Mo Hayder è l'autrice di alcuni dei thriller più autenticamente terrificanti e brillanti in circolazione: il finale di Hanging Hill ri...

537.-Mo-Hayder-Bonehead.jpg

Mo Hayder è l'autrice di alcuni dei thriller più autenticamente terrificanti e brillanti in circolazione: il finale di Hanging Hill rimane in un angolo oscuro della mia mente, mentre il suo tormentato e tragico detective Jack Caffrey e i crimini orribilmente inquietanti di cui si occupa sono indimenticabili (se non avete letto i libri, potreste averlo visto nel recente adattamento di Wolf).

Hayder è morto nel 2021 e Bonehead è un romanzo finale a sorpresa. Si addentra in luoghi oscuri e da incubo come sempre. La protagonista è Alex Mullins, un'agente di polizia del Gloucestershire che, da adolescente, è sopravvissuta a un incidente d'autobus in un lago in cui hanno perso la vita alcuni dei suoi compagni di classe.

È tornata al villaggio dove è successo, determinata a scoprire la verità sulla visione di una donna scheletrica che crede di aver visto quella terribile notte: una leggenda locale conosciuta come "Testa d'Osso", che porta sfortuna. La donna, secondo la storia, era una prostituta, una zingara, che nel secolo scorso fu assassinata nel parco da un cliente e gettata in un burrone.

Il suo volto fu divorato da topi e volpi, ma il suo corpo rimase, miracolosamente mummificato, così il suo assassino tornò più e più volte per fare sesso con il cadavere senza volto. Addentrandosi nella superstizione, nelle dicerie e nella tragedia di questa piccola comunità, mentre cresce il senso di minaccia imminente, che solo questo autore sa evocare con tanta efficacia, Bonehead è sconvolgente e sinistro quanto qualsiasi altra opera di Hayder. È un piacere inaspettato e agrodolce tornare nelle mani di uno dei nostri migliori autori di gialli.

Recensione

Dopo aver prestato servizio nella Polizia Metropolitana di Londra, l'agente Alex Mullins torna nella sua città natale, Eastonbirt, nel Gloucestershire. Quasi tre anni prima, Alex aveva lasciato la città dopo essere stata una dei sette sopravvissuti a un incidente. Un autobus con a bordo un gruppo di studenti era improvvisamente uscito di strada, finendo in un lago. L'incidente aveva lasciato gli abitanti della città sconvolti e aveva avuto un profondo impatto su Alex.

Il nocciolo della questione è che Alex ricorda di aver visto una donna ferma sul ciglio della strada poco prima che l'autobus sbandasse e si schiantasse. Perché era lì quella notte? È stata lei a causare l'incidente? L'autista del veicolo è morto, quindi a queste domande non è mai stata data risposta.

Alex crede che la donna fosse Testa di Carne, uno spirito inquieto che infesta la zona, attirando le persone nei boschi. La leggenda popolare narra di una prostituta rom assassinata da un cliente nel secolo scorso e gettata in un burrone. Con il volto divorato da topi e volpi, Testa di Carne porta sfortuna e molte persone sono misteriosamente scomparse nella zona. La leggendaria donna scheletrica è una presenza sinistra che percorre l'intero romanzo.

Sorge spontanea la domanda se Bonehead esista davvero o se chi la vede sia in preda a un delirio, alimentato da una sorta di paranoia condivisa. Hayder dimostra sinteticamente che gli aspetti psicologici di un romanzo poliziesco possono essere più terrificanti della descrizione dei dettagli espliciti di un omicidio. Sfida le aspettative non facendo dell'omicidio la trama principale; come nell'horror, il terrore risiede nell'invisibile.

La tensione aumenta ulteriormente quando i cani iniziano a sparire da Eastonbirt. Il primo è di proprietà di Rhory e Maryam. La coppia perlustra la zona, compresi i vasti boschi, per sei settimane senza successo. Qui, Hayder è particolarmente abile nel farci credere qualcos'altro: una falsa pista che aumenta significativamente il fattore paura. Ma non si limita a descrivere la ricerca di un cane scomparso; racconta anche la storia della coppia, incluso come si sono conosciuti, i loro alti e bassi e la loro lotta per avere figli. Naturalmente, tutto questo è rilevante per la storia, così come lo è la stigmatizzazione della depressione postpartum e della perimenopausa. Un altro punto di forza di Hayder è la sua capacità di creare personaggi tridimensionali con storie dettagliate e una complessa struttura psicologica.

Il romanzo è raccontato dal punto di vista di Alex e Maryam. Aaron, figlio di Rhory e Maryam, aiuta Alex a risolvere il mistero di Bonehead. Aaron lavorava per la polizia come istruttore di informatica nell'unità forense del Gloucestershire. A differenza di molte coppie di criminali, Alex e Aaron sono più che semplici colleghi: sopravvissuti a un incidente, affrontano insieme anche il loro trauma.

Oltre a raccontare una storia toccante, Hayder cattura magistralmente una tragedia che ha sconvolto una piccola città, offrendo al contempo uno studio sulla vita di provincia. I boschi che circondano Eastonbirt diventano una forza persistente e minacciosa che minaccia di divorarla. Si crea un senso di appartenenza quasi tangibile, e la foresta diventa un essere vivente; una personalità propria. Alex crede che stia cercando di portargliela via, descrivendola come "...nera, filamentosa e bassa, che si estende dal bunker, si attorciglia intorno ai tronchi degli alberi, attirando a sé esseri viventi". Racchiude anche secoli di segreti, ma, cosa più importante, nasconde Bonehead.

 

Opinione

Mo Hayder è spesso descritta come una donna coraggiosa, una donna che ha saputo innovare perché la sua scrittura era diversa da qualsiasi altra scritta da una donna, spesso affrontando a testa alta il lato oscuro dell'umanità. Ci manca già, ma per ora, almeno, abbiamo ancora un ultimo romanzo da assaporare.

 

Immagine fonte: Mo Hayder.

  Il libro completa un percorso editoriale iniziato nel 2009 con Nero a Manhattan e proseguito nel 2010 con Requiem per una pornostar. ...

Jeffery-Deaver-Hard-News

 

Il libro completa un percorso editoriale iniziato nel 2009 con Nero a Manhattan e proseguito nel 2010 con Requiem per una pornostar.

L’attrattiva principale della trilogia di Rune, credo possano ammetterlo anche i più sfegatati fan dell’autore, risiede proprio nel fatto che questi tre titoli rappresentano i primi passi di Jeffery Deaver nel mondo della scrittura, perlomeno per quel che riguarda i manoscritti pubblicati.

Dimentichiamo quindi l’abile tessitore di thriller che siamo abituati ad ammirare da decenni a questa parte: in questo caso ci troviamo di fronte a opere di livello qualitativo non eccelso ma che, proprio per questo motivo, possono permetterci di comprendere al meglio l’evoluzione dello stile e la sua migliorata comprensione di molti meccanismi narrativi.

Ritroviamo Rune dopo averla conosciuta come commessa di un noleggio video e in seguito come regista esordiente e appassionata di crimini.

Ora la (ex?) punk dai capelli vistosi e la curiosità divorante ha trovato una base di partenza migliore per le sue aspirazioni da film maker e lavora come assistente cameraman in un notiziario di una emittente di New York e, ambiziosa più che mai, propone a Piper Sutton, l’anchorwoman di Current Events, un servizio su Randy Boggs, uomo incarcerato dalla polizia in quanto ritenuto colpevole dell’omicidio di Lance Hopper, allora dirigente del network per cui lavora la stessa Rune.

La ragazza è convinta che Boggs sia innocente e ottiene il permesso di occuparsi del caso con un servizio tutto suo, coadiuvata da uno stagista e dal produttore esecutivo del programma di news.

E ripresa dopo ripresa, testimonianza dopo testimonianza, la regista riesce dove la polizia ha evidentemente fallito: tramite una nuova testimonianza Rune in pratica scagiona Boggs, e non le rimane che aspettare il giorno del trionfo, quello della mesa in onda del suo servizio.

Ma proprio in quella fatidica data le sue riprese scompaiono, apparentemente cancellate dal sistema, così come viene sottratta la sua copia personale. Ma, fatto ben peggiore, muore anche il nuovo testimone. La polizia, nuovamente ingannata, ritiene che si tratti di un incidente, ma Rune è convinta che la stessa persona che ha ucciso Hopper abbia poi messo a tacere il suo testimone. C’è un assassino in libertà, e Rune potrebbe essere la sua prossima vittima…

Introduzione.

Randy Boggs è innocente. Rune, ambiziosa assistente cameraman in un notiziario locale newyorkese, ne è convinta. Prove inconsistenti, indagini superficiali, testimonianze frammentarie, tutto fa pensare che dietro a una frettolosa condanna per omicidio si nasconda una grande storia che aspetta solo di essere raccontata.

Ma un uomo che si professa innocente non basta a fare notizia, questo le spiega Piper Sutton, anchorwoman di Current Events - trasmissione di punta del Network in cui la ragazza lavora -, quando Rune le propone il servizio. Trasmetterà la storia a patto che Rune non rincorra un assurdo ideale di giustizia, ma cerchi solo la verità: Randy Boggs ha ucciso o no Lance Hopper, ex capo del Network?

 

Con l'aiuto di Bradford, giovane stagista, e di Lee Maisel, produttore esecutivo del programma, Rune ricostruisce tutta la vicenda partendo dal cortile in cui Hopper è stato assassinato. Proprio lì la ragazza trova un nuovo testimone, la chiave che scagionerà Boggs e consegnerà a lei il posto che tanto sogna a Current Events.

 

Ma il giorno della trasmissione, il servizio scompare nel nulla - cancellato dal sistema e rubato dalla scrivania di Rune - e il testimone viene trovato morto. La polizia parla di un incidente, ma la ragazza comincia a sospettare che dietro ai due eventi si nasconda il vero assassino di Hopper.

 

Dopo Nero a Manhattan e Requiem per una pornostar, Jeffery Deaver ci regala l'ultima avventura della "Trilogia di Rune".

 

Nella New York dello strapotere dell'informazione, una storia serratissima, in cui dietro il paravento del grande giornalismo si nascondono volgari menzogne e pericolosi inganni.

Trama

Gli furono addosso subito dopo cena.

Non sapeva con certezza quanti fossero. Ma non faceva differenza.

L'unico suo pensiero fu: Dio, fa che non abbiano un coltello.

Non voleva che lo tagliassero. Che lo colpissero pure con la mazza da baseball, che lo colpissero con un tubo, che gli lasciassero cadere un mattone di cemento sulle mani... ma niente coltelli, per favore.

Stava percorrendo il corridoio che dal refettorio della prigione conduceva alla biblioteca, il corridoio grigio con un odore che non era mai riuscito a identificare. Acido, marcio... E, alle sue spalle, un rumore di passi che si faceva sempre più vicino.

Lo smilzo, che non aveva praticamente toccato la carne fritta e il pane e i fagiolini scodellati sul suo vassoio, aveva un passo più veloce.

Era a poco meno di venti metri da una delle postazioni dei secondini e nessuno degli agenti carcerari all'estremità opposta del corridoio stava guardando dalla sua parte.

Passi. Sussurri.

Dio, pensò l'uomo. Di uno potrei riuscire a sbarazzarmi. Sono forte e so muovermi in fretta. Però, se hanno un coltello, non c'è scampo...

Randy Boggs si voltò a dare un'occhiata.

Lo tallonavano in tre.

Niente coltelli. Per favore...

Si mise a correre.

«Dove credi di andare, ragazzo?» gli urlò il latinoamericano mentre acceleravano il passo dietro di lui.

Ascipio. Era Ascipio. Questo significava che Boggs stava per morire.

«Già, Boggs. È inutile. È del tutto inutile mettersi a correre.» Ma lui continuò. Un piede dietro l'altro, a testa bassa. Ora a una dozzina di metri soltanto dalla postazione dei secondini.

Ce la posso fare. Ci arriverò appena prima che mi raggiungano.

Dio, fa che abbiano una mazza o che usino i pugni.

Ma niente coltelli.

Niente carne lacerata.

Ovviamente, fra la popolazione del carcere si sarebbe subito sparsa la voce che Boggs era corso dalle guardie. E a quel punto tutti, persino le guardie stesse, lo avrebbero deriso alla minima occasione. Perché, se in galera perdi il coraggio, per te non c'è la minima speranza. Significa che morirai ed è solo questione di quanto tempo ci vorrà per strapparti l'anima da codardo dal corpo.

«Merda» disse qualcun altro, ansimando per lo sforzo della corsa. «Prendetelo.» «Hai il vetro?» chiese uno di loro.

Fu un sussurro, ma Boggs lo sentì. Vetro. L'amico di Ascipio si riferiva di sicuro a un coltello di vetro, l'arma più popolare in prigione perché potevi avvolgerla nel nastro adesivo, nascondertela addosso, superare il metal detector e cagartela in mano, senza che nessun secondino se ne accorgesse mai.

«Arrenditi, amico. Ti faremo comunque a pezzi. Dacci il tuo sangue...» Boggs, magro però in forma, correva come un campione di atletica, ma si rese conto che non ce l'avrebbe fatta. Le guardie erano nella postazione sette, una stanza che separava i servizi comuni dalle celle. Le finestre avevano uno spessore di quattro centimetri: uno si sarebbe potuto piazzare proprio davanti a una finestra, sbattendo le mani insanguinate sul vetro, e se la guardia all'interno casualmente non avesse alzato gli occhi verso il prigioniero accoltellato, non si sarebbe accorta di nulla e avrebbe continuato a godersi il suo «New York Post», il suo trancio di pizza e il caffè. Non avrebbe mai saputo che un uomo stava morendo dissanguato a mezzo metro alle sue spalle.

Boggs vide le guardie all'interno della fortezza. Erano concentrate su un'importante episodio di A cuore aperto trasmesso da un piccolo televisore.

Boggs accelerò al massimo, gridando: «Aiutatemi, aiutatemi!».

Avanti, avanti, avanti!

D'accordo, si sarebbe voltato, li avrebbe affrontati. Ascipio e i suoi compari. Avrebbe colpito il più vicino con la sua testa allungata.

Gli avrebbe rotto il naso, avrebbe cercato di strappargli il coltello. Forse, a quel punto, le guardie lo avrebbero notato.

Uno spot in televisione. Le guardie indicavano lo schermo ridendo. Un grande giocatore di basket stava dicendo qualcosa.

Boggs corse direttamente incontro ad Ascipio.

Chiedendosi: perché quel tipo e i suoi compari gli stavano facendo questo? Perché? Solo perché era bianco? Perché non era un culturista? Perché non aveva preso un manico di scopa appuntito insieme agli altri dieci carcerati e non si era fatto avanti per ammazzare Rano l'informatore?

Tre metri dalla postazione delle guardie...

Una mano lo afferrò per la collottola.

«No!» urlò Randy Boggs.

Cadde sul pavimento di cemento, sotto il peso dell'assalitore.

Vide: i protagonisti del telefilm in televisione che scrutavano con aria seria un corpo sul tavolo operatorio.

Ciao amici oggi voglio parlarvi di una Serie TV che sto finendo di guardare e che ha catturato la mia attenzione per l'interpretazione...

41.-Il-Buon-Dottore-una-serie-con-carisma-locandina.png

Ciao amici oggi voglio parlarvi di una Serie TV che sto finendo di guardare e che ha catturato la mia attenzione per l'interpretazione dei suoi protagonisti, per la trama trattata e per la scenografia, a tratti un po' discontinua, che ha accompagnato la serie in queste quattro stagioni.

Mi riferisco né più né meno a The Good Doctor, la cui versione americanizzata che stiamo guardando è il seguito dell'analoga serie coreana andata in onda tra il 2013 e il 2018 con notevole successo di critica e di ascolti televisivi.

Il personaggio principale.

41.-Il-Buon-Dottore-una-serie-con-carisma-1.png

Innanzitutto sono rimasto colpito dall'interpretazione del primo attore che interpreta il personaggio centrale, il dottor Shaun Murphy (Freddie Highmore), affetto da due disturbi: la sindrome autistica e la sindrome del savant.

Raramente accade che sullo schermo televisivo attori apparentemente sconosciuti riescano a dare al loro personaggio una forza e un carisma così speciali come in questo caso. A tal punto che a volte l'attore viene confuso con il personaggio e rimane il dubbio se l'attore non sia realmente toccato da questo disturbo.

Quando si dice che "il personaggio entra nella carne e nelle ossa dell'attore" possiamo riferirci a Shaun Murphy-Freddie Highmore e credo di sì, senza timore di esagerare.

Interpretazione fantastica. Penso che sia destinato -se non commette errori nel suo percorso di recitazione- a essere uno di quegli attori che hanno segnato un'epoca come Peter O'Toole, Jack Nicholson, Daniel Day Lewis.

So che il paragone è odioso perché stiamo parlando di attori affermati contro un attore che sta appena iniziando.

Ma mi basta ricordare Peter O'Toole che interpreta Lawrence d'Arabia , Jack Nicholson che interpreta Atrapped with No Exit o The Shining e Daniel Day Lewis che interpreta My Left Foot per vedere in Freddie Highmore un degno discepolo. Tutti personaggi che richiedevano grande concentrazione recitativa. Dove i gesti valevano più delle parole. Il tempo dirà se mi sbaglio di grosso o se sono vicino alla verità.

Il cinema è cinema e la televisione è televisione, diranno alcuni con ragione. I tempi sono diversi. Così come le esigenze. Il tempo impiegato per girare un film è oggi il tempo necessario per realizzare una serie completa di 18-20 capitoli all'anno come The Good Doctor .

Ma sembra una serie realizzata non in stile NetFlix ma con uno stile più vicino al cinema. Con ambientazioni curate. Senza fretta. E con pochi errori visivi.

La trama è stata affrontata.

41.-Il-Buon-Dottore-una-serie-con-carisma-2.png

A dire il vero ho visto trattare il tema dell'autismo molto raramente, sia in letteratura che al cinema o in TV. Qualche esempio isolato e niente di più.

Dalla mia recente lettura in prima persona ricordo il quarto libro della saga Millennium che, dopo la morte del suo creatore Stieg Larsson, è stata proseguita con altri tre volumi dallo scrittore svedese David Lagercrantz.

E proprio nel suo primo libro (quarto della serie) intitolato Ciò che non ti uccide ti rende più forte affronta il problema dell'autismo in uno dei personaggi del romanzo, in questo caso il tecnico informatico Frans Balder. Il quale, oltre a soffrire di autismo, presenta i sintomi della sindrome del savant, detta anche sindrome del savant, come nel caso del dottor Shaun Murphy.

Si tratta di una patologia scoperta solo di recente, anche se i casi non sono affatto nuovi. Semplicemente ora la sua straordinaria capacità è potenziata mentre in passato le persone colpite da questa patologia erano confinate nei centri di salute mentale.

Un grande merito della serie è quello di trovare un argomento non facile e trasformarlo in qualcosa di digeribile quotidianamente, sottolineando sempre in tutti i capitoli la stessa cosa: la difficoltà di una persona con autismo a integrarsi nel lavoro e nella società. E la lotta costante -di queste persone che fanno della sincerità la loro arma principale- contro l'ipocrisia, la menzogna, l'adulazione e il carrierismo. E le loro difficoltà a esprimersi nella sfera sentimentale.

Il resto dei personaggi.

41.-Il-Buon-Dottore-una-serie-con-carisma-3.png

Il resto dei personaggi, secondo il mio modesto parere, non sono riusciti a convincermi per niente. Forse perché inconsciamente li paragono a Freddie Highmore-Shaun Murphy.

In alcuni casi storie sentimentali troppo convenzionali che sembrano occupare il posto destinato alla morbosità nella maggior parte delle serie televisive. Inganni, costituzione di nuove coppie, tradimenti e altri aspetti che la dissociano un po' dal tema principale.

Molto coerente e discreto il lavoro di recitazione del suo mentore Dr. Aaron Glassman (Richard Schiff) che mostra tutti i segni di un attore con anni di lavoro. Non è necessario apparire continuamente sullo schermo per fare un buon lavoro.

Nicholas Gonzalez nel ruolo del dottor Neil Melendez migliora con il passare dei capitoli, abbandonando un atteggiamento negazionista e autoritario (altrimenti piuttosto credibile nell'ambiente medico) per acquisire una facciata più umana con il passare dei capitoli. Positivo anche il riadattamento di Hill Harper nel ruolo del dottor Marcus Andrews, principale cospiratore per accedere alla presidenza del consiglio dell'ospedale, a cui arriva in seguito alla malattia del dottor Aaron Glassman ma da cui si dimette anche quando cercano di espellere Shaun dall'ospedale solo perché autistico e con problemi relazionali. Declassificato a semplice chirurgo riconsidera la visione da un altro punto di vista.

Il resto dei personaggi accompagna discretamente. Il fatto che Freddie Highmorede abbia vinto il Golden Globe come miglior attore in una serie drammatica televisiva nel 2018 non è una coincidenza.

Cinque anni dopo essere stata torturata dall'assassino autoinflitto che ritorna all'Istituto di medicina legale di Richmond, Kay S...

Cinque anni dopo essere stata torturata dall'assassino autoinflitto che ritorna all'Istituto di medicina legale di Richmond, Kay Scarpetta torna in Virginia. Ma non è un ritorno trionfante. L'ha richiamata l'attuale capo dell'istituto, il presuntuoso e incompetente Joel Marcus (ma in realtà non è stato lui a convocarla, è stato costretto a farlo), e la scena che si presenta davanti agli occhi di Kay è decisamente preoccupante. Gran parte dell'obitorio è in rovina, i laboratori sono nel caos e non c'è più traccia della perfetta organizzazione da lui creata. Il caso da risolvere è quello di un quattordicenne, il cui stato di morte è inequivocabile ma di cui non è possibile stabilire la reale causa della morte. E non si tratta certo di influenza, come la madre si ostina a insistere.

Accanto a lei il fedele Pete Marino, indimenticabile per la sua stravaganza, per la sua maleducazione e per la sua timidezza. Accanto a lui, anche l'affascinante nipote Lucy, a capo di un'agenzia investigativa internazionale, un'organizzazione simile a un gruppo paramilitare per la gestione e la tecnologia. Ed è solo attraverso le indagini di Lucy su uno strano individuo che passa il tempo a guardare le finestre della sua casa o le portiere delle sue due Ferrari (una gialla e una nera), che scopre un mistero impercettibile.

È da qui che parte Kay Scarpetta, con la sua abilità di investigatrice e di patologa, con la sua geniale capacità di costruire dal nulla un intero mondo di orrori e di seguire La traccia.

Recensione

Bulldozer gialli e bulldozer rimuovono terra e pietre da un luogo che ha visto più morti di molte guerre, e Kay Scarpetta, in un SUV a noleggio, rallenta quasi fino a fermarsi. Tremando, fissa i macchinari gialli che distruggono ciò che resta del suo passato.

"Avrei dovuto avvertirmi", dice tra sé.

Le sue intenzioni erano innocenti in quella grigia mattina di dicembre. Nostalgica, le era venuto in mente di passare davanti all'edificio dove aveva lavorato per così tanti anni, ignara che lo stavano demolindo. Avrebbero dovuto avvertirlo. Sarebbe stato bello dirle che quell'edificio, dove aveva trascorso così tanto tempo, quando era giovane, piena di sogni e speranze, quando credeva ancora nell'amore, quell'edificio per il quale provava tanta nostalgia, stava per essere demolito.

Vide un bulldozer avanzare, pronto a colpire, e la sua rumorosa violenza meccanica la colpì come allarmante e pericolosa. "Avrei dovuto ascoltare", pensa.

pensa mentre osserva l'edificio sventrato, la cui facciata è piena di buchi.

"Quando mi è stato chiesto di tornare a Richmond, avrei dovuto ascoltare di più."

"Ho un caso difficile e vorrei che tu mi aiutassi", le disse il dottor Joel Marcus, l'attuale direttore del Virginia Institute of Forensic Medicine, l'uomo che ha preso il suo posto. Le telefonò ieri pomeriggio e lei non prestò attenzione ai propri sentimenti.

"Certamente", rispose, camminando avanti e indietro nella cucina della sua casa nel sud della Florida. "Cosa posso fare per te?"

"Una ragazza di 14 anni è stata trovata morta nel suo letto quindici giorni fa, verso mezzogiorno. Aveva l'influenza."

Avrebbe dovuto chiederle perché aveva deciso di chiamarla in modo specifico. Ma la ignorò. "Era tornata a casa da scuola?" chiese.

'SÌ.

"Da sola? Stava mescolando bourbon, miele e olio d'oliva e aveva l'auricolare a tracolla.

"Sì, lo era.

"Chi l'ha trovata? Com'è morta?" chiese, versando il composto in un sacchetto di plastica contenente una bistecca.

"È stata la madre a trovarla e la causa della morte deve ancora essere determinata", rispose Marcus. "Tutto sembrerebbe normale, tranne per il fatto che non è chiaro come sia morta".

Kay Scarpetta mise la bistecca a marinare in frigo e aprì il cassetto dove teneva le patate, poi cambiò idea, decise di preparare dei cereali al pane e lo richiuse. Non riusciva a stare ferma, figuriamoci a sedersi; era nervosa e cercava di non farlo vedere. Perché il dottor Marcus l'aveva chiamata? Avrebbe dovuto chiederglielo.

"Con chi viveva la ragazza?" chiese invece.

«Preferirei parlarne di persona», rispose Marcus. «È un caso complicato».

Kay stava per dirgli che non poteva aiutarlo, che se ne stava andando, che aveva in programma due settimane ad Aspen, ma non lo fece. Non lo fece perché non era vero. Non lo fece perché non era vero: la vacanza era stata posticipata, o forse annullata del tutto, anche se era stata decisa mesi prima. Non poteva mentire e ricorse a una scusa più professionale: "Non posso venire a Richmond perché sto lavorando a un caso molto complesso, una morte per impiccagione che la famiglia non vuole rassegnarsi a considerare un suicidio".

"E perché?" chiese Marcus. Più lui parlava, meno lei lo ascoltava.

"Problemi razziali?"

"Il morto si è arrampicato su un albero, si è messo una corda al collo e si è ammanettato per non cambiare idea", ha spiegato, aprendo una porta della cucina. "Quando è saltato giù dal ramo, la corda gli ha spezzato la seconda vertebra cervicale e ha spinto in avanti la sua capella, così che quando lo hanno trovato aveva un'espressione corrusca, una specie di smorfia di dolore. I suoi parenti, qui nel Mississippi, dove l'omosessualità non è ancora ampiamente accettata, non riescono a spiegare l'espressione del morto e le manette".

"Non sono mai stato nel Mississippi", fu il commento di Marcus, forse intendendo che non gliene fregava niente dell'uomo impiccato o di qualsiasi tragedia che non lo riguardasse personalmente. Ma Kay Scarpetta non stava ascoltando e non capiva.

"Sarei felice di aiutarti", disse, aprendo una bottiglia di olio extravergine di oliva non filtrato, che lui non aveva bisogno di aprire.

"Tuttavia, non credo che sia una buona idea."

Era arrabbiata, ma non voleva ammetterlo a se stessa e camminava avanti e indietro nella sua bella e allegra cucina con elettrodomestici in acciaio inossidabile e ripiani in granito, guardando fuori dalla finestra verso l'Intracoastal Waterway. Era arrabbiata perché non sarebbe andata ad Aspen, ma le dava fastidio ammetterlo. Era arrabbiata, molto arrabbiata, ma non voleva essere scortese con Marcus ricordandogli che fino a poco prima aveva occupato il suo ufficio e che, quando era stata cacciata, aveva deciso di non mettere mai più piede a Richmond. Ma Marcus tenne a freno la lingua e lei dovette spiegare che il suo trasferimento non era stato esattamente amichevole, come senza dubbio lui sapeva.

"È passato molto tempo, Kay", sottolineò allora. Lei era stata abbastanza rispettosa e professionale da chiamarlo Dr. Marcus e chiamarlo "Dr. Marcus" - come osava quel mascalzone chiamarla "Dr. Marcus"? Si offese, ma poi pensò tra sé che probabilmente voleva solo essere educato e amichevole, che lei non doveva essere ipersensibile e negativa: poteva essere che la gelosia l'avesse portata a essere così prevenuta nei suoi confronti? Dopotutto, cosa c'era di sbagliato nel chiamarla Kay, si disse. E ancora una volta, non aveva ascoltato il suo istinto.

«Nel frattempo il governatore è cambiato», continuò Marcus. «La signora attualmente in carica probabilmente non ne ha mai sentito parlare».

Forse stava cercando di umiliarla, di farle vedere che era così insignificante che nessuno sapeva chi fosse? Ma poi si disse che stava davvero esagerando, che Marcus non aveva certo intenzione di offenderla.

"È così presa dalla crisi finanziaria e dalla paura del terrore che...".

Kay si rimproverò di essere stata così negativa nei confronti del medico al suo posto. Dopotutto, Marcus aveva chiesto il suo aiuto solo per un caso difficile: cosa c'è di sbagliato? È normale che i manager che hanno lasciato un'azienda vengano richiamati come consulenti. E in ogni caso, Aspen sta scoppiando dalle cuciture.

"... gli obiettivi in ​​Virginia sono così tanti: basi militari, l'accademia dell'FBI, un campo di addestramento della CIA, la Federal Reserve... Non avrà problemi con il governatore, Kay. È una donna troppo ambiziosa, vuole arrivare a Washington, non ha mai mostrato il minimo interesse per il mio lavoro", continuò Marcus con il suo accento del sud, cercando di convincere Kay che tornare a Richmond dopo cinque anni e offrire consigli all'Institute of Forensic Medicine da cui era stata licenziata non avrebbe causato alcun problema, anzi sarebbe passato completamente inosservato. Non convinta, Kay Scarpetta pensò di più ad Aspen, a Benton, al fatto che lui era in montagna senza di lei. Aveva tempo per occuparsi di un altro caso, nessun impegno urgente.

Camminava lentamente attraverso l'ex sede del Virginia Medical Examiner's Institute, assediata da macchinari gialli che ricordavano enormi insetti voraci con fauci di metallo. Ci sono bulldozer e camion ovunque e il frastuono è assordante.

"Sono contenta di averlo visto", dice Kay Scarpetta. "Ma avrebbero dovuto dirmelo".

Pete Marino, che è in macchina con lei, guarda lo spettacolo in silenzio.

"E sono felice che anche tu l'abbia visto, Capitano", aggiunge Kay.

Non lo chiama spesso "capitano", anche perché Marino non lo è più.

Quando lo fa, lo fa per cortesia.

"Felice tu, felice tutti", borbotta con il suo tipico sarcasmo.

"Comunque, sì, hai ragione, avrebbero dovuto dirtelo. Altrimenti, quel coglione che ti ha rubato il lavoro e ti ha implorato di venire dopo cinque anni per dargli una mano, avrebbe potuto fare lo sforzo di fartelo sapere. O l'ha fatto?"

"Probabilmente non ci ha pensato", lo scusa Kay.

"Sì, bravo", commenta Marino. "Mi sta già prendendo in giro."

Indossa pantaloni della tuta neri, anfibi, una giacca di finta pelle nera e un berretto con visiera del LAPD. Kay Scarpetta sa che vuole sembrare un teppista urbano perché prova ancora risentimento per "i ragazzi di Richmond" che gli hanno reso la vita un inferno quando era ispettore di polizia in Virginia. Marino è convinto di non aver meritato i numerosi avvertimenti, sospensioni, trasferimenti e provvedimenti disciplinari che ha ricevuto nel corso della sua carriera e non si rende conto che se gli altri lo trattano male, spesso è perché li provoca.

Kay Scarpetta lo guarda, seduto imbronciato con gli occhiali da sole e quel berretto, e pensa che abbia un aspetto sciocco, soprattutto perché odia Los Angeles, Hollywood, lo show business e tutti coloro che muoiono dalla voglia di farne parte. Il berretto del LAPD è un regalo della nipote di Kay Scarpetta, Lucy, che ha appena aperto una filiale della sua agenzia investigativa a Los Angeles. Chissà perché Marino, per tornare a Richmond, ha scelto un look del genere: forse era sua precisa intenzione apparire completamente diverso da quello che è.

"Quindi non andrai ad Aspen", dice piano. "Mi chiedo quanto sia impegnato Benton."

"La verità è che è molto impegnato", risponde Kay. "Quindi se lo raggiungo tra due o tre giorni sarà più felice".

"Due o tre giorni? Pensi davvero che ci vorranno solo due o tre giorni? Vedrai che non andrai più ad Aspen. Come mai Benton è impegnato, comunque?"

"Non me l'ha detto e io non gliel'ho chiesto", risponde per chiudere la conversazione. Non ha voglia di parlarne.

Marino guarda fuori dalla finestra senza dire niente e Kay Scarpetta è certa che stia pensando alla sua relazione con Benton Wesley. Probabilmente ci pensa spesso, troppo spesso: ha intuito che si è allontanata da Benton, che da quando sono tornati insieme sono diventati più distanti. Gli dà fastidio che Marino se ne sia accorto, anche se è naturale: se qualcuno doveva accorgersene, doveva essere lui.

"Peccato per Aspen", dice Marino. "Io però sarei incazzato."

"Guardate!" esclama Kay Scarpetta, indicando l'edificio che viene abbattuto davanti ai loro occhi. "Già che siamo qui, potremmo anche dargli un'occhiata." Non vuole parlare di Aspen o Benton, o del perché non è in montagna con lui. Gli anni in cui pensava che fosse morto l'hanno cambiata profondamente. Quando è rientrato nella sua vita, niente è più stato lo stesso. Kay non sa perché.

Opinione.

Piacevole (se così si può dire di un libro che inizia con la morte di una ragazzina di tredici anni), non molto scorrevole, con qualche ripetizione qua e là, tanto che non si capisce se la Cornwell sta riassumendo gli episodi precedenti o se ha dimenticato di aver già scritto che il ragazzo non sopporta questa cosa o che la tipa si è svegliata in ansia.

Più di una storia si intreccia, ma alcune soluzioni finali ti lasciano con il dubbio di non aver capito bene come ci sei arrivato. Perché Benton, a un certo punto, è così sicuro che la vittima designata avrebbe dovuto essere Lucy e non Henri? Perché Kay, a un certo punto, pensa a un vecchio dipendente del Dipartimento di Anatomia? Perché Lucy, a un certo punto, è così sicura di aver fatto qualcosa al vecchio dipendente, anche se non riesce a ricordare cosa?

E, soprattutto, perché la bambina viene uccisa, all'inizio del romanzo? Mah... Comprato perché era in offerta estiva e perché, dalla quarta di copertina, era l'unico che non avevo letto con certezza (tra copertine, titoli e trame, a volte sembrano tutti uguali), mi ha preso una serata ma mi convince che, a parte i primi romanzi e le offerte speciali, Cornwell è un autore che posso anche trascurare.

Fonte immagini: Patricia Cornwell Official website.

Dopo Birdman e The Treatment, Jack Caffery, il cinico personaggio creato da Mo Hayder, torna sulle pagine di Ritual, e ancora una volta si...

Dopo Birdman e The Treatment, Jack Caffery, il cinico personaggio creato da Mo Hayder, torna sulle pagine di Ritual, e ancora una volta si tratta di un thriller dai forti connotati violenti, con sfumature horror, scritto in uno stile molto più simile a quello dei suoi colleghi francesi, Grangé e Chattam su tutti, che a quello dei suoi omologhi anglosassoni.

Come i due romanzi precedenti, anche questo divide critica e pubblico, perché certe atmosfere sono invariabilmente più legate all'horror che al thriller. Il cuore stesso della storia, i rituali magici africani trapiantati nell'Inghilterra moderna, va oltre i soliti tropi del thriller.

In questo crudo thriller psicologico, terzo capitolo della serie dell'ispettore Caffery, Mo Hayder si muove con disinvoltura tra il soprannaturale e lo scientifico, con un ritmo vertiginoso che non lascia tregua al lettore fino all'ultima pagina.

Un martedì di maggio, nelle acque torbide del porto di Bristol, l'agente Phoebe Marley della squadra di sommozzatori della polizia trova una mano umana immersa a più di due metri di profondità. Il fatto che l'arto non sia attaccato a un corpo è inquietante di per sé, ma ancora più inquietante è la scoperta dell'altra mano, il giorno dopo e in un luogo diverso. Entrambe sembrano essere state amputate di recente alla vittima e le prove suggeriscono che ciò sia stato fatto mentre era ancora vivo.

L'ispettore Jack Caffery, incaricato del caso, giunge presto alla conclusione che le mani appartengono a un giovane tossicodipendente scomparso da alcune settimane. Mentre Caffery si concentra su un lavoro legato alla droga, Marley scopre un possibile collegamento con il muti, una stregoneria tradizionale africana che prevede l'uso rituale di arti mozzati. La loro ricerca per scoprire i fatti porterà la coppia di investigatori negli angoli più malfamati della città, dove si nasconde una minaccia diabolica.

Trama.

Un martedì di maggio, subito dopo pranzo e a nove piedi sott'acqua nel "porto galleggiante" di Bristol, il sommozzatore della polizia Sergente "Flea" Marley chiuse le dita dei suoi guanti attorno a una mano umana. Fu sorpresa di trovarla così facilmente e le sue gambe tremarono un po', sollevando il limo e l'olio motore dal fondo, inclinando il suo peso corporeo all'indietro e aumentando la sua galleggiabilità, così che iniziò a salire. Dovette chinarsi e raggiungere sotto i serbatoi del pontone con la mano sinistra, quindi sfiatare un po' d'aria dalla tuta per stabilizzarsi abbastanza da raggiungere il fondo e prendersi un po' di tempo per sentire l'oggetto.

L'oscurità era totale, era come avere la faccia nel fango, non aveva senso cercare di vedere cosa si teneva in mano. Nella maggior parte delle immersioni nei fiumi e nei porti, tutto si faceva con il tatto, quindi doveva essere paziente e lasciare che l'oggetto prendesse forma nelle sue dita e risalisse lungo il braccio, scaricando un'immagine nella sua mente. Lo sentì delicatamente, chiudendo gli occhi, contando le dita per assicurarsi che fosse umano, e poi capì quale dito era quale: prima l'anulare, piegato lontano da lei, e da lì riuscì a capire in quale direzione era rivolta la mano: con il palmo rivolto verso l'alto. I suoi pensieri correvano mentre cercava di immaginare che aspetto avrebbe avuto il corpo, probabilmente di lato. Diede alla mano uno strattone sperimentale. Invece di avere un peso dietro, galleggiò libera dal limo e si staccò facilmente. Dove avrebbe dovuto esserci un polso c'erano solo osso e cartilagine.

Sergente?' disse l'agente Rich Dundas nell'auricolare. La sua voce sembrava così vicina nell'oscurità claustrofobica che lo fece sussultare. Era sul molo, e la seguiva in movimento con il suo assistente di superficie, che le teneva tesa la cima di salvataggio e controllava il pannello delle comunicazioni. Come sta? È sopra il punto caldo. Riesce a vedere qualcosa?

Il testimone aveva riferito di una mano, solo una mano, nessun corpo, e questo aveva turbato l'intera squadra. Nessuno sapeva che un cadavere galleggiava a faccia in su: la decomposizione aveva provveduto a questo, facendoli galleggiare a faccia in giù, con braccia e gambe penzoloni nell'acqua. L'ultima cosa visibile sarebbe stata una mano. Ma ora avevo un'immagine diversa: nel suo punto più debole, il polso, questa mano era stata mozzata. Era solo una mano, senza corpo. Quindi non c'era nessun cadavere che galleggiava, contro tutte le leggi della fisica, sulla schiena. Ma c'era ancora qualcosa che non si adattava alla dichiarazione del testimone. Girò la mano, fissando mentalmente il modo in cui giaceva, piccoli dettagli di cui avrebbe avuto bisogno per la sua dichiarazione. Non era stata sepolta. Non si poteva nemmeno dire che fosse sepolta nel limo. Era solo sdraiata sopra di essa.

Sergente? Mi senti?

"Sì", disse. "Ti sento".

Sollevò la mano, la prese delicatamente a coppa e la lasciò cadere lentamente sul limo in fondo al porto.

Sergente?

Sì, Dundas. Sì. Sono con te.

Hai qualcosa?

Deglutì. Voltò la mano in modo che le sue dita incontrassero le sue. Avrebbe dovuto dire a Dundas che erano le "cinque campane". Una scoperta. Ma lui non lo fece. "No", disse invece. "Ancora niente. Ancora niente.

Qual è il problema?

Ancora niente. Farò qualche progresso.

Ti farò sapere quando avrò qualcosa.

OK.

Immerse un braccio nel fango sul fondo e si costrinse a pensare lucidamente. Per prima cosa tirò delicatamente il salvagente, trascinandolo verso il basso, cercando il segno successivo di tre metri. In superficie, sembrava muoversi naturalmente, come se stesse pagaiando sul fondo. Quando raggiunse il segno, mise la cima tra le ginocchia per mantenere la pressione e si sdraiò nel fango come aveva insegnato alla squadra a riposare in caso di sovraccarico di CO2: a faccia in giù in modo che la maschera non si sollevasse e con le ginocchia leggermente affondate nel fango. Si portò una mano alla fronte, come se stesse pregando. Nel suo casco per le comunicazioni c'era silenzio, solo un sibilo di statica. Ora che aveva raggiunto l'obiettivo, aveva tempo. Staccò il microfono dalla maschera, chiuse gli occhi e controllò il suo equilibrio. Si concentrò su un puntino rosso nella sua mente, lo osservò, aspettò che danzasse. Ma non lo fece. Rimase immobile. Lei rimase molto, molto immobile, in attesa, come faceva sempre, che qualcosa le arrivasse.

"Mamma?" sussurrò, odiando il modo in cui la sua voce suonava così speranzosa, così sibilante nello zoccolo. Mamma?

Lei aspettò. E niente. Come al solito. Lui si concentrò intensamente, premendo leggermente sulle ossa della sua mano, facendo sì che quel pezzo di carne aliena sembrasse per metà familiare.

Mamma?

Qualcosa gli entrò negli occhi, bruciando. Li aprì, ma non c'era niente: solo il solito nero della maschera, la vaga luce brunastra della melma che danzava davanti alla visiera e il suono avvolgente del suo respiro. Lei trattenne le lacrime, voleva dirlo ad alta voce: Mamma, per favore aiutami. Ti ho vista ieri sera. Ti ho vista. E so che stai cercando di dirmi qualcosa, ma non riesco a sentirlo bene. Per favore, dimmi cosa stavi cercando di dirmi. "Mamma?" sussurrò, e poi, vergognandosi di se stessa, "Mamma?"

La sua voce echeggiò di nuovo nella sua testa, ma questa volta, invece di mamma, suonò come "Idiota, idiota". Gettò indietro la testa, respirando affannosamente, cercando di trattenere le lacrime. Cosa si aspettava, perché era sempre lì, sott'acqua, dove veniva a piangere, il posto peggiore, a piangere con una maschera che non poteva togliersi come i subacquei sportivi? Forse era ovvio che si sarebbe sentito più vicino alla mamma in un posto come quello, ma c'era qualcos'altro. Per quanto riusciva a ricordare, l'acqua era stata il posto in cui poteva concentrarsi, sentire una specie di pace fluttuante, come se quaggiù potesse aprire canali che non poteva aprire in superficie.

Aspettò ancora qualche minuto, finché le lacrime non si furono ritirate in un posto sicuro e capì che non sarebbe stato accecato né avrebbe fatto una figuraccia riemergendo. Poi sospirò e sollevò la mano mozzata. Doveva portarla alla maschera e lasciarla sfiorare la visiera di plexiglass, perché era così che bisognava affrontare le cose con quel tipo di visibilità. E poi, vedendo la mano da vicino, capì cos'altro lo stava disturbando.

Ha collegato il cavo di comunicazione. Dundas? Ci sei?

Cosa sta succedendo?

Girò la mano, a meno di un centimetro dal mirino, esaminandone la carne grigiastra, le estremità lacerate. Era stato un vecchio a vedere la mano. Solo per un secondo. Era uscito con la nipotina, che voleva provare i suoi nuovi stivali di gomma rosa nella tempesta. Erano rannicchiati sotto un ombrello, a guardare la pioggia cadere nell'acqua, quando la vide. Ed eccolo lì, esattamente nello stesso punto in cui aveva detto alla squadra che si sarebbe trovato, nascosto sotto il pontone. Non c'era modo che potesse vederlo laggiù con quella visibilità. Non si vedeva a cinque pollici dal pontone.

Pulce?

Sì, stavo pensando... c'è mai stato qualcuno lassù che ha saputo che quaggiù la visibilità era maggiore di zero?

Una pausa mentre Dundas consultava l'equipaggio sul molo. Poi tornò. Negativo, Sergente. Non c'è nessuno laggiù.

Visibilità sicuramente pari a zero nel cento per cento dei casi?

Direi che è molto probabile, Sergente. Perché?

Rimise la mano sul pavimento del molo. Ci era tornato con un kit per arti, non c'era modo che potesse nuotare in superficie con quello e perdere le prove forensi, ma ora si aggrappava alla cima di ricerca e cercava di pensare. Cercò di farsi un'idea di come il testimone potesse averlo visto, cercò di aggrapparsi all'idea e di elaborarla, ma non ci riuscì. Probabilmente aveva a che fare con quello che aveva fatto la sera prima. O quello o stava invecchiando. Ventinove il mese prossimo. Ehi, mamma, cosa ne pensi? Ho quasi ventinove anni. Non avrei mai pensato di arrivare fin qui, e tu?

Sergente?

Srotolò lentamente la corda, lavorando contro la pressione del tender di superficie, facendola sembrare trascinata lungo la base del molo. Regolò il cavo di comunicazione in modo che la connessione fosse sicura.

Sì, mi dispiace,' disse. Mi staccai un po'. Cinque campane, Rich. Ho preso l'obiettivo. Sto arrivando.

Lei era ferma nel porto, gelida, maschera in mano, respiro bianco nell'aria, e rabbrividiva mentre Dundas la lavava con il getto d'acqua. Era tornata giù per recuperare la mano con il kit per gli arti, l'immersione era finita e questa era la parte che odiava, lo shock di uscire dall'acqua, lo shock di essere di nuovo con i suoni e la luce e la gente... e l'aria, come uno schiaffo in faccia. Batteva i denti. E il porto era triste anche se era primavera. Aveva smesso di piovere e ora il debole sole pomeridiano illuminava le finestre, le gru appuntite...

Opinione.

È una storia aperta, nel senso che incontreremo personaggi e verranno narrati eventi non completamente spiegati, poiché è prevedibile che li incontreremo di nuovo nei prossimi libri dello scrittore. Allo stesso tempo, ci sono riferimenti a romanzi precedenti che potrebbero risultare poco chiari a chi non li ha letti. Il personaggio dell'Uomo che cammina può essere pienamente compreso solo alla luce delle sue opere passate.

A parte questo, il giudizio sul libro è senza dubbio positivo.

Di sicuro molto più emozionante del precedente Horror on the Island. Teso, straziante, plumbeo, violento nel modo giusto. L'autore riesce a rimanere esattamente al confine tra thriller e horror senza cadere in nessuno dei due generi. Una galleria di personaggi strani e inquietanti circonda i protagonisti, mentre ci addentriamo nel cuore delle credenze più barbariche dell'Africa primitiva e dei suoi rituali legati ai muti.

Il punto di vista del condannato, che ci accompagna per tutto il libro, è senza dubbio la parte più inquietante e al tempo stesso più convincente. Anche qui, come in tutte le opere di Hayder, la carne e il sangue sono i veri protagonisti, e il dolore e la sofferenza sono più fisici che uno stato d'animo.

Il finale riserva più di una sorpresa ed è orchestrato in modo eccellente.

Ritual: un libro che vale la pena leggere.

Immagine fonte: Mo Hayder.

Il Pinguino è il ritratto magnetico e mostruoso di un gangster. Un'analisi magistrale della mente criminale del supercriminale Oswal...

457.-Il-Pinguino-serie-TV-ita.jpg

Il Pinguino è il ritratto magnetico e mostruoso di un gangster.

Un'analisi magistrale della mente criminale del supercriminale Oswald "Oz" Cobblepot (un grande Colin Farrell), uno studio magnifico sui meccanismi della malattia mentale, una storia di gangster sfigati.

Recensione.

In The Penguin, Batman non c'è. E meno male, perché senza di lui il protagonista della serie spin-off che andrà in onda dal 20 settembre in esclusiva su Sky e Now brilla. Tutto ruota attorno a lui, anche se più che un faro abbagliante che attrae tutti, è un buco nero che li inghiotte. Da The Batman di Matt Reeves, The Penguin prende l'impronta noir, lo sguardo dark, il taglio realistico. Il film è diretto da Lauren LeFranc (Chuck, Agents of Shields), che adotta un approccio non sentimentale e uno sguardo acuto e spietato attraverso cui trasforma la storia dell'ascesa al potere del Pinguino nell'indagine psicologica di un gangster. E di un mostro. "Abbiamo riscritto il background di Oz", ci ha detto Reeves. "Non doveva più provenire da una famiglia benestante. La nostra versione non è solo deforme, ma anche povera e svantaggiata in ogni modo". Cambiando il contesto sociale di riferimento e introducendo il personaggio di Victor, il giovane e problematico protetto di Oz, la serie esplora anche la disuguaglianza sociale come fattore facilitante della criminalità.

Reeves ha rivelato quale versione di Penguin preferisce: "Ho una predilezione per Oswald di Danny DeVito. Come riferimenti ha citato Scarface di Al Pacino, ma sembra ignorare gli ovvi riferimenti a Oz dall'eccellente serie Gotham interpretata da Robin Lord Taylor, anche lui di una classe sociale inferiore e con una madre mentalmente instabile. Il riferimento dichiarato è a Tony Soprano, alla sua fragile psiche da mostro mafioso. In The Penguin, Oz cerca di farsi strada nel vuoto di potere lasciato dalla partenza di Carmine Falcone e dalla scomparsa improvvisa del suo incapace figlio Alberto, ma deve vedersela con i Maroni (un eccellente Clancy Brown e un magnetico Shoreh Aghdashloo) e Sofia, l'ereditiera di Carmine che ha trascorso un decennio rinchiusa ad Arkham. Tutti aspirano a controllare la distribuzione di una nuova droga allucinogena che li renderebbe i boss del crimine di Gotham.

Ogni personaggio esiste in relazione a Oz, che si è intromesso nella vita di tutti, manipolandoli e infettandoli come un virus, diffondendosi come un veleno. Il contatto con il Pinguino significa sempre una perdita: per alcuni, dell'innocenza, per altri, della sanità mentale, o della libertà, o dell'amore. Oz è un mostro, ed è ancora più mostruoso di quanto ci piaccia. LeFranc non gli concede nemmeno per un momento il lusso di elencare le sue peggiori atrocità, mentre accumula cadaveri senza rimorsi. Oz è uno sociopatico frustrato e invidioso, un uomo egoista che farebbe di tutto per sé. Astuto e profittatore, ha un snervante senso dell'umorismo. Ancora più sconcertante, "sbagliato", è la sua capacità di essere accattivante. L'attore irlandese Colin Farrell è irriconoscibile grazie al trucco, ma a poco a poco iniziamo a vedere il suo aspetto e i suoi manierismi inconfondibili. Tutti gli elogi che ha ricevuto e riceverà per il suo Pinguino sono ben meritati. Come fa Colin, sempre bello e popolare, a sapere cosa si prova a trascorrere una vita da uomo deforme, disprezzato e ridicolizzato da tutti? Di sicuro sa come esprimerlo: ogni fibra del corpo prostetico di Oz è scossa da odio e gelosia.

Anche l'amore della madre, Oz l'ha rubato e conquistato con la violenza. Il suo rapporto con lei è tossico, perverso, ossessivo. Francis Cobb è interpretato dalla meravigliosa Deirdre O'Connell, una vecchia signora sull'orlo della demenza che non perde mai il candore e l'umorismo provocatorio che ha trasmesso al figlio. Addolorata e malata, ma allo stesso tempo orgogliosa e beffarda, è una delle due figure femminili che, insieme a Sophia, innescano il dibattito sulla malattia mentale. Le due ci regalano il confronto più brillante, divertente e arguto della serie, quello di due donne ferite, instabili e bellicose. Penguin illustra le ragioni della follia: si può perdere la testa a causa di un trauma, a causa di una malattia, oppure si può perderla ad Arkham. Sophia non è la prima e non sarà l'ultima donna "isterica" ​​ad essere internata dai genitori, dai fratelli, dai mariti, fatta a pezzi perché troppo indipendente, troppo assertiva o semplicemente "troppo" intelligente. La sua interprete, Cristin Milioti, nel ruolo della mutevole Sofia Falcone Gigante, è spettacolare.

Sofia cambia la sua personalità in evoluzione man mano che il suo trucco e i suoi capelli cambiano. Il suo aspetto diventa sempre più sgargiante e audace mentre si trasforma da una farfalla bruciata dal contatto con il faro ingannevole di Oz a una falena notturna e letale, l'unica antagonista in grado di tenergli testa. Anche lei deve essere salvata, anche lei ha la capacità di distruggere chiunque le stia intorno. The Penguin è un affascinante studio di due personalità contorte, ma non funziona altrettanto bene sotto altri aspetti. Non è The Sopranos, non è la serie che cambierà la storia della televisione. La narrazione, soprattutto all'inizio, si trascina e fa fatica ad andare avanti; gli attori non protagonisti non hanno gli strumenti per diventare tridimensionali. La dinamica delle lotte tra gang è la più grande debolezza; come parabola criminale lo spettacolo manca di profondità ed è insignificante. Oz porta davvero l'intera serie sulle sue spalle, e lo fa senza la statura di un Vito Corleone, con la sua sola presenza come un piccolo Iago meschino e invidioso. E un cattivo shakespeariano merita un finale shakespeariano.

Opinione

.

457.-The-Penguin-serie-TV-1.png

The Penguin è scioccante, lascia un vuoto e un'amarezza enormi, ma è l'epilogo necessario per dare un senso a tutto questo, l'epilogo con cui LeFranc ci punisce per esserci lasciati sedurre dalla presenza mostruosa, divorante, distruttiva ed egoista di Oz. A volte gli autori giocano con il pubblico, incoraggiandolo ad affezionarsi a personaggi esecrabili come serial killer e simili e ad assecondarli. LeFranc non usa trucchi, non manipola, non mostra il miserabile che vorremmo ammirare per aver combattuto un destino crudele se non come un cattivo ripugnante. Non lo presenta in una luce che lo renda più amabile, non si lascia commuovere dalla pietà e non vuole che siamo corrotti. La sua visione non è mai sentimentale o apologetica. Alcuni si lamenteranno della mancanza di romanticismo o lirismo, scambiando l'obiettività e l'implacabile realismo oscuro per nichilismo. Ammettiamolo: non dobbiamo amare Penguin.

In The Penguin, Batman non c'è. E per fortuna, perché senza di lui il protagonista della serie brilla. Tutto ruota attorno a lui, anche se più che un faro abbagliante che attrae tutti verso di sé, è un buco nero che li inghiotte. Da The Batman di Matt Reeves, The Penguin prende il tono noir, l'aspetto cupo, il taglio realistico. È firmato da Lauren LeFranc (Chuck, Agents of Shields), che adotta un approccio privo di sentimentalismo e uno sguardo acuto e spietato attraverso cui trasforma la cronaca dell'ascesa al potere del Pinguino nell'indagine psicologica di un gangster. E di un mostro. "Abbiamo riscritto il background di Oz", ci ha detto Reeves, "non doveva più provenire da una famiglia ricca. La nostra versione non è solo deforme, è anche povero e svantaggiato in ogni modo". Cambiando il contesto sociale di riferimento e introducendo il personaggio del giovane e svantaggiato protetto di Oz, Victor, la serie diventa anche un'esplorazione della disuguaglianza sociale come facilitatore della criminalità.

Personaggi e Interpreti

immagine.png

Oswald 'Oz' Cobb / Pinguino, interpretato da Colin Farrell (adulto) e Ryder Allen (adolescente), doppiato da Fabio Boccanera (adulto).
Ex luogotenente capo sfigurato del defunto boss della malavita Carmine Falcone che è sulla buona strada per diventare un boss della malavita a tutti gli effetti.
Sofia Falcone Gigante / Hangman, interpretata da Cristin Milioti, doppiata da Valentina Favazza.
Figlia di Carmine e serial killer psicopatica che, dopo essere stata rilasciata da Arkham, combatte Oz per il controllo del crimine organizzato a Gotham.
Victor 'Vic' Aguilar, interpretato da Rhenzy Feliz, doppiato da Tito Marteddu.
Adolescente che fa amicizia con Oz e diventa il suo autista.
Francis Cobb, interpretato da Deirdre O'Connell, doppiato da Melina Martello.
Anziana madre di Oz affetta da demenza.
Salvatore 'Sal' Maroni, interpretato da Clancy Brown, doppiato da Gianni Giuliano.
Boss mafioso e narcotrafficante, le cui operazioni si sono concluse in seguito a un raid storico, in cui Carmine era un informatore.
Eve Karlo, interpretata da Carmen Ejogo, doppiata da Francesca Fiorentini.
Maîtresse e amante di Oz.
Alberto Falcone, interpretato da Michael Zegen, doppiato da Davide Perino.
Figlio di Carmine e fratello maggiore di Sofia, dipendente da droga e alcol.
Castillo, interpretato da Berto Colon, doppiato da Emilio Mauro Barchiesi.
Soldato e guardia del corpo di Sofia.
Milos Grapa, interpretato da James Madio, doppiato da Alberto Bognanni.
Caporegime della famiglia Falcone ed ex guardia del corpo di Carmine.
Mickey Stone, interpretato da Joshua Bitton.
Soldato Falcone, fedele a Oz.
Nick Fuchs, interpretato da David H. Holmes.
Soldato Falcone, fedele a Oz.
Bruno Tess, interpretato da Daniel J. Watts.
Minion di Oz.
Calvin, interpretato da Ben Cook.
Amico di Victor che tenta di rubare i cerchioni dell'auto di Oz.
Bella Reál, interpretata da Jayme Lawson, doppiata da Emanuela Ionica.
Sindaco di Gotham City.
Johnny Viti, interpretato da Michael Kelly, doppiato da Franco Mannella.
Sottocapo della famiglia Falcone.
Carmine Falcone, interpretato da Mark Strong, doppiato da Francesco Prando.
Boss della malavita deceduto e padre di Sofia e Alberto. Strong sostituisce John Turturro, che ha interpretato il personaggio in The Batman.
Luca Falcone, interpretato da Scott Cohen, doppiato da Fabrizio Pucci.
Caporegime della famiglia Falcone e fratello di Carmine.
Nadia Maroni, interpretata da Shohreh Aghdashloo, doppiata da Laura Romano.
Moglie di Salvatore e sottocapo della famiglia Maroni.
Dottor Julian Rush, interpretato da Theo Rossi, doppiato da Flavio Aquilone.
Psichiatra di Sofia ad Arkham e in seguito suo amante.
Carla Viti, interpretata da Aleksa Palladino, doppiata da Elena Perino.
Cugina di Sofia.
Marcus Wise, interpretato da Craig Walker, doppiato da Massimo De Ambrosis.
Detective corrotto ingaggiato da Sofia per trovare la talpa che ha fatto trapelare le informazioni sulla spedizione.
Tina Falcone, interpretata da Tess Soltau.
Moglie di Luca e amante di Johnny.
Magpie/Margaret Pye, interpretata da Marié Botha, doppiata da Letizia Ciampa.
Detenuta di Arkham e vicina di cella di Sofia.
Squid, interpretato da Jared Abrahamson.
Spacciatore di droga di Crown Point e capobanda che ordina a Victor di rubare i cerchioni dell'auto di Oz.
Summer Gleeson, interpretata da Nadine Malouf.
Giornalista del Gotham Gazzette che interroga Sofia sulla morte di diverse donne all'Iceberg Lounge.
Mackenzie Brock, interpretata da Con O'Neill.
Capo del dipartimento di polizia di Gotham.
Zeke, interpretato da Ade Otukoya.
Elettricista che cerca di ripristinare la corrente nella base sotterranea di Oz.
Rex Calabrese, interpretato da Louis Cancelmi.
Boss del crimine di basso rango che ha ispirato Oz a intraprendere la carriera di gangster.
Benny Cobb, interpretato da Nico Tirozzi.
Fratello minore di Oz.
Jack Cobb, interpretato da Owen Asztalos.
Fratello maggiore di Oz.

 

457.-Il-Pinguino-serie-TV-ita-1.jpg

Fonte imágenes: IMDB.

  La giuria è un romanzo thriller legale dello scrittore americano John Grisham. Pubblicato nel 1996, è il settimo romanzo dell'auto...

john-grisham-la-giuria

 

La giuria è un romanzo thriller legale dello scrittore americano John Grisham. Pubblicato nel 1996, è il settimo romanzo dell'autore.

Nel 2003 è uscito l'omonimo adattamento cinematografico del romanzo, con Gene Hackman, Dustin Hoffman, John Cusack e Rachel Weisz.

Personaggi principali
  • Nicolás Pascual: Giuria. Conosciuto anche come Perry Hirsch e Jeff Kerr
  • Marlee: compagna e complice di Nicholas. Conosciuta anche come Claire Clement e Gabrielle Brant
  • Rankin Fitch: avvocato difensore, lavora nell'ombra per aiutare i suoi clienti a vincere le loro cause
  • Frederick Harkin: giudice del processo

 

Personaggi di supporto
  • Wendhall Rohr: avvocato principale dell'accusa
    Durwood Cable: avvocato principale della difesa
  • Herman Grimes: giurato e presidente della giuria (successivamente sostituito)
  • Millie Dupree: membro della giuria
  • Lonnie Shaver: membro della giuria
  • Jerry Fernández: Giuria
  • Sylvia "Fuffy" Taylor-Tatum: membro della giuria
  • Rikki Coleman: membro della giuria
  • Gladys Card: giurata
  • Stella Hulic: membro della giuria (successivamente sostituita)
  • Frank "Colonnello" Herrera: giurato (successivamente sostituito)
  • Angel Weese: membro della giuria
  • Loreen Duke: membro della giuria
  • Philip Savelle: Giuria di riserva n. 1
  • Henry Vu: Giuria di riserva n. 2
  • Shine Royce: Giuria di riserva n. 3

 

Recensione

Un gruppo di illustri avvocati accusa i principali produttori di sigarette di omicidio colposo in seguito alla morte di un fumatore.

L'industria del tabacco è in difficoltà: sa che una sola sentenza contro di loro innescherebbe una valanga di richieste di risarcimento che la rovinerebbero. Ma i grandi magnati non si preoccupano di tutto questo. Nel 1989, Grisham fece il suo debutto letterario con Il momento di uccidere, ma fu con il suo secondo romanzo, The Firm, che raggiunse la popolarità.

Da allora, l'uscita di tutte le sue opere successive, come: Il rapporto Pelican, Il cliente, La giuria, Just Cause, tra le altre, è stata accolta con enorme entusiasmo, non solo dai lettori e dalla critica, ma anche dall'industria cinematografica, che le ha trasformate in veri e propri blockbuster cinematografici.

Trama

Metà del volto di Nicholas Easter era coperto dai telefoni cellulari che riempivano la vetrina di un negozio. I suoi occhi non erano rivolti verso la telecamera nascosta, ma si spostavano leggermente verso sinistra, forse verso un cliente o il gruppo di ragazzi radunati davanti al bancone dove erano esposti gli ultimi videogiochi di produzione asiatica. Scattata a quaranta metri di distanza da un uomo ostacolato dal via vai intenso di visitatori e acquirenti, la foto era comunque nitida e mostrava un viso giovane e attraente, dai lineamenti decisi. Secondo le informazioni in suo possesso, Pascua aveva ventisette anni. Senza occhiali. Nessun anello al naso o taglio di capelli strano. Niente che indicasse che appartenesse alla solita cerchia di giovani commessi di negozi di computer che guadagnano cinque dollari l'ora. Secondo il questionario, era lì da quattro mesi. Affermava anche di essere uno studente lavoratore, ma non era stata trovata alcuna iscrizione universitaria nel raggio di trecento miglia. Almeno su questo erano sicuri che stesse mentendo.

Non potrebbe essere altrimenti. Le sue informazioni erano troppo accurate. Se fossi stato uno studente, avrebbero saputo dove, per quanto tempo, in quale disciplina, con quali risultati. Lo avrebbero sicuramente saputo. Lavorava nel reparto IT di un centro commerciale. Né più né meno. Forse aveva intenzione di iscriversi a qualche scuola. Forse l'aveva lasciato senza rinunciare al piacere di qualificarsi come studente. Forse si sentiva meglio in quel modo, gli dava un certo tono.

Ma ora non era iscritto ad alcun corso, e non lo era stato nemmeno in passato. Quindi, ci si poteva fidare di lui? La questione era già stata discussa due volte, quando il suo nome era stato selezionato dall'elenco e il suo volto era apparso sullo schermo. Erano giunti alla conclusione che si trattava di una bugia innocua.

Non fumava. Al centro commerciale il divieto era severamente applicato, ma lui era stato visto (non fotografato) mentre mangiava un taco al Food Garden con un collega che, mentre beveva limonata, aveva fumato due sigarette. Evidentemente Easter non era infastidito dal tabacco. Almeno non era un fanatico.

Nella foto appariva magro, abbronzato e con un accenno di sorriso sulle labbra chiuse. Sotto la giacca rossa dell'uniforme indossava una camicia bianca senza bottoni al colletto e un'elegante cravatta a righe. Il suo aspetto era snello e in buona forma fisica. Chiunque abbia scattato la foto aveva anche intervistato Nicholas, fingendo di cercare un oggetto di produzione: si diceva che fosse una persona eloquente, disponibile, competente e fondamentalmente simpatica. Secondo il distintivo che aveva sul bavero, era un caporeparto, ma erano stati identificati anche altri due dipendenti con le stesse qualifiche.

Il giorno dopo, una ragazza attraente in jeans che gironzolava per il reparto software accese una sigaretta. Nicholas Easter era il venditore più vicino, o qualcosa del genere. Lui si avvicinò a lei e le chiese di spegnerlo. La ragazza finse di essere turbata, perfino offesa, e cercò di provocarlo. Easter si è mostrato cortese, spiegando che il divieto non ammetteva eccezioni. La invitò a fumare da qualche altra parte. "Ti dà fastidio il fumo?" chiese, prendendo una boccata. "No", rispose Pasqua. Ma la cosa infastidisce il proprietario del centro commerciale. Le chiese di smettere di fumare di nuovo. Lei rispose che era lì per comprare una nuova radio digitale e gli chiese se poteva procurarle un posacenere. Nicholas afferrò una lattina vuota da sotto il bancone e le strappò la sigaretta dalle dita, spegnendola sulla lattina. Per venti minuti discussero di vari modelli di radio, mentre lei rimaneva indecisa sulla sua scelta, suscitando apertamente il suo interesse. Una volta pagata la stazione radio, lasciò il suo numero di telefono. Easter le promise che un giorno l'avrebbe chiamata.

L'episodio durò ventiquattro minuti e fu registrato da un piccolo dispositivo che la ragazza portava nella borsa. Il nastro venne riprodotto dagli avvocati e dai loro esperti mentre la fotografia veniva proiettata sul muro. Il rapporto scritto dalla ragazza riempiva sei pagine del fascicolo di Easter e conteneva le sue osservazioni: tutto, dalle sue scarpe (vecchie Nike) al suo alito (chewing gum alla cannella), al suo vocabolario (di livello universitario) e al modo in cui teneva e maneggiava la sigaretta. Secondo il suo parere di esperto, Easter non aveva mai fumato.

Ascoltarono il tono piacevole della sua voce, la professionalità delle argomentazioni con cui presentava i suoi prodotti, la simpatica cordialità dei suoi modi cortesi e giunsero a un verdetto positivo. Era intelligente e non aveva pregiudizi nei confronti del tabacco. Non rientrava nel loro modello di giuria, ma era sicuramente qualcosa da prendere in considerazione. Il problema con Easter, potenziale giurato numero cinquantasei, era che sapevano molto poco di lui. Era apparso sulla costa del Golfo meno di un anno prima e non si sapeva da dove provenisse. Il suo passato era un mistero. Viveva in un miniappartamento in affitto a otto isolati dal tribunale (avevano fotografie dell'edificio) e aveva iniziato a lavorare come cameriere in una casa da gioco sul lungomare. Raggiunse rapidamente il grado di croupier al tavolo del blackjack, ma lasciò l'incarico due mesi dopo.

Quando il Mississippi legalizzò il gioco d'azzardo, da un giorno all'altro lungo la costa sorsero una dozzina di casinò, inaugurando una nuova ondata di prosperità. C'erano persone da ogni dove in cerca di lavoro, quindi era logico supporre che Nicholas Easter si fosse trasferito a Biloxi per lo stesso motivo per cui aveva portato lì altre diecimila persone come lui. L'unica cosa che lo distingueva era la rapidità con cui si era iscritto alle liste elettorali.

Possedeva un Maggiolino Volkswagen del 1969, la cui foto era proiettata sul muro al posto del suo volto. Non c'è da stupirsi: ventisettenne, single, autoproclamato maniaco del lavoro, era statisticamente il tipico proprietario di un veicolo del genere. Non c'erano adesivi che indicassero simpatie politiche, consapevolezza civica o passioni sportive. Nessuna marca di auto universitaria. Nemmeno la minima indicazione sulla concessionaria da cui proviene il veicolo. Per chi guardava il Maggiolino non aveva altro significato se non quello di uno standard di vita al limite della povertà.

La persona incaricata del proiettore e di gran parte della presentazione orale era Carl Nussman, un avvocato di Chicago che aveva lasciato l'attività e ora gestiva il proprio studio di consulenza per giurie. In cambio di una piccola somma di denaro, Carl Nussman e il suo team garantirono la selezione della giuria migliore. Raccolsero dati, scattarono fotografie, registrarono voci, inviarono bionde in jeans attillati per creare le situazioni giuste. Carl e la sua organizzazione operavano al limite estremo della legge e dell'etica professionale, ma sarebbe stato impossibile coinvolgerli in qualcosa di illegale. Dopotutto, non c'è nulla di illegale o immorale nel fotografare i cittadini per la selezione della giuria. Sei mesi prima, poi altri due e un'ultima volta un mese fa, avevano condotto sondaggi telefonici approfonditi nella contea di Harrison per valutare gli atteggiamenti generali sulle questioni legate al tabacco e costituire la giuria perfetta. Nessun percorso o scorciatoia era stato trascurato; non c'era lato oscuro che non avessero indagato. Alla fine avevano preparato un dossier per ciascuno dei potenziali giurati.

Carl premette un pulsante e la Volkswagen fu sostituita dall'immagine anonima della facciata di un edificio spoglio, quello in cui viveva Nicholas Easter. Un altro cambio di diapositiva e il suo volto riapparve.

"Quindi abbiamo solo tre foto del numero cinquantasei", concluse Carl con una nota di delusione, lanciando un'occhiata di rimprovero al fotografo, uno dei suoi tanti investigatori privati, che aveva già spiegato che non poteva fotografare il ragazzo senza rischiare di essere scoperto. Il fotografo era seduto contro il muro, di fronte al lungo tavolo attorno al quale erano seduti avvocati, assistenti ed esperti della giuria. La sua pazienza era già al limite. Erano le sette di sera di un venerdì, sul muro c'era il numero cinquantasei e ne mancavano ancora centoquaranta. Sarebbe stato un fine settimana orribile. Avevo bisogno di bere qualcosa.

Cinque o sei avvocati con le camicie sgualcite e le maniche arrotolate prendevano appunti incessantemente, alzando di tanto in tanto lo sguardo al ritratto di Nicholas Easter dietro Carl. Il gruppo eterogeneo di esperti (psichiatra, sociologo, grafologo, professore di giurisprudenza, ecc.) sfogliò fascicoli e stampe. Non sapevano cosa pensare della Pasqua. Era un bugiardo e nascondeva qualcosa del suo passato, ma il candidato che avevano sulla carta e sul muro sembrava degno.

Forse non stava mentendo. Forse l'anno prima aveva frequentato qualche scuola di seconda categoria in Arizona e non erano riusciti a localizzarlo.

Dategli la possibilità di redimersi, pensò il fotografo, ma tenne la bocca chiusa. In quella stanza piena di idioti in completo su misura, la sua opinione sarebbe tenuta nella più bassa considerazione. Non spettava a lui esprimerlo.

Carl si schiarì la gola, diede un'ultima occhiata e annunciò il numero cinquantasette. Il volto sudato di una giovane madre apparve sul muro e almeno due persone tra il pubblico ridacchiarono. "Traci Wilkes", la presentò Carl, come se fosse una vecchia amica. Si udì un leggero fruscio di carte sul tavolo. Trentatré anni, sposata, madre di due figli, moglie di un medico, due country club, due palestre, una lista infinita di affiliazioni a club. Carl recitava i dati a memoria mentre utilizzava il proiettore. Il volto arrossato di Traci scomparve, sostituito da un'inquadratura a figura intera di lei che correva lungo un marciapiede con indosso una tuta elasticizzata rosa e nera, delle Reebok immacolate, una visiera bianca, l'ultimo paio di occhiali da sole riflettenti e i suoi lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo perfetta. Stava spingendo un passeggino. Traci viveva per sudare. Era abbronzata e in buona forma, ma non così magra come ci si potrebbe aspettare. Avevo delle cattive abitudini. Un altro scatto di Traci nella sua Mercedes nera station wagon, con bambini e cani che guardano fuori da ogni finestrino. Un'altra foto di Traci che carica le borse della spesa nello stesso veicolo, con indosso un altro paio di scarpe da ginnastica, pantaloncini attillati e l'aspetto di chi cerca sempre di apparire atletico. Era stato facile seguirla perché procedeva a passo frenetico e non si era fermata un attimo a guardarsi intorno.

Carl scorse le foto della casa dei Wilkes, un'imponente casa a schiera su tre piani che era il biglietto da visita di un medico. Si soffermò per un po', desiderando soffermarsi di più sull'ultima immagine. Poi proiettò Traci, di nuovo lucida di sudore, con la sua caratteristica bicicletta abbandonata sull'erba. Era seduta sotto un albero nel parco, lontana da tutti, seminascosta... e fumava una sigaretta!

Il fotografo sogghignò. Fu il suo piccolo capolavoro, quell'immagine rubata a cento metri di distanza, che ritraeva la moglie di un medico mentre fumava di nascosto una sigaretta. Non sapeva che lei fumasse. Lui si era fermato casualmente a fumare una sigaretta vicino a un piccolo ponte quando lei gli passò accanto. Era nel parco da mezz'ora quando la vide fermarsi e frugare nella borsa della bicicletta.

Opinione

L'autore coglie nel segno nel suo obiettivo di dimostrare come una giuria possa decidere l'esito di un processo e, allo stesso tempo, mostra quanto sia facile manipolare la giuria e, di conseguenza, l'esito del processo dall'esterno.

Come si forma una giuria? di chi? Come si redige un verdetto? Attraverso le avventure del simpatico Nicolás, scopriremo tutto ciò che accade dietro le quinte di un processo e nella vita dei giurati. Argomenti che a prima vista potrebbero non sembrare particolarmente accattivanti (io stesso ho avuto questa sensazione non appena ho preso in mano il libro in questione!), ma che, grazie alla penna abile di Grisham, cattureranno la vostra attenzione in un crescendo di suspense e colpi di scena. Niente è come sembra.

Altamente raccomandato.

Immagini fonti: sito web ufficiale di John Grisham.

Random Posts

follow us in feedly Segnala Feed WebShake – spettacolo Paperblog : le migliori informazioni in diretta dai blog Aggregatore di blog FeedelissimoItalian Bloggers Blog ItalianiAggregatore My Ping in TotalPing.com