Kyle McAvoy è un giovane di York (Pennsylvania) con un futuro promettente. Direttore della rivista per la scuola di legge Yale Law Jornal , ...

john_grisham_il_ricattoKyle McAvoy è un giovane di York (Pennsylvania) con un futuro promettente. Direttore della rivista per la scuola di legge Yale Law Jornal, è figlio di un avvocato divorziato, John McAvoy. Dopo una partita tra giovani di basket nella città di New Haven, incontra degli agenti dell'FBI che vogliono parlare con lui. Lo convincono a presentarsi da un investigatore, Bennie Wright, per un problema penale al momento non specificato che condannava Kyle. 

Il ragazzo si presenta da Bennie Wright, che gli spiega la situazione: Bennie è entrato in possesso di un video che mostra un party nel quale Kyle e altri suoi amici bevono spropositatamente. Verso la fine del video, sono rimasti nella stanza solo Kyle McAvoy, Alan Strock, Joey Bernardo, Baxter Tate ed Elaine Keenan. 

Poi Elaine si mette sul divano e ha una relazione sessuale con Baxter e con Joey. Kyle e Alan, invece, sono mezzi incoscienti e assistono alla scena. Kyle ricordava che l'archivio della polizia era stato chiuso dopo questo evento nel quale Elaine aveva dichiarato di aver subito uno stupro. Bennie minaccia Kyle di far giungere il video in tribunale se non avesse rubato delle informazioni importanti da uno studio che aveva fatto proposta di lavoro a Kyle, Scully & Pershing, in Wall Street. Successivamente Bennie rivela di non essere un agente dell'FBI. I dati che vuole sottrarre appartengono al B-10, un importante invenzione che la Trylon e la Bartin, del Pentagono, si contendevano. 

La Trylon per la causa si è rivolta a Scully & Pershing, la Bartin ad Agee, Poe & Apps. I due studi legali sono in conflitto tra loro. Kyle viene quindi continuamente pedinato e nella sua casa vengono piazzate numerose telecamere, microfoni e cimici. Kyle parla con suo padre che era decisamente contrario al fatto che suo figlio lavorasse a Wall Street mentre lui faceva casi veri con gente vera, e aveva una vita vera. Kyle sostiene l'esame di abilitazione ed entra nello studio, dove viene accolto calorosamente e gli viene consegnato il cellulare dell agenzia, il FirmFone. 

 

Qui fa le prime conoscenze e comincia a fatturare ai vari clienti dello studio circa cinquanta ore a settimana, con uno stipendio di duecentomila dollari l'anno, cifra che poi diventa di quattrocentomila dollari l'anno una volta giunto il risultato positivo dell'esame. Il lavoro è esauriente ed occupa anche i giorni del fine settimana, giornate che volontariamente duravano anche dalle cinque del mattino a notte fonda, cosa che spingeva gli associati (per diventare soci ci volevano circa cinque anni, ma la maggior parte non resisteva più di tre) a dormire in sacchi a pelo posti sotto la scrivania. Nello studio Kyle conosce una ragazza, Dale Armstrong, con la quale ha subito rapporti amorosi. Kyle in seguito attende di essere assegnato al caso Trylon, mentre ha numerosi incontri con Bennie e un altro ricattatore, Nigel. Kyle è consapevole della sorveglianza, così evita posti chiusi, il telefono o le e-mail (anche quelle sotto il controllo di Bennie). 

Kyle decide di confidarsi con Joey del video, poiché Joey è l'unico che poteva ascoltarlo, dato che Baxter era in riabilitazione per l'alcol e la droga e Alan era troppo impegnato nella sua pratica di medico. Così i due cominciano a vedersi durante le partite di baseball e infine decidono di parlare con Elaine, la quale si presenta con le vecchie accuse dopo aver raccontato la storia come più le avrebbe fatto comodo al suo avvocato, Micheline "Mike" Chitz. Queste si presentano come avvoltoi e Joey non ricava nulla dall'incontro. Poi Kyle decide di filmare Bennie, cosa che gli riesce grazie al contributo di Joey. Intanto Baxter è passato sotto la protezione di Fratello Manny, che lo fa confidare in Cristo e lo fa diventare un uomo buonissimo. Baxter vuole parlare con Elaine e scusarsi, ma durante il tragitto per Scranton (la residenza di Elaine) viene ucciso nel bagno di un autogrill. Nessuna traccia dell'assassino, anche se Kyle è sicuro che sia stato Bennie e i suoi uomini per evitare che Elaine dimentichi tutto e lasci Kyle libero dalle accuse per stupro. Joey allora decide di uscire da questa storia, anche perché la sua futura moglie, Blair, è in attesa di un bambino. 

Avviene una spaccatura da Scully & Pershing, e Kyle viene assegnato al caso Trylon. Kyle si rivolge a un avvocato, Roy Benedict, al quale racconta tutta la storia. Roy contatta quindi i suoi amici nell'FBI e nel Dipartimento di Giustizia per catturare Bennie. Durante una caccia ai cervi nella Festa del Ringraziamento, Kyle racconta tutto a suo padre. John McAvoy va allora a parlare con Mike Chitz, le spiega la vera situazione di Elaine e concordano nel pagamento di una cifra di denaro per dimenticare tutto. Intanto Nigel porta a Kyle un apparecchio tramite il quale Kyle può rubare dai computer sofisticatissimi della stanza segreta di Scully & Pershing dedicata al caso Trylon i dati che Bennie ha tanto bramato. Ma Kyle ha un piano. Poiché Bennie e Nigel possono sapere tramite Wireless se Kyle sta rubando i dati, Kyle copia cinque o sei volte i dati della Categoria A, che contengono i documenti meno importanti. Poi va con l'FBI all'hotel dove si trovavano Bennie e Nigel, che grazie al video e a un identikit erano individuabili agli agenti. Ma i due sono già fuggiti. I documenti del caso Trylon però sono salvi. Kyle parla con Scully & Pershing di tutto. Lo studio lo licenzia ma non gli farà causa se Kyle deciderà di non esercitare nello Stato di New York. Kyle accetta, decide di non passare la vita sotto la scorta degli uomini dell'FBI, che hanno rimosso tutte le apparecchiature di Bennie dall'appartamento di Kyle, e va a lavorare come socio nello studio di suo padre, che si chiamerà McAvoy & McAvoy. Gente vera, casi veri, vita vera. Senza più Bennie, Nigel o FBI.

Anche se non si tratta dell'inventore del genere, non c'è dubbio che sia stato lui a renderlo popolare. Il legal thriller, ovvero l'intrigo del classico romanzo poliziesco inserito all'interno degli ambienti legali e giudiziari, in Italia e nel mondo porta la firma di John Grisham.

Gli ingredienti che hanno reso celebre lo scrittore statunitense sono semplici ma essenziali. L'intreccio narrativo, complesso e monolitico allo stesso tempo, in cui la cura per i particolari, il linguaggio tecnico e l'approfondimento psicologico dei personaggi contribuiscono a immergere il lettore in una storia sempre verosimile. Lo stile asciutto e diretto, ricco di citazioni e poi l'immancabile Skyline di Manhattan, a fare da cornice all'ambiente legale che ha colpito l'immaginazione di milioni di lettori nel mondo.

Dopo alcune brevi incursioni nella non fiction e nel romanzo (con titoli di successo come Il broker, Innocente. Una storia vera, Il Professionista), con trame che gli hanno permesso anche delle lunghe incursioni negli ambienti della provincia italiana, Grisham ritorna nell'Upper West Side di New York, a pochi passi da Central Park, dove Kyle L. McAvoy e il pool di giovani avvocati dello studio Scully & Pershing si incontrano per il loro brunch alla domenica mattina.

Stupro, omicidio, furto, intercettazioni illegali, estorsioni, ricatti e montagne di dollari, queste le parole chiave del suo nuovo attesissimo romanzo, snocciolate sul filo di una trama che lascerà tutti, ancora una volta, senza fiato.

Le regole della New Haven Youth League prevedevano che ogni ragazzine entrasse in campo per almeno dieci minuti a partita. Erano ammesse eccezioni nel caso di giocatori che avessero saltato gli allenamenti o violato altre regole. Allo­ra il coach poteva redigere un rapporto prepartita per infor­mare il tavolo dei giudici che il Tal dei Tali avrebbe gioca­to poco, o magari per niente, a causa di qualche infrazione. Alla lega questo non piaceva granché, dopo tutto si tratta­va di un'attività ricreativa più che competitiva.

A quattro minuti dalla fine della partita, coach Kyle guar­dò verso la panchina, fece un cenno in dirczione di un ra­gazzine cupo e imbronciato di nome Marquis e gli chiese: «Vuoi entrare?». Senza rispondere, Marquis si avvicinò al tavolo dei giudici e aspettò un'interruzione del gioco. Le sue infrazioni erano numerose: allenamenti saltati, scuola marinata, brutti voti, smarrimento dell'uniforme, turpilo­quio. In effetti, dopo dieci settimane e quindici partite, Mar­quis aveva violato tutte le poche norme che il suo allena­tore aveva tentato di imporre. Coach Kyle si era reso conto ormai da tempo che qualsiasi nuova regola sarebbe stata immediatamente trasgredita dalla sua star, ed era quella la ragione per cui aveva ridotto al massimo l'elenco e vinto la tentazione di aggiungerne altre. Non stava funzionan­do comunque. Cercare di gestire con mano morbida dieci ragazzini provenienti da quartieri degradati aveva fatto finire i Red Knights all'ultimo postoin classifica del campionato d'inverno, divisione fino ai dodici anni.
Marquis di anni ne aveva solo undici, ma era chiaramen­te il miglior giocatore sul parquet. Preferiva tirare e segna­re piuttosto che passare e difendere, e nel giro di due mi­nuti, evitando agilmente la marcatura di atleti più grossi i di lui, aveva segnato sei punti. Aveva una media di quat­tordici punti a partita e, se gli fosse stato concesso di gio­ii care più di un tempo, probabilmente avrebbe potuto arri-i vare a trenta. Secondo la sua giovane opinione, non aveva alcun bisogno di allenarsi.

Kyle seguiva la partita e aspettava, strillando ogni tanto perché era quello che si supponeva dovesse fare un coach. Si guardò intorno nella palestra semideserta, un vecchio edifi­cio di mattoni nel centro di New Haven, sede della lega gio­vanile da quasi cinquant'anni. Sulle gradinate c'era un grup­petto di genitori, in attesa della sirena finale. Marquis fece di nuovo canestro. Nessuno applaudì. I Red Knights erano sot­to di dodici punti a due minuti dalla fine.

In fondo alla palestra, proprio sotto il vecchio tabellone
segnapunti, si aprì la porta ed entro un uomo, che sì ap­poggiò alle tribune mobili. Si notava perché era un bian­co. In nessuna delle due squadre c'erano giocatori bianchi. L'uomo dava nell'occhio anche perché indossava un abi­to nero, o blu scuro, camicia bianca e cravatta bordeaux, il tutto sotto un trench che indicava il suo essere un agente federale o un qualche tipo di poliziotto.

Fu solo per caso che Kyle lo vide entrare, e pensò subì to che fosse fuori posto. Probabilmente un detective, for­se uno della Narcotici alla ricerca di uno spacciatore. Non sarebbe stato il primo arresto nella palestra o negli imme­diati dintorni.

Dopo essersi appoggiato alle tribune, l'agente/poliziotto lanciò una lunga occhiata verso la panchina dei Red Knights e i suoi occhi sembrarono fermarsi su Kyle, il quale sosten­ne lo sguardo per un secondo prima di cominciare a sen­tirsi a disagio. Marquis tirò da quasi metà campo e coach Kyle balzò in piedi, allargò le braccia e scosse la testa come per chiedere: "Perché?". Marquis lo ignorò e rientrò in dife­sa. Uno stupido fallo fermò l'orologio, prolungando l'ago­nia. Mentre osservava il giocatore che eseguiva i tiri liberi, Kyle notò sullo sfondo l'agente/poliziotto che continuava a guardare, non l'azione sul campo ma l'allenatore. A un venticinquenne specializzando in legge senza precedenti penali e senza alcun comportamento o tendenza illegale, la presenza e l'attenzione di un uomo che aveva tuta l'aria di lavorare per qualche ramo delle forze dell'ordine on avrebbero dovuto suscitare alcuna preoccupazione la non funzionava mai così per Kyle McAvoy.

Un altro fallo stupido e Kyle urlò all'arbitro di lasciar correre. Si rimise a sedere e si passò una mano su un lato del collo, poi si asciugò il sudore. Era l'inizio di febbraio e la palestra, come sempre, era gelida.

Allora perché stava sudando?

L'agente/poliziotto non si era mosso di un millimetro. Sembrava divertirsi a fissare Kyle. Finalmente la vecchia sirena gracchiò rauca. La partita gra­zie a Dio era finita. Una squadra fece festa e l'altra rimase indifferente. Tutte e due si allinearono per scambiarsi l'obbligatorio cinque e il solito "bella partita, bella partita", tan­to privo di significato per i giocatori dodicenni quanto per quelli dei college. Mentre si congratulava con il coach av­versario, Kyle guardò in fondo alla palestra: l'uomo bian­co era sparito.

Quante probabilità c'erano che stesse aspettando fuo­ri?

Naturalmente era paranoia, ma la paranoia era entra­ta a far parte della sua vita da così tanto tempo che ormai Kyle si limitava a riconoscerne la presenza, adeguarsi e an­dare avanti.

I Red Knights si ritrovarono nello spogliatoio della squa->dra ospite, un locale piccolo e pieno di roba sotto le caden­ti gradinate fisse riservate ai sostenitori della squadra di casa. Coach Kyle disse tutte le cose che doveva dire: buo­na gara, bella difesa, il nostro gioco in certe fasi è migliora­to, sabato vediamo di chiudere in bellezza. I ragazzi si sta­vano cambiando e non lo ascoltavano quasi. Erano stanchi di basket perché erano stanchi di perdere e, naturalmen­te, tutte le colpe erano del coach. Che era troppo giovane, troppo bianco, troppo Ivy League.

Nello spogliatoio c'era una seconda porta: dava in uno stretto corridoio buio che si snodava dietro le gradinate fino a un'uscita su un vicolo. Kyle non era il primo allenatore ad averlo scoperto, e quella sera voleva evitare non solo le famiglie con le loro lagnanze, ma anche l'agente/poliziotto. Salutò rapidamente i ragazzi e, mentre loro lasciavano lo spogliatoio, si diede alla fuga. Nel giro di pochi secondi raggiunse il vicolo e poi la strada, dove si mise a camminare veloce. C'era parecchia neve ammucchiata e il marciapiede, rivestito da uno strato di ghiaccio, era a malapena transita­bile. La temperatura era molto al disotto dello zero. Erano le otto e mezzo di un mercoledì sera e Kyle era diretto alla redazione della rivista della scuola di legge di Vale, dove avrebbe lavorato almeno fino a mezzanotte.Non andò così.

L'agente era appoggiato al parafango di una Jeep Cherokee rossa. L'auto era intestata a un certo John McAvoy di York, Pennsylvania, ma negli ultimi sei anni era stata l'affi­dabile compagna del figlio Kyle, il vero proprietario.

Anche se d'improvviso i piedi gli sembrarono due mat­toni e sentì cedere le ginocchia, Kyle riuscì a continuare a camminare come se non ci fosse stato niente di insoli­to. Non solo hanno trovato me, si disse mentre cercava di pensare con lucidità, ma svolgendo diligentemente il loro compitino hanno trovato anche la mia Jeep. Be', non pro­prio una ricerca di altissimo livello. Io non ho fatto niente di male, si ripetè.

«Partita dura, coach» disse l'agente, quando Kyle fu a tre metri da lui e cominciò a rallentare il passo.

Kyle si fermò ed esaminò il robusto giovanotto con le guance e le basette rosse che l'aveva fissato durante la par­tita. «Posso esserle utile?» domandò, e vide l'ombra del N. 2 attraversare rapidissima la strada. Quella gente lavora­va sempre in coppia.

«È esattamente quello che può fare» disse N. 1 estraendo il distintivo.



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Ha un attacco dirompente Il testamento, ennesimo best seller di John Grisham, l’indiscusso maestro del legal thriller americano. Il romanzo ...

john_grisham_il_testamentoHa un attacco dirompente Il testamento, ennesimo best seller di John Grisham, l’indiscusso maestro del legal thriller americano. Il romanzo prende avvio nella torre d’avorio dell’anziano Troy Phelan, stando a “Forbes” il decimo uomo più ricco degli States. 

Ai piani alti del suo grattacielo il magnate sarà ripreso ed interrogato da noti psichiatri davanti alla schiera dei suoi inaffidabili eredi, sul piatto la redazione dell’ennesimo testamento, relativo ad un patrimonio stimato in otto miliardi di dollari: per i figli un prezioso salvagente per sfuggire ai debiti ed alle pastoie di un’esistenza normale cui sarebbero incapaci di adeguarsi. 

Il colpo di scena arriva subito: Troy Phelan firma il testamento che appaga il collegio degli eredi legittimi poi, a porte chiuse, davanti ai suoi avvocati, straccia il documento ed estrae a sorpresa un apografo nel quale lascia le sue ricchezze all’ultima figlia, illegittima e la cui esistenza era sconosciuta ai più. Anche perché la donna anni prima ha fatto una scelta di vita precisa, ritirandosi nella sterminata foresta brasiliana del Pantanal per prestare opera missionaria in uno sperduto villaggio indio. 

Il testamento continua alternandosi tra le numerose traversie superate da un avvocato dedito all’alcool per ritrovare la suora ereditiera e per convincerla ad accettare il patrimonio di un padre sconosciuto e sconfesso: il tutto mentre la macchina giudiziaria dei figli legittimi (ma diseredati) procede alla disperata per rimettere le mani sul copioso bottino paterno. Il consueto, solido ed impeccabile legal thriller di John Grisham: suspence e sorprese in serie fino all’ultima pagina, ma la storia non presenta nel complesso un grande mordente, né risulta mai del tutto intrigante. 

 

L'atmosfera magica di questo libro contribuisce a renderlo speciale ed unico. Una storia attraente, fatta di denaro, ostilità, magia, debolezza, rimpianti, errori, ma sopratutto di fiducia. John Grisham è senza dubbio uno scrittore competente e di talento. 


Con Il Testamento risce a trascinare il lettore in due realtà completamente diverse l'una dall'altra, servendosi dell'avvocato Nate, alcolizzato appena uscito dalla riabilitazione. Il suo viaggio nel magico Pantal costituisce un pò la possibilità di redenzione che ogni uomo possiede. 

La suspance tra un avvenimento e l'altro crea un vortice in cui il lettore viene ingoiato. Un libro continuamente sorprendente che insegna tante cose sulla vita dell'uomo: da una parte gli eredi Phelan, venali, avidi di denaro, indebitati fino al collo e ricchi di astio nei loro stessi confronti, dall'altra Rachel Lane, erede "massima", figlia illegitima che conduce una vita completamente diversa, insegnando la catechesi a un gruppo di indigeni. Completamente disinteressata al denaro avrà modo di stupire il lettore. Bellissimo libro che consiglio a chiunque. 

Siamo all'ultimo giorno. Anzi, direi all'ultima ora. Sono un vecchio, solo e non amato, malato, sofferente e stanco di vivere. Sono pronto per l'altro mondo: non può che es­sere migliore di questo.
Sono proprietario del grattacielo di vetro nel quale mi tro­vo e possiedo il 97 per cento della società che vi ha sede, sotto di me, il terreno che lo circonda per quasi un chilometro in tre direzioni, le duemila persone che ci lavorano e le altre ventimila che non ci lavorano. Possiedo, inoltre, il condotto sotterraneo che porta gas al grattacielo dai miei giacimenti nel Texas e le linee che lo riforniscono di energia elettrica, e sono utente esclusivo del satellite dal quale un tempo, invisi­bile nell'alto dei cieli, impartivo ordini a un impero persona­le che si estendeva in ogni angolo del mondo. Il mio patri­monio supera gli undici miliardi di dollari.

Possiedo argento nel Nevada, rame nel Montana, caffè in Kenia, carbone in Angola, gomma in Malaysia, gas naturale nel Texas, greggio in Indonesia e acciaio in Cina. La mia società ne possiede al­tre che producono energia elettrica e computer, costruiscono dighe, stampano giornali e trasmettono segnali al mio satel­lite. Ho consociate con filiali in più paesi di quanti chiunque riuscirebbe a elencare.

Una volta possedevo tutti i gingilli adeguati alla mia posizione: yacht, jet, belle bionde, case in Europa, haciendas in Argentina, un'isola nel Pacifico, scuderie di purosangue, perfino una squadra di hockey. Ma sono diventa­to troppo vecchio per queste cose. I soldi sono la causa della mia sventura.

Ho avuto tre famiglie, tre ex mogli che hanno messo al mondo sette figli, sei dei quali viventi e impegnati a fare il possibile per tormentarmi. Per quanto mi risulta, sono il padre di tutti e sette, e ne ho seppellito uno. Ma è più giu­sto dire che fu sua madre a seppellirlo. Io ero all'estero.

Ho tagliato i ponti con tutti loro, mogli e figli. Oggi si riuniscono qui perché sono in punto di morte ed è giunta l'ora di dividere i soldi.
Sto progettando questa giornata da molto tempo. Il mio grattacielo è costituito da quattordici vasti piani affacciati SU un ombroso cortile interno, dove un tempo organizzavo pranzi d'affari all'aperto. Io vivo e lavoro all'ultimo piano, circa mille metri quadrati di lusso che molti giudicherebbe­ro vergognoso, ma che a me non causa il minimo scrupolo. Ho messo insieme ogni centesimo del mio patrimonio con fatica, intelligenza e fortuna. Spendere questo denaro è una mia prerogativa. Anche sperperarlo dovrebbe essere una mia facoltà, ma sono braccato.

Perché dovrebbe importarmi di chi avrà i miei soldi? Io Ci ho fatto tutto quello che si può immaginare. Seduto qui, sulla sedia a rotelle, privo di compagnia e in attesa, non mi viene in mente una sola cosa che vorrei acquistare o vedere, un solo luogo dove vorrei andare o un'altra av­ventura che vorrei vivere.

Ho fatto tutto e sono molto stanco.

Non m'importa di chi si prenderà il denaro, ma m'im­porta moltissimo di chi non l'avrà.

Ho progettato io ogni metro quadrato del mio grattacie­lo, perciò so perfettamente dove collocare ciascuno per questa piccola cerimonia. Sono tutti qui che aspettano e aspettano, senza un brontolio né un sospiro. Se ne stareb­bero nudi in mezzo a una tormenta di neve in attesa di quello che sto per fare.

La prima famiglia è rappresentata da Lillian e dalla sua prole: quattro dei miei figli partoriti da una donna che ra­ramente mi ha concesso di toccarla. Ci sposammo giova­ni, ventiquattro anni io e diciotto lei, perciò anche Lillian è vecchia. Non la vedo da secoli e non la vedrò oggi. Sono sicuro che recita ancora il ruolo della prima moglie devo­ta, ingiustamente abbandonata per la bella di turno. Non si è mai risposata, e sono certo che da tempo immemora­bile non ha rapporti sessuali. Non so nemmeno io come abbiamo fatto a procreare.

Il suo primogenito ha quarantasette anni: Troy Jr, un idiota senza arte né parte a cui è toccata la maledizione di portare il mio nome. Da ragazzo ha adottato il diminutivo Tj e tuttora lo preferisce a Troy. Dei sei figli che si trovano qui oggi Tj vince, ma di poco, la palma del più stupido. Diciannovenne, fu buttato fuori dal college perché vende­va droga.

Come tutti gli altri, Tj ha ricevuto cinque milioni di dolla­ri il giorno del suo ventunesimo compleanno e, come tutti  gli altri, se li è fatti scorrere fra le dita quasi fossero sabbia.

Non me la sento di raccontare le tristi storie dei figli di i Lillian. Vi basti sapere che ognuno di loro è pesantemente indebitato, di fatto impossibilitato a trovare un impiego e pressoché privo di speranze di cambiare, cosicché la mia la in calce a questo testamento costituisce l'evento cruciale della sua vita.

Torniamo alle ex mogli. Dalla frigidità di Lillian passai alla torrida passione di Janie, uno splendido bocconcino che assunsi come segretaria nell'ufficio contabilità, ma che promossi rapidamente quando decisi di avere bisogno di lei nei miei viaggi d'affari.

Divorziai da Lillian: aveva ventidue anni meno di me ed era decisa a non lasciarmi mai insoddisfatto. Sfornò subito due figli e si servì di loro per tenermi stretto a sé. Rocky, il minore, ri­mase ucciso in un incidente stradale mentre correva su un'auto sportiva con due amici: riuscii a evitare il tribuna­le solo sborsando sei milioni di dollari.

Sposai Tira quando avevo sessantaquattro anni. Lei ne
ventitré e portava in grembo un piccolo mostro che lei battezzò Ramble, per ragioni che oggi non mi sono chiare. Ramble adesso ha quarant'anni ed è già stato arrestato due volte, per furto e per possesso di marijuana. Ha capelli bisunt che si appiccicano al collo e gli scendono sulle spalle anelli alle orecchie, sulle sopracciglia e al naso.

Lillian e la prima famiglia sono nella sala riunioni del tredicesimo piano, appena sotto di me. È un'ampia stanza, tutta marmo e mogano, con tappeti preziosi e un enorme tavolo ovale al centro. In questo momento è piena di gente molto nervosa. Non stupisce il fatto che ci siano più avvo­cati che familiari. Lillian ha un avvocato e così pure ciascu­no dei suoi quattro figli, con l'eccezione di Tj, che se n'è portati tre per darsi importanza e sentirsi protetto in ogni possibile risvolto giuridico. Tj ha più problemi legali di un condannato a morte.

A un'estremità del tavolo c'è un gran­de schermo digitale sul quale potranno assistere a tutta l'operazione.

Tj ha un fratello che si chiama Rex: quarantaquattrenne, il mio secondogenito è attualmente sposato con una spogliarellista di nome Amber, una povera creatura priva di cervello, ma fornita di un paio di tette finte. Credo che sia la sua terza moglie, seconda o terza, sarò forse io a censurarlo? È qui, insieme con gli altri attuali coniugi e/o conviventi, ad attendere sulle spine la spartizione di undi­ci miliardi di dollari.

La prima figlia femmina di Lillian, e la mia maggiore, è Libbigail, una ragazza che io ho amato con tutto il cuore finché non lasciò casa per il college e si dimenticò di me. Poi ha sposato un africano e io l'ho cancellata dai miei te­stamenti. L'ultima nata di Lillian è Mary Ross. Moglie di un medi­co che aspira a diventare straricco, è sommersa dai debiti.

Janie e la seconda famiglia aspettano in una sala del de­cimo piano. Dopo il nostro divorzio di molti anni fa, la mia ex moglie ha avuto altri due mariti. Sono quasi certo che adesso vive da sola. Ho assunto alcuni investigatori : perché mi tengano sempre aggiornato, ma nemmeno l'FBI riuscirebbe a star dietro alla sua girandola di letti.

Poi c'è Ramble, stravaccato su una poltrona al quinto piano e intento a leccarsi l'anello d'oro all'angolo del lab­bro, a inanellarsi gli untuosi capelli verdi e a guardare tor­vamente sua madre, che ha avuto il fegato di presentarsi qui in compagnia d'un piccolo gigolò peloso. Ramble si aspetta di diventare ricco, oggi, di incassare una fortuna da me solo perché l'ho concepito. Anche lui ha un avvoca­to, una specie di hippy che Tira ha visto in televisione e che ha assunto subito dopo esserselo scopato. Aspettano anche loro, come tutti gli altri.

Conosco questa gente. La tengo d'occhio.

Snead avanza dal fondo del mio appartamento. È il mio portaborse da quasi trent'anni, un ometto bruttino e roton­do in panciotto bianco, mansueto e umile, perennemente plognto in due come se stesse omaggiando un sovrano. 

«Come sta, signore?», con una cadenza affettata che ha acquisito ai tempi in cui risiedevamo in Manda. Non dico niente, perché non sono tenuto a rispondergli, né lui si aspetta che lo faccia.

«Caffè, signore?»

«Colazione.»

Snead batte le palpebre e si inchina ancora di più, poi esce dalla stanza col risvolto dei pantaloni che spazza il pavimento. Anche lui pensa di diventare ricco alla mia morte, e immagino che stia contando i giorni come fanno gli altri.

Il guaio di possedere soldi è che tutti ne vogliono un po'. Una piccola fetta del patrimonio, anche sottile sottile. Che cosa vuoi che sia un milione di dollari per chi ne ha miliar­di? "Regalami un milione, vecchio mio, che tanto nemmeno te ne accorgi." "Concedimi un prestito e poi ce ne dimenti­chiamo tutti e due." "Infila il mio nome in qualche punto del tuo testamento, c'è posto anche per me."

Snead è un maledetto ficcanaso e anni fa l'ho sorpreso a frugare nella scrivania, credo alla ricerca delle mie ultime volontà. Mi vuole morto perché si aspetta qualche milione.

A che titolo nutre simili aspettative? Avrei dovuto cacciarlo da tempo.

Nel mio nuovo testamento il suo nome non figura.

Mi mette davanti un vassoio: crackers, un vasetto di miele ancora sigillato e un bicchiere di succo di frutta a temperatura ambiente. Un cambiamento anche minimo e Snead sarebbe licenziato in tronco.

Lo congedo e intingo i cracker nel miele. L'ultimo pasto.


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Lo spietato mondo giudiziario è un’ottima prospettiva per analizzare la società americana, il legal thriller l’ideale espressione narrativa...

john_grisham_la_convocazioneLo spietato mondo giudiziario è un’ottima prospettiva per analizzare la società americana, il legal thriller l’ideale espressione narrativa per la relativa analisi, e John Grisham è il profeta del genere, lo scrittore che ne ha messo a punto i meccanismi di seduzione letteraria, mettendo a segno con puntualità allarmante (un titolo all’anno) una lunga lista di bestsellers

Detto questo e tributato a Grisham quanto gli spetta, è anche vero che, nonostante l’autore americano non abbia legato il suo nome a personaggi seriali (come la collega Patricia Cornwell), l’abuso di un genere – per quanto proprio il precedente romanzo, La casa dipinta, derogasse dal thriller giudiziario – porta quasi fisiologicamente ad inevitabili momenti di stanca. Diciamo subito che la più recente creatura grishamiana,La convocazione, si colloca alla perfezione nella parabola calante dello scrittore, che dura almeno da L’avvocato di strada. Comunque, in attesa che la vena di romanzi quali Il momento di uccidere, Il socio e Il partner si riaccenda, è da rilevare che La convocazione offre almeno un incipit piuttosto incisivo e l’ennesima variazione sul tema più caro a Grisham, il lato oscuro della ricchezza nell’ambito dell’american way of life. Il protagonista, Ray Atlee, è un tediato docente di legge della Virginia University e passa le sue giornate alternandosi alla stesura di un noioso saggio giuridico, il corteggiamento estemporaneo di avvenenti studentesse e il volo solitario a bordo di un piccolo Cessna: gli sterminati orizzonti che gli si dipanano davanti lo aiutano infatti a superare il rancore sommerso per il benservito della moglie, che l’ha mollato per un maturo miliardario. 

Ovvio che il punto culminante de La convocazione sia una fredda lettera d’invito, in cui con frasi misurate il vecchio giudice Reuben Atlee, magistrato integerrimo da tempo afflitto da un male incurabile, ha chiamato alla malandata dimora familiare i suoi due figli, Ray e lo scapestrato Forrest, per sistemare le cose in vista della sue imminente dipartita. Il protagonista, che non vede il padre da anni, resta infastidito dalla missiva, il giorno stabilito parte per arrivare puntuale alla casa paterna ma, una volta giunto a destinazione, trova il genitore già morto, forse stroncato da una dose eccessiva di morfina. 

In attesa dell’arrivo del fratello – classica pecora nera della famiglia nonché tossicodipendente cronico –, Ray s’imbatte in alcune scatole piene di denaro, per una cifra complessiva di oltre tre milioni di dollari: una somma sorprendente che il padre non avrebbe mai potuto accantonare dal suo modesto stipendio di magistrato. Dopo aver rapidamente escluso di avvertire il fratello della scoperta, Ray comincia una tortuosa ricerca per stabilire il mistero del ‘malloppo’: progressivamente sedotto dal fascino discreto della ricchezza, ben presto il protagonista scoprirà di essere stato risucchiato in un gioco molto pericoloso.
  
Secondo copione Grisham dilata ad libitum il momento dell’immancabile finale a sorpresa, ma la suspense stavolta non regge fino in fondo né le molte sottotrame sono sorrette da un’impeccabile logica narrativa. E’ anche vero che la prosa di Grisham è sempre piuttosto intrigante e La convocazione si fa leggere fino all’ultima pagina con scorrevolezza.

Giunse per posta, servizio ordinario alla vecchia maniera,perché il Giudice aveva quasi ottant'anni e diffidava dei nuovi sistemi. Niente e-mail o fax. Non usava una segreteria telefonica e non aveva mai amato il telefono. Batteva le lettere con i due indici, un tasto alla volta, curvo sulla la vecchia Underwood appoggiata sopra una scrivania a randa sotto il ritratto di Nathan Bedford Forrest.  Per trentadue anni aveva elegantemente evitato tenere udienze il 13 luglio.

Il Giudice non era tipo da convenevoli, aborriva i pettegolezzi e le chiacchiere a tempo perso. Un tè freddo in veranda con lui avrebbe si­gnificato una rivisitazione delle battaglie combattute nella Guerra Civile, probabilmente quella di Shiloh, per la quale avrebbe puntualmente addossato tutta la colpa della scon­fitta dei Confederati agli immacolati stivali del generale Pierre G.T. Beauregard, un uomo che avrebbe disprezzato persino in cielo, se avessero avuto la ventura di incontrarsi.

Presto sarebbe morto. Aveva settantanove anni e un can­cro allo stomaco. Era sovrappeso, diabetico, forte fumatore di pipa, aveva un cuore in disordine già sopravvissuto a tre infarti e una manciata di malanni minori che, dopo averlo tormentato per vent'anni, ora si stavano facendo sotto per il colpo di grazia. Il dolore era costante. Durante la loro ul­tima telefonata tre settimane prima, quando Ray lo aveva chiamato perché il Giudice considerava una rapina il costo delle interurbane, lo aveva sentito debole e affaticato. Ave­vano parlato per meno di due minuti.

L'indirizzo del mittente era a lettere d'oro in rilievo: Giu­dice Reuben V. Atlee, Venticinquesimo distretto, Tribunale della contea di Ford, Clanton, Mississippi. Ray infilò la bu­sta nella rivista e si incamminò. Il Giudice Atlee non era più in carica. Gli elettori lo avevano mandato in pensione nove anni prima, un'amara sconfitta dalla quale non si era mai ri­preso. Dopo trentadue anni di onorato servizio, il suo po­polo lo aveva dimesso in favore di un magistrato più giova­ne, armato di pubblicità radiofonica e televisiva. Il Giudice aveva rifiutato la tenzone elettorale. Aveva dichiarato di es­sere troppo occupato e, soprattutto, aveva aggiunto che la gente lo conosceva bene e, se voleva rieleggerlo, lo avrebbe rieletto.

II locale era di quattro metri per cinque, con una piccola scrivania e un divanetto, entrambi sepolti da un quantita di materiale sufficiente a farlo apparire un docente mollto occupato. Non lo era. Per il semestre di primavera leva un solo corso sull'antitrust. E aveva in programma di scrivere un libro, un'ennesima, noiosa dissertazione sui Enopoli, che nessuno avrebbe letto ma che sarebbe servito ad arricchire il suo curriculum.

Aprì la busta e dispiegò l'unico foglio. Anche su quello campeggiava il nome del Giudice sempre senza codice postale. Doveva ave­re scorte inesauribili di carta intestata. La missiva era indirizzata a Ray e a Forrest, il fratello minore, i due unici figli di uno sfortunato matrimonio che aveva avuto fine nel 1969 con la morte della madre. Come sempre, il messaggio era conciso:
Prego disporre in modo da presentarsi ai mio studio do­menica 7 maggio, ore 17, per discutere l'amministrazione del mio patrimonio. In fede,
Reuben V. Atiee

La firma caratteristica si era avvizzita e appariva incerta. Per anni aveva posto il suo sigillo su sentenze e ordinanze che avevano cambiato la vita a innumerevoli persone. Sen­tenze di divorzio, custodia di minori, alienamento dei di­ritti di un genitore, adozioni. Ordinanze che concludevano impugnazioni di testamenti e di risultati elettorali, dispute immobiliari, litigi per confini di proprietà. L'autografo del Giudice era stato autorevole e ben riconoscibile; adesso era lo scarabocchio vagamente familiare di un uomo anziano e molto malato.

Malato o no, Ray sapeva che comunque sarebbe stato puntuale all'incontro nello studio di suo padre.

Quando Ray era bambino, la mamma si riferiva alla ca­sa chiamandola Maple Run. Non pranzavano mai a casa, bensì a Maple Run. Il loro indirizzo non era Atlee, Fourth Street, bensì Maple Run, Fourth Street. Erano poche le fa­miglie di Clanton che avevano un nome per la propria di­mora. Quando la madre di Ray era morta per un aneurisma, l'avevano adagiata sul tavolo nel salotto principale. Per due giorni i concittadini erano passati, avanzando in cor­teo nel portico, attraverso l'ingresso e il salotto, per rendere l'ultimo saluto, e finire in sala da pranzo per il punch e i bi­scotti. Nascosti in soffitta, Ray e Forrest avevano maledetto il padre per aver consentito un simile spettacolo. Laggiù c'era la mamma, una bella e giovane donna, ora pallida e irrigidita in una bara scoperchiata.

Forrest aveva sempre chiamato la casa "Maple Ruin". Gli aceri rossi e gialli che una volta fiancheggiavano la via erano morti per qualche sconosciuta malattia. I loro tron­chi marci non erano mai stati estirpati. Quattro querce enormi ombreggiavano il prato antistante. Scaricavano fo­glie a tonnellate, troppe perché qualcuno potesse racco­glierle con il rastrello. E almeno due volte l'anno perdeva­no un ramo, che si abbatteva con uno schianto sul tetto, dove talvolta rimaneva. E la casa era sempre lì, anno dopo anno, lustro dopo lustro, ad accusare i colpi ma senza crollare mai.

Nonostante tutto era ancora un bell'edificio in stile geor­giano, con il colonnato, un monumento glorioso per coloro che l'avevano costruita e ora il triste memento di una stirpe in declino. Ray non voleva averci niente a che fare. Per lui la casa era un album di memorie spiacevoli e ogni volta che ci tornava era una nuova occasione di malinconia. Oltre tutto, non si poteva permettere il salasso economico necessario a mantenere una proprietà che meritava di essere rasa al suolo. Forrest avrebbe preferito bruciarla piuttosto che possederla.



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Un bellissimo romanzo di Grisham che insegna a guardarci dalle meschinità umane e ad agire sempre con trasparenza e a testa alta. In caso co...

i confratelliUn bellissimo romanzo di Grisham che insegna a guardarci dalle meschinità umane e ad agire sempre con trasparenza e a testa alta. In caso contrario ognuno di noi è ricattabile da parte di persone abiette e senza scrupoli che popolano, purtroppo, la società moderna. Capita così che segreti personali e comportamenti che dovrebbero essere intimi e privati possano rappresentare il pretesto di ricatto da parte di criminali. E’ quello che capita a persone più o meno famose nel romanzo. Persone che, costrette dall’ipocrisia della società attuale, devono tenere nascoste le proprie inclinazioni sessuali e comportamenti privati.

Succede così che in uno sperduto penitenziario della Florida tre avvocati, incarcerati per vari misfatti, approfittino dell’ingenuità di queste persone e giungano a ricattarle dopo aver inserito false inserzioni in una rivista per incontri omosessuali. La pratica si rivela subito un affare immenso e i tre fanno soldi a palate ricattando tutti coloro che cadono nella rete, minacciandoli di diffondere le loro scelte più intime. I confratelli, così li chiamano all’interno del carcere, si ritrovano quotidianamente nella biblioteca del carcere e discutono su vari argomenti legali, ma soprattutto affinano la loro pratica criminale con l’aiuto di un quarto avvocato che agisce all’esterno, un ubriacone e fallito. 

 
Accanto a questa vicenda il romanzo inizia con un’altra storia parallela: l’individuazione da parte della Cia e degli alti organi degli Stati Uniti di un serio candidato alla presidenza del paese. L’uomo risponde al nome di Aaron Lake e pare proprio essere la persona ideale per servire la Cia e tutti coloro che vogliono contrastare il riarmo improvviso da parte della Russia. Le due vicende parallele trovano un punto d’incontro quando il candidato prescelto risponde ingenuamente all’annuncio dei confratelli cadendo nella trappola. Nemici potentissimi, interessi internazionali, determinazione ed efficienza dei servizi segreti vanno a minare il tranquillo, finora, arricchimento dei tre truffatori. I confratelli si trovano di fronte un ostacolo che sembra insormontabile, ma con una freddezza e lucidità esemplare sapranno reagire e contrattaccare agli affondi del nemico. Si rendono conto di avere in mano un’arma potentissima e hanno il coraggio di ricattare persino gli organi dell’intelligence.

Una formidabile battaglia tra meschini ed astuti personaggi dove i colpi bassi si susseguono e incuriosiscono il lettore a dismisura. Più che insegnamenti morali, si spera che Grisham abbia voluto dare un messaggio per ciò che non si deve fare o comunque per ciò che bisogna evitare ad ogni costo. L’epilogo è assolutamente da non perdere, così originale e al di fuori da qualsiasi canone che sembra un delitto anticiparlo!

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Il codice da Vinci (The Da Vinci Code) è il quarto romanzo thriller dello scrittore Dan Brown, scritto nel 2003 e pubblicato in Italia nel 2...

codicedavinciIl codice da Vinci (The Da Vinci Code) è il quarto romanzo thriller dello scrittore Dan Brown, scritto nel 2003 e pubblicato in Italia nel 2004.

Il libro è un best seller internazionale, avendo venduto globalmente oltre 80 milioni di copie.

Trama

Il curatore del Louvre, Jacques Saunière, a Parigi, viene ucciso per mano di uno strano monaco albino appartenente all'Opus Dei. Lo studioso di simbologia, il professor Robert Langdon, viene a sapere dell'omicidio e, condotto al Louvre, viene interrogato, poiché ritenuto colpevole della morte del curatore. 

Langdon, affiancato da Sophie Neveu, nipote del curatore ucciso, e successivamente anche dallo studioso sir Leigh Teabing, dovrà ripercorrere attraverso indizi nascosti in importanti opere d'arte, enigmi e misteriosi nemici, il percorso del Santo Graal, uno dei più grandi misteri dell'umanità. Tale percorso si incrocia con quello di un'antica e misteriosa società segreta nota come Priorato di Sion (di cui faceva parte Saunière), che nasconde un segreto che potrebbe compromettere i fondamenti stessi del Cristianesimo, nella versione tramandata dalla Chiesa cattolica.

Le prime edizioni diffuse avevano all’inizio del romanzo una pagina che affermava la piena veridicità del romanzo e che il contenuto e gli avvenimenti narrati erano frutto di numerose ricerche. Molti storici, tra cui l’esperto della storia delle religioni Massimo Introvigne, lo criticarono duramente e lo invitarono ad un confronto diretto per discutere sulla veridicità dei contenuti presenti. Lanciata la sfida, Dan Brown decise di non accettarla ma di togliere la pagina di intestazione. È per questo che la versione italiana o di altre lingue non ha la premessa fatta da Dan Brown riguardante la veridicità del romanzo, al contrario delle prime versioni pubblicate in inglese.

Dan Brown, nel corso di un'intervista del 2003 alla CNN con Martin Savidge, ha comunque ribadito la pretesa storicità dell'opera dicendo che il contenuto era veritiero al 99%, ma che molti critici l'hanno valutato come un libro storico riscontrando di conseguenza una serie di errori che si aggirano sulla trentina, di cui alcuni molti molto gravi (soprattutto per quanto attiene la storia del Cristianesimo); secondo Brown il libro non va considerato come un saggio storico, ma come pura finzione.
romanzi_dan_brown 
  
Personaggi.
    Robert Langdon: docente di iconologia religiosa all'Università di Harvard, negli Stati Uniti, ed esperto di simbolismo. È anche un ottimo nuotatore e soffre di claustrofobia a causa di un trauma infantile.
    Sophie Neveu: la protagonista femminile del romanzo. Ha perso i genitori e il fratello in un tragico incidente venendo poi presa dal nonno Saunière.
    Sir Leigh Teabing: anziano e ricco cavaliere inglese che ha dedicato la sua vita allo studio del Santo Graal e del Priorato di Sion. Antagonista del romanzo e mandante dell'omicidio di Jacques Saunière. Avvelena il suo maggiordomo, essendo quest'ultimo uno scomodo testimone.
    Silas: il monaco-killer assoldato da Teabing per uccidere Jacques Saunière.
    Bezu Fache: l'ispettore di polizia incaricato dell'arresto dei protagonisti.
    Jérôme Collet: tenente della polizia, aiuta Fache nelle operazioni di cattura dei protagonisti.
    Arcivescovo Manuel Aringarosa: membro influente dell'Opus Dei.
    Rémy Legaludec: fedele maggiordomo di Teabing. Viene avvelenato da quest'ultimo.
    Jacques Saunière: Gran Maestro del Priorato di Sion e nonno di Sophie. Viene ucciso da Silas all'inizio del romanzo.
    André Vernet: il direttore della banca dove si trova il cryptex che contiene la "chiave di volta", l'indizio fondamentale per recuperare il Santo Graal.
    Suor Sandrine: suora che viene uccisa da Silas.





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Jonathan Argyll, un giovane studioso inglese di storia dell'arte, viene fermato dalla polizia mentre tenta di entrare furtivamente in un...

ian_pears_il_caso_raffaelloJonathan Argyll, un giovane studioso inglese di storia dell'arte, viene fermato dalla polizia mentre tenta di entrare furtivamente in una piccola chiesa nel centro di Roma, non lontana da Campo de' Fiori. Quando gli inquirenti lo interrogano, racconta loro una storia a dir poco sorprendente: sopra l'altare maggiore di quella chiesetta è esposto un quadro di Carlo Mantini, un modesto artista del primo Settecento. 

Ma sotto quel dipinto di genere ne sarebbe nascosto un altro, ben più importante... nientemeno che un ritratto femminile di Raffaello. Però quel quadro, afferma Argyll, è sparito. In realtà, esso risulta regolarmente venduto per pochi soldi dal parroco a un mercante inglese che, dopo aver comunicato al mondo l'esistenza di un Raffaello sotto il Mantini, lo mette all'asta a Londra.

Il governo italiano, battendo la concorrenza dei più ricchi collezionisti, riesce ad acquistarlo ad un prezzo altissimo. La sera della presentazione alla stampa, tuttavia il presunto capolavoro viene distrutto in un incendio. Una tragica fatalità oppure dietro quelle fiamme si nasconde qualcosa di losco?



E' quanto sospetta Taddeo Bottardi, capo del nucleo investigativo di polizia per la tutela del patrimonio artistico, alle prese con il caso più clamoroso e delicato della sua onorata carriera. L'intraprendente collaboratrice Flavia Di Stefano e lo svagato ma acuto Argyll, che gli danno una mano, si trovano coinvolti in un labirinto d'intrighi dove amore per l'arte, rivalità politiche e interessi finanziari si mescolano in un groviglio di sospetti, invidie e gelosie spinti all'estremo. Ma non sanno che la strada per giungere alla verità è lastricata di trappole così insidiose da mettere in pericolo la loro stessa vita...


Teso, emozionante, scritto con straordinaria perizia, Il caso Raffaello rivela nell'autore un maestro della suspence raffinata, pienamente padrone dei congegni narrativi che fanno di un buon thriller un autentico giallo d'autore, nel quale egli mette di suo, oltre a un notevole talento da scrittore, la finezza d'osservazione e l'ironia che ne hanno consacrato il successo presso il pubblico e la critica.

Stanno già riscuotendo un buon successo internazionale i gialli di Iain Pears, che ora appaiono anche in Italia, pubblicati da Longanesi. Questo è il primo di una serie che vede protagonista il comandante di un reparto di polizia che si occupa del patrimonio artistico a Roma: Taddeo Bottardi. Non poteva non sbarcare sulle nostre coste questo indagatore dell'arte così "nostrano", dipendente dal caffè come da una droga e con quel tanto di difetti, ben distribuiti, tipicamente italiani. Lo troviamo immediatamente alle prese con un caso interessante: un giovane inglese di ventotto anni, di nome Jonathan Argyll, viene arrestato mentre sta cercando di entrare nella chiesa di Santa Barbara, nel centro di Roma. Per giustificarsi il giovane afferma di aver tentato di vedere l'opera di Raffaello collocata sopra l'altare maggiore. Sin qui nulla di straordinario, se non fosse per il fatto che sull'altare maggiore della chiesa è collocato un quadro di Carlo Mantini (Riposo dopo la fuga in Egitto) che nulla ha a che vedere, apparentemente, con Raffaello. 

Ma Argyll asserisce che sotto il dipinto di Mantini si cela sicuramente un'opera del grande pittore del Rinascimento, solo che... l'opera è scomparsa. La curiosità di Bottardi è solleticata da questa storia. Argyll sembra dire la verità. L'indagine parte con una visita alla chiesa di Santa Barbara per fare qualche domanda al parroco. Il dipinto è stato trafugato? No, è stato venduto, per dieci milioni, a un collezionista. Dieci milioni utili per il programma di recupero dei tossicodipendenti. Del resto la cifra era già superiore al vero valore dell'opera... In realtà il parroco si sbaglia: il dipinto di Mantini, acquistato da un antiquario inglese, si dimostra essere davvero la copertura per un capolavoro di Raffaello (Ritratto di Elisabetta di Laguna,) 1505 circa, il risultato di una antica truffa, una tentata esportazione dell'originale risalente al Settecento. La base d'asta da cui partirà la vendita dopo la rivelazione sarà venti milioni di sterline, il prezzo finale sessantatré milioni e l'acquirente un alto funzionario del governo italiano. La vicenda sembrerebbe conclusa con l'assegnazione dell'opera a un museo della Penisola, ma nascono nuovi sospetti, scatenati proprio da Argyll, che, tornato in Inghilterra, ha ripreso le sue indagini storiche. Sarà autentico il dipinto?

Pears, esperto d'arte, ha individuato alcuni elementi affascinanti che possono legare questo mondo con quello del giallo, e ha sapientemente mescolato i due ingredienti, dando vita a un libro interessante oltre che avvincente, ben costruito, cui sono seguiti altri titoli che Longanesi promette di pubblicare presto: Il comitato Tiziano, Il busto del Bernini, Il giudizio universale, La mano di Giotto e Morte e restauro, dove ritroveremo i protagonisti principali di questo romanzo. Un appunto potrebbe essere fatto sulla descrizione dell'Italia, di Roma e delle sue vie, degli italiani, delle abitudini nazionali.  


Un po' troppo schematico talvolta l'affresco che l'autore fa del nostro paese, e qualche frase forse risulta eccessiva: "ormai, in nessuna città italiana c'era un museo che potesse stare alla pari con le gallerie nazionali di Londra e Washington, o con il Louvre di Parigi"; "qualche potente manovra era stata messa in atto in quel labirintico e oscuro coacervo d'intrighi che era il governo italiano"; "era una di quelle mattinate primaverili romane che trasformavano la città, nonostante gli ingorghi del traffico, il rumore e la dilagante sporcizia..."; "in realtà avrebbe dovuto mostrare la tessera ... ma è raro che i portinai a Roma, si preoccupino di dettagli tanto trascurabili", e così via. Perché certi luoghi comuni non muoiono mai? Vi ricordate come descrisse il medesimo ambiente artistico romano Federico Zeri in collaborazione con Carmen Iarrera, nel suo giallo intitolato Mai con i quadri? È vero che Zeri era nato nella capitale, dove aveva sempre vissuto, e che conosceva questo mondo perfettamente, ma allora perché non ambientare la storia de Il Caso Raffaello, per altro molto originale e appassionante, in un altro contesto?
 
Poco prima che le campane di Sant'Ignazio suonassero le sette del mattino, il generale Taddeo Bottardi si accinse a salire le solite scale costellate di opere d'arte, tutta refurtiva recuperata. Era arrivato nella piazza già da una decina di minuti, ma, rispettando una vecchia consuetudine, si era fermato nel bar di fronte all'ufficio a bere due espressi e mangiare un panino al prosciutto. Gli abituali frequentatori del locale l'avevano salutato come si conveniva a un regolare cliente dalle abitudini mattiniere: un amichevole "buongiorno", un cenno con il capo, ma nessun tentativo di scambiare quattro chiacchiere. Il primo contatto con il nuovo giorno è, a Roma come in qualsiasi altra metropoli, una faccenda privata che si sbriga meglio in un solitario silenzio.


Terminato quel piacevole rituale mattutino, il generale s'incamminò sull'acciottolato della piazza e affrontò le scale, cominciando a sbuffare e ansimare pesantemente ancor prima di aver terminato di salire la prima rampa. Non perché fosse sovrappreso, come si diceva spesso per rassicurarsi. Erano passati anni dall'ultima volta in cui era stato costretto a far allargare la divisa. Un po' corpulento, tutt'al più. D'aspetto imponente, così preferiva definirsi. Avrebbe dovuto rinunciare alle sigarette, al caffè, al cibo, e fare invece un po' di esercizio fisico. Ma in tal caso quali piaceri gli avrebbe riservato l'esistenza? Inoltre, si stava avvicinando alla sessantina e ormai era troppo tardi per cominciare a pretendere una buona forma fisica. Lo sforzo avrebbe potuto ucciderlo.


Si fermò un attimo, in parte per osservare un nuovo dipinto appeso al muro, ma soprattutto per concedersi una furtiva opportunità di riprendere fiato. Doveva trattarsi, a occhio, di un piccolo quadro di Artemisia Gentileschi. Molto bello. Era un vero peccato che dovesse essere restituito ai legittimi proprietari non appena tutto il lavoro burocratico fosse stato portato a termine, il colpevole denunciato e la documentazione inviata all'ufficio del magistrato inquirente. Ma quello era comunque uno dei piaceri derivanti dal trovarsi a capo del Nucleo investigativo per la tutela del patrimonio artistico italiano. Nelle rare occasioni in cui si riusciva a recuperare qualcosa, di solito ne valeva la pena.


Mentre aguzzava gli occhi per vedere meglio il dipinto, sentì una voce alle sue spalle: "Niente male, non le pare?" Bloccando gli ultimi ansiti di fatica, si voltò. Flavia Di Stefano era una di quelle splendide donne che, secondo Bottardi, soltanto l'Italia era capace di generare, destinate a trasformarsi in mogli e madri devote, quando non sceglievano invece di dedicarsi a un'attività lavorativa. E, in questo secondo caso, s'impegnavano talmente a fondo, per mettere a tacere i sensi di colpa indotti dal rifiuto del tradizionale ruolo femminile, da battere qualunque maschio di svariate lunghezze. Proprio per tale motivo otto dei dieci assistenti di Bottardi erano donne, il che, come lui ben sapeva, aveva indotto gli altri reparti di polizia ad affibbiare alla sua squadra uno sprezzante nomignolo.

Però, a voler dirla tutta, il "bordello di Bottardi", perché così era stato soprannominato il suo ufficio da alcuni colleghi chiaramente gelosi, mieteva successi. Diversamente da altri funzionari, di cui lui avrebbe potuto fare nomi e cognomi.
Rivolse alla ragazza un benevolo "buongiorno". Ma, più che una ragazza, era una donna, pensò, accorgendosi di essere arrivato a un'età in cui ogni creatura femminile al di sotto della trentina gli sembrava ancora una fanciulla. Provava per lei una grande simpatia, anche se Flavia pareva totalmente incapace di trattarlo con la deferenza che il suo grado, gli anni e la sua competenza avrebbero richiesto. Facendo riferimento alle sue rotondità fisiche, alle quali solo qualche amico si permetteva di alludere, con la maggior delicatezza possibile, lei lo definiva, con affetto e senza alcun imbarazzo, "vecchio baule". A parte questo, era una collaboratrice quasi perfetta.

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