Home » » La Figlia della Tigre di Torey Hayden è una storia vera e molto commovente di una vita straordinaria.

Victoria Lynn Hayden, nota come Torey L. Hayden (Livingston, 21 maggio 1951), è una psicologa infantile e docente universitaria statunite...

Torey-Hayden-La-Figlia-della-Tigre

Victoria Lynn Hayden, nota come Torey L. Hayden (Livingston, 21 maggio 1951), è una psicologa infantile e docente universitaria statunitense, che ha scritto una serie di libri basati sulle proprie esperienze con bambini problematici.

Tra gli argomenti trattati nei suoi libri ci sono l'autismo, la sindrome di Tourette, abusi sessuali, la sindrome alcolica fetale e il mutismo elettivo (che adesso viene chiamato mutismo selettivo), in cui è specializzata.

Oggi faró la recensione del libro La figlia della tigre (pubblicato nel 1995) - titolo originale "Tiger's child"-

Il racconto della lotta che una bambina ha condotto negli anni, da sola, per riscattarsi dagli abusi, dall'abbandono e dalla violenza.

Sheila è cresciuta in un'atmosfera di violenza indescrivibile. Abbandonata dalla madre sull'autostrada a soli quattro anni, non ha mai avuto qualcuno che si occupasse di lei, e la mancanza di amore e di speranza l'ha resa selvaggia, intrattabile e ostile. A sei anni entra a far parte della classe di "bambini difficili" di Torey Hayden, che rimane colpita dal coraggio della piccola Sheila tanto da decidere di raccontarne la vicenda nel libro Una bambina.

Ma che cosa è successo dopo? La figlia della tigre è la risposta a questa domanda: il racconto della lotta che Sheila ha condotto per anni, da sola, per riscattarsi dagli abusi, dall'abbandono e dalla violenza del mondo in cui era costretta a vivere.

Quando la Hayden incontrò per la prima volta Sheila, la bambina si rifiutava di parlare e il suo unico modo di comunicare era attraverso esplosioni di comportamento violento e distruttivo.

Dopo cinque mesi intensi, la Hayden riuscì a fare breccia nelle difese di Sheila e lottò con successo perché fosse ammessa in una classe regolare.

La Hayden non rivide più Sheila fino a che questa aveva 13 anni. Con grande stupore della Hayden, Sheila ricordava molto poco degli straordinari momenti passati assieme. Man mano che la Hayden procede a riallacciare la relazione con l’adolescente Sheila, i ricordi lentamente riemergono, portando con sé sentimenti di abbandono e ostilità.

TRAMA

Fu un momento di déjà vu.

Ero a casa, a trovare mia madre nel Montana, e una domenica mattina ero uscita a passeggiare da sola mentre lei e la mia bambina erano andate a nuotare. Erano appena passate le undici e stavo camminando per il centro commerciale. Con i negozi ancora quasi tutti chiusi, l’ampio viale, illuminato soltanto dalle luci di sicurezza, aveva un’aria spettrale.

A un tratto la vidi. Se ne stava in piedi un po’ più in là, sul viale, all’ombra di una piantatrice. I capelli, lunghi e scompigliati, le coprivano le spalle; la frangetta le arrivava fin sugli occhi; le labbra, piene e sensuali, sporgevano in un tragico broncio. Aveva le braccia incrociate sul petto, strette l’una contro l’altra, e una feroce espressione di sfida in faccia; eppure c’era un che di commovente, in quella sua ferocia. Immagino che sapesse già che non avrebbe vinto. Avevo percorso un bel tratto di viale, quando la vidi, ma la riconobbi all’istante, tanto che sentii l’adrenalina entrarmi a fiotti nelle vene. Sheila.

Uno o due secondi dopo, mi ripresi. Ovvio che non era Sheila. Erano passati più di vent’anni da quel tiepido pomeriggio di giugno in cui l’avevo vista andarsene dalla mia classe. I tempi della scuola, almeno per il momento, me li sono lasciati alle spalle e, a malincuore, ho barattato la giovinezza con la mezza età. Eppure, per quei pochi istanti, al centro commerciale, gli anni scomparvero. Mi sentii trasportare indietro nel tempo, agli anni Settanta e ai miei vent’anni, tornando a essere la lavoratrice incallita di allora, nel mondo di allora.

Poi cominciò a imporsi la realtà, posandosi sull’episodio come un trasparente posato su una pagina. Mi avvicinai incuriosita alla bambina e, quando le fui accanto, finsi interesse per una vetrina per poterla osservare senza che se ne accorgesse. Era più grande della Sheila di allora. Poteva avere sette, otto anni. Aveva i capelli più scuri, castano-cenere più che biondi.

La mia vicinanza non diminuì affatto la sua rabbia. Ero un’estranea, così mi ignorò, concentrando tutta la sua attenzione sulla porta aperta del grande magazzino, gigantesco, alle mie spalle. Non riuscivo a vedere chi l’aveva sconvolta tanto. Chiunque fosse, era sparito nel grande magazzino, ma lei continuava a starsene lì, in piedi, con i pugnetti chiusi e i capelli arruffati che le scendevano sulla fronte, a sprizzare una rabbia disperata e impotente. Io rimasi dov’ero, silenziosa, a un paio di metri di distanza, a meravigliarmi di come un incontro da poco come quello potesse cancellare tanti anni, di come Sheila potesse ancora farmi battere tanto forte il cuore.

***

Sheila e io siamo state insieme soltanto cinque mesi, come allieva e insegnante. In quel breve periodo, il nostro rapporto produsse cambiamenti straordinari nel comportamento di Sheila e trasformò il corso della sua vita. Ma grandi cambiamenti li ebbi anch’io, e la mia vita, anche se questo, allora, non fu altrettanto evidente. Quella bambina così piccola ebbe un effetto profondo su di me. Il suo coraggio, la sua capacità di recupero, la sua involontaria propensione a esprimere quella fame di amore che tutti quanti proviamo, in breve, la sua umanità, mi fece scoprire la mia.

Quei cinque mesi in cui Sheila frequentò la mia classe li ho raccontati in Una bambina. Era un libro privato, che avevo cominciato a scrivere senza pensare affatto alla pubblicazione, ma soltanto per sforzarmi di capire meglio un rapporto che mi toccava tanto profondamente. Allora insegnavo all’università, dove tenevo un corso post-laurea in educazione speciale, ed è a una studentessa di quella classe che devo i miei ringraziamenti. L’ultimo giorno del corso mi regalò un libro di Ron Jones, The Acorn People. Sulla prima pagina aveva scritto: «A Torey, con la speranza che un giorno possa scrivere di Sheila, Leslie e tutti gli altri».

Una bambina, tradotto in ventidue lingue, ha fatto il giro del mondo e mi ha messa in contatto con persone di ogni paese, dalla Svezia al Sud Africa, da New York a Singapore. Un lettore mi ha scritto da una base in Antartide; decine di lettere mi sono arrivate dall’altra parte della cortina di ferro prima che cadesse; e ho da poco rapporti epistolari su Una bambina con la Cina continentale. La gioia con cui tutti hanno visto Sheila crescere e cambiare ha necessariamente prodotto una domanda, sempre la stessa: e dopo, che cosa è successo?

Una bambina è una storia vera, tratta dalle esperienze reali di persone reali. Se ho esitato a scriverne un seguito, è semplicemente perché Sheila, a sei anni, era tanto affascinante, e il periodo trascorso insieme era stato tanto costruttivo. E infatti, il mio editor di Una bambina mi propose addirittura di stralciare, nell’epilogo, la narrazione di quanto era successo a Sheila dopo che ci eravamo lasciate. È raro che la vita reale sia soddisfacente quanto un’opera narrativa, o quanto un’opera non narrativa giudiziosamente rivista, ed era opinione diffusa che il periodo tra lo scioglimento della mia classe e il momento in cui avevo scritto Una bambina fosse un finale troppo cupo per una storia tanto lieta. Così, il libro si concludeva con la bella poesia di Sheila ma non forniva ulteriori dettagli.

Ora ho cambiato idea, non soltanto per via delle innumerevoli richieste da parte dei miei lettori, ma anche per Sheila, che, nonostante lo svantaggio iniziale, è diventata una giovane donna affascinante e in grado di esprimersi articolatamente. Quei cinque mesi trascorsi insieme ebbero davvero un effetto profondo su di lei, ma Una bambina, contrariamente alle mie intenzioni, raccontava soprattutto la mia storia. Per Sheila l’esperienza fu molto diversa, ed ecco qui, per citare Paul Harvey, il resto della storia.

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