Home » , , » Una Bambina e gli Spettri di Torey Hayden racconta la storia di Jadie, una bambina così ferita dagli eventi della sua vita da credere di essere un fantasma.

  Docente universitaria e psicologa infantile, Torey Hayden è autrice di numerosi romanzi ispirati alla sua lunga esperienza di insegna...

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Docente universitaria e psicologa infantile, Torey Hayden è autrice di numerosi romanzi ispirati alla sua lunga esperienza di insegnamento con bambini difficili, affetti da disturbi emotivi e di apprendimento.

Ne “Il gatto meccanico” che lessi alcuni anni fa il nodo centrale era l’autismo, ne “La bambina e gli spettri” Jadie, la protagonista, manifesta un mutismo selettivo.

Attraverso il racconto documentale dei lunghi mesi di vicinanza didattica e personale in cui Torey conquista la fiducia della bambina, si fa strada l’ipotesi di possibili traumi legati a violenze psicologiche, pratiche pedopornografiche, fino a ventilare un coinvolgimento nell’ambito del satanismo.

Il libro mette a nudo le difficoltà che insegnanti e psicologi incontrano nell’interpretare i segnali di disagio e i comportamenti che sembrano ricondurre ad abusi infantili.

Chi abbia avuto a che fare con bambini in età prescolare sa quanto possa essere difficile stabilire un confine tra realtà e fantasie infantili. Anche i bambini apparentemente meno disturbati possono disorientare con racconti e giochi inquietanti ed è un attimo sospettare siano stati vittime di incontri che ne hanno turbato l’innocenza.

Questo libro non esaurisce tutte le domande, ma I bambini, del resto, spesso non sono in grado di fornire spiegazioni univoche e non contraddittorie, a volte è addirittura impossibile riuscire a farsi dare delle risposte senza turbarli ulteriormente e senza imbeccarli sulla base di idee preconcette.

La tutela del minore è certamente la prima istanza ma è altrettanto vincolante dimostrare che siano stati effettivamente perpetrati degli abusi, perchè le cause del disagio potrebbero essere di natura psichica, disfunzionale o traumatica.

In alcuni casi deve bastare il fatto di sapere di aver restituito ai bambini la possibilità di un futuro sereno.

TRAMA

Dalla città a Falls River c'erano 245 chilometri di strada, poi altri 37 fino a Pecking. Ed era tutta prateria, sconfinata, piatta, interrotta soltanto dall'interstatale. Lungo la strada sorgevano alcune città, anche se chiamarle “città” era decisamente esagerato; tuttavia quasi tutte avevano nomi promettenti: Harmony, New Marseilles, Valhalla.

Ero partita poco prima dell'alba, dopo essermi preparata un sandwich con insalata e uova sode e avere riempito un thermos di caffè; se le pessime condizioni atmosferiche di quel giorno di gennaio non mi avessero riservato spiacevoli sorprese, sarei dovuta arrivare a Pecking dopo due ore e mezzo, e cioè intorno alle otto.

Per quasi tutto il viaggio non incontrai altre macchine. All'altezza di Falls River incappai nel traffico dell'ora di punta, ma per il resto nulla turbò la quiete assoluta di quell'immenso deserto imbiancato. Una debole brezza sollevava mulinelli di neve farinosa che cancellava le tracce dei miei pneumatici con la stessa rapidità con cui si formavano, mentre nel cielo lattiginoso si intravedeva appena un sole pallido e incerto. Nell'attraversare un piccolo centro abitato, lanciai un'occhiata al corso principale; sulla facciata di un edificio c'era un display luminoso che segnalava l'ora e la temperatura: cinque gradi sotto zero.

Essendo nata e cresciuta in un paesino delle Montagne Rocciose, nel Montana, da quando mi ero trasferita in città sentivo la mancanza della natura sconfinata, selvaggia e incontaminata.

La vita di città era piacevole e stimolante, sia dal punto di vista umano che da quello professionale, ma gli spazi ristretti, la sporcizia e soprattutto il rumore mi davano un senso di oppressione insopportabile.

Di conseguenza, quella mattina di gennaio, mentre attraversavo la prateria innevata, non pensavo alla nuova vita che mi aspettava, ma respiravo a pieni polmoni la stupenda sensazione di libertà assoluta, sfrenata che quello splendido paesaggio suscitava in me. Ero scappata dalla città, ero sola in quell'immenso scenario silenzioso: il senso di liberazione che provavo rasentava l'estasi. Forse non pensavo neanche alla mia destinazione. O, per meglio dire, non osavo pensarci. Dopo quasi tre anni di lavoro alla Sandry Clinic come terapista e coordinatrice delle ricerche, un bel giorno di punto in bianco, mi ero licenziata. Il fine settimana prima di Natale, mentre sfogliavo il giornale della domenica, nella pagina degli annunci economici avevo trovato un'offerta di lavoro: una supplenza fino al termine dell'anno scolastico in una classe speciale per minorati mentali. La proposta non lasciava adito a dubbi, e io non ne ebbi: decisi subito di accettare il lavoro.

La cosa strana era che in quel periodo non stavo cercando un nuovo lavoro. Alla Sandry Clinic mi trovavo bene, avevo un ottimo rapporto con i colleghi ed ero soddisfatta anche sul piano professionale. Gestita da sette psichiatri e da un gruppo di psicologi specializzati come me, la clinica era una piccola struttura privata che sorgeva in una bella zona.

Ero stata assunta soprattutto per la mia esperienza di ricercatrice e per la mia specializzazione nel trattamento delle patologie psicologiche dei bambini affetti da disturbi del linguaggio. Avevo lavorato sodo, e non erano di certo mancati gli alti e bassi, ma ne era valsa la pena. Ero sinceramente convinta di essere felice. Niente a livello conscio mi aveva spinto ad abbandonare la grande stanza ariosa delle terapie, piena di giocattoli, i miei brillanti colleghi e lo stimolante lavoro di ricerca; nemmeno per un attimo mi era passato per la testa di rimettermi i jeans e ricominciare a strisciare sul pavimento polveroso di qualche aula scolastica per uno stipendio pari al rimborso delle spese di viaggio che percepivo alla clinica. Ma la Sirena mi aveva chiamato e io, senza pensarci due volte, avevo risposto.

Come tanti altri piccoli centri abitati che avevo attraversato durante il tragitto, anche Pecking aveva un'aria di sonnacchiosa decadenza. Le ampie strade, fiancheggiate dagli alberi, erano una testimonianza del periodo precedente all'arrivo della ferrovia e alla costruzione dell'interstatale, che adesso permetteva agli automobilisti di aggirare l'abitato.

Pecking sembrava un fantasma esangue dell'America di provincia, con il chiosco della birra A&W ancora in piedi ma abbandonato e la ragazza della Coca Coca che sorrideva con fare invitante dal manifesto sul fianco della Cassa di risparmio. Il centro non esisteva più, da quando tutti i grandi negozi si erano trasferiti nel complesso commerciale di Falls River. Resistevano ancora una banca e un emporio, un paio di bar, un'agenzia immobiliare, un distributore di benzina sulla Main Street e un negozio di selle, stivali e cappelli all'angolo con la First Street. Quasi tutte le attività si erano spostate alla periferia meridionale della città, nel tentativo di richiamare il traffico dell'interstatale. Un centro commercia le era stato costruito pochi anni prima, e consisteva di un supermercato, di un altro emporio e di un parcheggio così ampio che avrebbe potuto ospitare tutte le macchine immatricolate in un raggio di cinque miglia.

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