannica.

Figlia di uno scienziato, abbandona gli studi per recarsi a Londra a lavorare come cameriera. Abbandonata anche questa professione, si trasferisce a Tokyo, in Giappone. Qui lavora come giornalista per una piccola testata, finché non decide di lasciare tutto e recarsi negli Stati Uniti d'America.

Dopo aver studiato ed essersi laureata in cinematografia e girato alcuni film, ritorna a Londra, dove trova lavoro come guardia di sicurezza. Questo lavoro le permette di avere quel tempo libero che cerca per portare a termine un progetto: scrivere un romanzo. Nasce così il thriller Birdman, suo esordio letterario.

Il suo debutto, BIRDMAN , pubblicato nel gennaio 2000, è stato un bestseller internazionale. Il suo secondo romanzo, IL TRATTAMENTO , anche un best-seller Domenica Times, ha vinto il WH Smith 2002 martellante Buona lettura premio. Il suo terzo romanzo Domenica Times bestseller TOKYO , che è stata pubblicata nel maggio 2004 nel Regno Unito, ha vinto il premio magazine Elle la criminalità fiction, la SNCF Prix Polar, ed è stato nominato per tre premi CWA pugnale. Tokyo è stato pubblicato come IL DIAVOLO di Nanchino negli Stati Uniti marzo 2005. Pig Island il suo best seller quarto è stato pubblicato nell'aprile 2006 ed è stato nominato sia per un Barry Award per il miglior romanzo poliziesco britannico e un pugnale CWA. Il suo quinto libro, RITUAL , il primo della serie MAN WALKING, è stato nominato per il premio Ian Fleming CWA Dagger in acciaio e uno dei 14 preselezionati titoli per l'ambito titolo di Theakstons Old Romanzo criminale Peculier of the Year 2009. Il terzo capitolo della serie MAN WALKING è GONE .


Opere

    1999 - Birdman (Birdman).

Mo-Hayden_Birdman
   

2001 - Il trattamento (The Treatment).

Mo-Hayden_il_trattamento


    2004 - Le notti di Tokyo (Tokyo o The Devil of Nanking).

Mo Hayder NottiTokyog


    2006 - Orrore sull'isola (Pig Island).
    2008 - Throwing the Bones.
    2008 – Ritual.
    2009 – Skin.
    2010 – Gone.
    2011 - Hanging Hill.

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Quale legame esiste tra la storia di Grey, vent'anni e già custode di un terribile segreto, e le atrocità commesse nel 1937 dall'es...

Mo Hayder NottiTokyogQuale legame esiste tra la storia di Grey, vent'anni e già custode di un terribile segreto, e le atrocità commesse nel 1937 dall'esercito giapponese a Nanchino? 

Sulle tracce di un testimone sopravvissuto a una tragedia che i libri di storia cercano di nascondere, Grey arriva a Tokio, seguendo una pista che la porta a lavorare come hostess nei locali del vizio frequentati dalla malavita. 

E qui, tra gangster potentissimi, personaggi ambigui - mostruosi nell'aspetto quanto nell'animo - la giovane donna arriva al cuore del "suo" mistero mettendosi in gioco e confrontandosi con riti e realtà che non aveva neppure immaginato.
Nanking_bodies_1937

A volte è necessario fare molta strada se si vuole provare qualcosa, anche solo a se stessi. Una strada che Grey percorre già da nove anni, sette mesi e diciotto giorni ed è destinata a diventare molto più ardua e rischiosa di quanto lei possa immaginare, perchè da Londra la porta ad attraversare i continenti e il tempo sulle tracce di Shi Chongming, un anziano professore cinese ora in visita preso un noto ateneo di Tokyo. 

Sopravvissuto al massacro di Nanchino del 1937, durante l’occupazione delle truppe giapponesi, Chongming è l’unico che possa aiutarla: possiede infatti un filmato inedito che testimonierebbe le atrocità commesse dai soldati, e in particolare un dettaglio efferato di cui Grey deve ad ogni costo scoprire la veridicità. 

Ne va della sua salute mentale e del suo stesso futuro, poichè quel dettaglio è in grado di svelare l’enigma delle inquietanti cicatrici che lei stessa porta sul ventre. Di fronte alla reticenza del professore però, che rifiuta persino di ammettere l’esistenza della pellicola, Grey si ritrova sola e disperata in una città del tutto estranea, e finisce così a lavorare in un night club gestito da un’improbabile sosia nipponica di Marilyn Monroe.
Nanjing_1937_self-organized_burial_team
Ma il cammino di Grey e Chingming è destinato a legarsi inestricabilmente, poichè solo unendo le forze potranno riscattare la loro esistenza: e cardine di quest’alleanza difficile quanto inevitabile è un personaggio temuto e crudele, il capo di una delle famiglie più potenti della Yakuza. Un uomo circondato da un ventaglio di storie raccapriccianti sulla misteriosa medicina che lo mantiene in vita nonostante l’età e la salute cagionevole, e che a volte frequenta i più prestigiosi club di entrateneuse della scintillante metropoli giapponese. La città nelle cui viscere si cela il segreto oscuro che Grey deve scoprire per accedere alla verità e, forse, per liberarsi del passato. Sempre che sia disposta ad andare fino in fondo.
Nel suo terzo romanzo, Le notti di Tokyo, Mo Hayder si allontana dal genere poliziesco sperimentando nuove soluzioni narrative. La scrittrice inglese si congeda dalla figura del detective Jack Caffery, protagonista di Birdman e del Trattamento, per raccontare una vicenda di sangue e violenza che ha salde origini nella Storia. Nanchino, 1937: le truppe giapponesi invadono l'antica capitale cinese, sottoponendo i civili - tra cui donne e bambini - a stupri, torture ed esecuzioni di massa. Tokyo, 1990: Grey, una giovane studentessa affetta da disturbi psichici, giunge in Giappone con la speranza di rintracciare Shi Chongming, uno stimato professore cinese sopravvissuto per miracolo al massacro di Nanchino. Scoprire la verità su quell'episodio è per Grey un'ossessione, una ragione di vita, un'esigenza irrinunciabile perché dalla corretta ricostruzione dei fatti dipenderà la sua salute mentale e gran parte del suo futuro. Abbiamo rivolto all'autrice alcune domande.


D. Le notti di Tokyo è un romanzo molto diverso dai precedenti. Anche se le atmosfere e i temi sono quelli classici del thriller, il libro è costruito in gran parte attorno a un tragico evento storico risalente agli anni Trenta. Com' è nata l'idea?


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R. Amo il thriller e non desidero allontanarmi troppo da quell'ambito, ma questo non significa rinunciare a priori a imboccare altre vie, soprattutto se confinano con il territorio che conosco meglio. È un modo per rinverdire la mia scrittura ed evitare di rimanere intrappolata nelle convenzioni del genere. Non c'è nulla di nuovo nell'utilizzare materiale storico per un thriller; la vera novità credo che risieda nel mio modo di scrivere: la voce narrante è profondamente diversa dai primi due libri. Per quanto riguarda l'idea ispiratrice, ho saputo che avrei scritto di Tokyo fin dal primo momento in cui misi piede nella città. Tokyo ha esercitato subito un fascino irresistibile su di me. Quanto al massacro di Nanchino, devo dire che è sempre stato un argomento di grande interesse. Quando ero ancora una ragazzina vidi una foto che ritraeva un soldato giapponese nell'atto di decapitare un civile a Nanchino. L'immagine destò in me sensazioni fortissime e rimasi molto colpita quando i miei amici giapponesi mi dissero di non aver mai sentito parlare del cosiddetto ”Stupro di Nanchino“. Così, proprio come fa Grey nel libro, cominciai a chiedermi se mi fossi immaginata tutto. Intendiamoci: non c'era alcuna volontà di censura da parte dei miei amici, più semplicemente non erano a conoscenza di quanto era successo, perché fino a poco tempo fa l'invasione di Nanchino non faceva neppure parte dei programmi scolastici.


D. Immagino che questo alone di segretezza e la diffusa ignoranza abbiano contribuito ad alimentare la sua curiosità.


R. Certamente. È stata una molla importante che mi ha spinto a documentarmi. Mi sembrava incredibile che moltissimi giapponesi fossero all'oscuro di una simile tragedia. Quando cominciai a scoprire la verità e a rendermi conto che oltre 300.000 persone erano morte in circostanze terribili, e che migliaia di donne erano state stuprate, sentii crescere dentro di me l'impulso irrefrenabile di scriverci un libro. Non appena riuscii a stabilire le giuste connessioni tra quel massacro e la Tokyo dei nostri giorni - soprattutto i legami tra l'esercito e le famiglie mafiose della ”Yakuza“ - prese forma nella mia mente l'idea di collegare l'esperienza di una giovane entraînause straniera con la storia di un professore cinese vissuto a Nanchino negli anni incriminati.


Nanking_masacre 
D. La giovane entraînause Grey e Shi Chongming sono i protagonisti del romanzo. Vuole presentarci questi due personaggi?


R. Shi Chongming è un anziano professore universitario in visita alla Todai, prestigioso ateneo di Tokyo, mentre Grey è una giovane donna inglese che si reca in Giappone con l'obiettivo di mettere le mani su un filmato inedito, che testimonierebbe le atrocità perpetrate dai soldati giapponesi a Nanchino. A prima vista i due sembrano appartenere a mondi distinti, ma non appena Grey e Shi Chongming scavano nel proprio passato e cercano di venire a patti con esso, scoprono di avere in comune molte più cose di quanto potessero immaginare.
D. Un romanzo come Le notti di Tokyo presuppone necessariamente un lungo lavoro di documentazione. In che modo ha organizzato le sue ricerche?


R. Il libro oscilla tra presente e passato, tra la Cina degli anni Trenta e il Giappone degli anni Novanta. Per la ricostruzione del Giappone di oggi è stata molto preziosa l'esperienza che ho maturato a Tokyo, dove ho lavorato qualche tempo in un bar circa una ventina di anni fa. Ho deciso comunque di ritornarci nel 2002 sia per rinfrescarmi la memoria, sia per rendermi conto dei cambiamenti sopraggiunti nei club di entraînause in seguito all'omicidio di Lucie Blackman, una ragazza inglese uccisa dal cliente di un locale. Mi sono adoperata con ogni mezzo per rintracciare il posto in cui Lucie aveva lavorato, ma non è stato affatto semplice perché il club aveva nel frattempo cambiato nome. Mi sono sottoposta a una dura scarpinata - chi conosce il quartiere di Roppongi potrà facilmente capire che cosa voglio dire - ma ne è valsa la pena perché la mia fatica è stata premiata. Le informazioni raccolte da ragazze e clienti del locale, alcuni dei quali si ricordavano sia di Lucie che del suo assassino, mi sono servite per tratteggiare in modo realistico l'attività di Grey al night club. Quanto alle parti storiche, ho visitato Nanchino e ho anche avuto la fortuna di imbattermi, sul treno che ho preso a Shanghai, in un ex combattente giapponese che aveva preso parte all'invasione della Cina, e smaniava dal desiderio di espiare le colpe di cui si era macchiato il suo esercito. Una singolare coincidenza e un incontro propizio perché mi ha suggerito ulteriori spunti per il romanzo.


D. Gli studiosi non hanno ancora raggiunto un accordo sull'esatta entità della strage e sulle motivazioni che hanno indotto i soldati giapponesi a una così feroce condotta. Quali ostacoli ha dovuto superare per poter affrontare un soggetto storico così controverso?


R. Indagare attorno al massacro di Nanchino comporta terribili difficoltà, soprattutto perché ci sono stati diversi tentativi di insabbiare la verità. Per il mio libro ho fatto pieno affidamento sulle opere di due scrittori, Iris Chang e Katsuichi Honda: Chang, autore di Lo stupro di Nanchino, è un cinoamericano, che ha profuso ogni energia nel tentativo di informare l'opinione pubblica americana sui fatti del '37; mentre Honda, con encomiabile coraggio, cerca da ormai trent'anni di diffondere la verità sull'accaduto presso larghi strati della popolazione giapponese. È costretto a vivere nell'anonimato per timore di ritorsioni.


D. Quali sono i suoi attuali progetti?
R. Sto lavorando su un nuovo personaggio, un giornalista di nome Joe Okes, ”Okesy“ per gli amici, che lavora per una rivista specializzata nello smontare e mettere in burla presunti casi soprannaturali. La storia ha inizio quando giunge in redazione un video amatoriale di modesta qualità, che mostra una creatura nuda, metà uomo e metà bestia, aggirarsi sulla spiaggia di una remota isola scozzese. Voci insistenti assicurano che nell'isola si pratichi un culto satanico e che la creatura in questione sia il diavolo. Sarà compito di Okesy smentire quelle affermazioni.



Intervista a cura di Marco Marangon
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