Home » , , » Il Prigionero del Cielo, terzo capitolo di quella che dovrebbe essere la quadrilogia di Carlos Ruiz Zafón.

Nel dicembre del 1957 un lungo inverno di cenere e ombra avvolge Barcellona e i suoi vicoli oscuri. La città sta ancora cercando di uscire ...

il prigionero del cieloNel dicembre del 1957 un lungo inverno di cenere e ombra avvolge Barcellona e i suoi vicoli oscuri. La città sta ancora cercando di uscire dalla miseria del dopoguerra, e solo per i bambini, e per coloro che hanno imparato a dimenticare, il Natale conserva intatta la sua atmosfera magica, carica di speranza.
Daniel Sempere - il memorabile protagonista di "L'ombra del vento" è ormai un uomo sposato e dirige la libreria di famiglia assieme al padre e al fedele Fermín con cui ha stretto una solida amicizia.
Una mattina, entra in libreria uno sconosciuto, un uomo torvo, zoppo e privo di una mano, che compra un'edizione di pregio di "Il conte di Montecristo" pagandola il triplo del suo valore, ma restituendola immediatamente a Daniel perché la consegni, con una dedica inquietante, a Fermín. Si aprono così le porte del passato e antichi fantasmi tornano a sconvolgere il presente attraverso i ricordi di Fermín.
Per conoscere una dolorosa verità che finora gli è stata tenuta nascosta, Daniel deve addentrarsi in un'epoca maledetta, nelle viscere delle prigioni del Montjuic, e scoprire quale patto subdolo legava David Martín - il narratore di "Il gioco dell'angelo" - al suo carceriere, Mauricio Valls, un uomo infido che incarna il peggio del regime franchista.
Dopo "L'ombra del vento" e "Il gioco dell'angelo" Carlos Ruiz Zafón ci regala il terzo capitolo di quella che dovrebbe essere la sua quadrilogia. Ritornano i personaggi che hanno fatto conoscere l'autore spagnolo al grande pubblico e ritorna anche quel Cimitero dei Libri Dimenticati che tanto ha appassionato i lettori di tutti il mondo.

Barcellona, dicembre 1957
Quell'anno, prima di Natale, ci toccarono soltanto gior­ni plumbei e ammantati di brina. Una penombra azzurra­ta avvolgeva la città e la gente camminava in fretta coper­ta fino alle orecchie, disegnando con il fiato veli di vapore nell'aria gelida. Erano pochi coloro che in quei giorni si fer­mavano a guardare la vetrina di Sempere e Figli, e anco­ra meno quelli che si avventuravano a entrare per chiede­re di quel libro sperduto che li aveva aspettati per tutta la vita, e la cui vendita, poesie a parte, avrebbe contribuito a rappezzare le precarie finanze della libreria.
«Sento che oggi sarà il giorno giusto. Oggi cambierà la nostra sorte» proclamai sulle ali del primo caffè della gior­nata, puro ottimismo allo stato liquido.
Mio padre, che battagliava dalle otto di quella mattina f Con il registro della contabilità destreggiandosi abilmente [con gomma e matita, alzò gli occhi dal bancone e osservò la sfilata di clienti mancati che si perdevano dietro l'angolo.
«Il cielo ti ascolti, Daniel, perché di questo passo, se va male la campagna di Natale, a gennaio non avremo nemmeno i soldi per la bolletta della luce. Qualcosa dovremo fare. Fermìn ha avuto un'idea» dissi. «Secondo lui, è un magistrale per salvare la libreria dalla bancarotta.»

Lo vidi scomparire nel retrobottega e riemergerne equi­paggiato con la sua uniforme ufficiale per l'inverno: lo stes­so cappotto, la stessa sciarpa e lo stesso cappello che ricordavo fin da bambino. Bea diceva di sospettare che mio padre non comprasse vestiti dal 1942, e tutti gli indizi por­tavano a ritenere che mia moglie avesse ragione. Mentre si infilava i guanti, sorrideva vagamente e nei suoi occhi si percepiva quello scintillio quasi infantile che riuscivano a strappargli solo le grandi imprese.

«Ti lascio da solo per un po'» annunciò. «Esco a fare una commissione.»
«Posso chiederti dove stai andando?»
Mio padre mi fece l'occhiolino.
«È una sorpresa. Poi vedrai.»

Lo seguii fino alla porta e lo vidi partire a passo fermo in direzione della Puerta del Angel, una sagoma fra le tan­te nella marea grigia di passanti che navigava per un altro lungo inverno di cenere e d'ombra.

Remerò de Torres, bandiera vivente della resistenza civi­le contro la Santa Madre Chiesa, le banche e le buone abi­tudini in quella Spagna degli anni Cinquanta tutta messa e cinegiornali, manifestava una simile urgenza di sposar­si. Nel suo zelo prematrimoniale, era arrivato al punto di stringere amicizia con il nuovo parroco della chiesa di San­ta Ana, don Jacobo, un sacerdote di Burgos con idee aperte e modi da ex pugile, al quale aveva contagiato la sua smi­surata passione per il domino. Le domeniche dopo la mes­sa si battevano in storiche partite al Bar Admirall, e il sacer­dote rideva di gusto quando Fermìn gli domandava, tra un bicchiere e l'altro di liquore alle erbe di Montserrat, se sa­peva con certezza se le monache avessero le cosce e se, in caso le avessero, fossero tenere e mordicchiabili come lui sospettava fin dall'adolescenza.

"Lei riuscirà a farsi scomunicare" lo rimproverava mio padre. "Le suore non si guardano e non si toccano."
"Ma se il parroco è più vizioso di me..." protestava Fer­mìn. "Se non fosse per l'uniforme..."

Stavo ricordando quella discussione e canticchiando al suono della tromba del maestro Armstrong quando sentii il campanello sulla porta della libreria emettere il suo dol­ce tintinnio. Alzai lo sguardo aspettandomi di vedere mio padre ormai di ritorno dalla sua missione segreta o Fermìn pronto a montare per il turno pomeridiano.
«Buon giorno» disse dalla soglia una voce grave ed esangue.

Stagliato in controluce sulla porta, il suo profilo assomi­gliava a un tronco sferzato dal vento. Il visitatore indos­sava un vestito scuro dal taglio antiquato e disegnava una sagoma torva appoggiata a un bastone. Fece un passo in avanti, zoppicando visibilmente. Il chiarore della lampa­da sul bancone rivelò un volto segnato dal tempo. Il visi­tatore mi osservò per qualche istante, soppesandomi senza fretta. Il suo sguardo aveva qualcosa dell'uccello rapace, paziente e calcolatore.

«È lei il signor Sempere?»
«Io sono Daniel. Il signor Sempere è mio padre, ma in questo momento non c'è. Posso fare qualcosa per lei?»

Il visitatore ignorò la mia domanda e cominciò a vagare per la libreria esaminando tutto palmo a palmo con un in­teresse al limite dell'avidità. Il suo modo di zoppicare fa­ceva immaginare che le lesioni nascoste sotto quei vestiti fossero davvero gravi.
«Ricordi di guerra» disse lo sconosciuto, come se mi aves­se letto nel pensiero.
Seguii con lo sguardo la sua traiettoria di perlustrazione.
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