Home » , » Baal di Robert McCammon il principe dell'inferno, il seme edionide del male e della distruzione.

  Robert R. McCammon (Birmingham, 17 luglio 1952) è un romanziere statunitense. Ha debuttato nel 1978 col romanzo Baal, iniziando una...

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Robert R. McCammon (Birmingham, 17 luglio 1952) è un romanziere statunitense.

Ha debuttato nel 1978 col romanzo Baal, iniziando una prolifica carriera di romanziere che lo ha portato a scrivere un totale di tredici romanzi prima di prendersi un lungo periodo di pausa dal lavoro alla fine del 1992. Recentemente è tornato a pubblicare: nel 2002 si è riaffacciato sul mercato con Speaks the Nightbird e nel 2007 è arrivato l'ultimo The Queen of Bedlam.

In Italia McCammon è stato recentemente riscoperto dalla Gargoyle Books, la casa editrice romana specializzata in narrativa horror, che ha pubblicato nel 2005 Hanno sete. Il bacio oscuro (They Thirst, 1981), nel 2006 L'ora del lupo. Gli artigli della notte (The Wolf's Hour, 1989), nel 2007 La via oscura (Mystery Walk, 1983), nel 2009 La maledizione della casa degli Usher (Usher's Passing 1984), ispirato al racconto Il crollo di Casa Usher di Edgar Allan Poe, e nel 2010 Mary Terror (Mine, 1990).

Ho scoperto questo autore in un mercatino dell'usato dove ho acquistato il libro Il canto del cigno. Ero così affascinato dalla sua lettura che ho iniziato a cercare le sue opere rimanenti.

In ordine cronologico dal primo all'ultimo, comincio a fare una recensione completa e dettagliata di ogni romanzo.

TRAMA

Baal, il tremendo dio dei Fenici, seminatore di Caos, è di nuovo tra i vivi. Sulle tracce di Baal si pongono alcuni individui che hanno intuito l'imminenza di un pericolo straordinario, e che forse sono gli unici in grado di fermarlo in tempo: uno sciamano di nome Zark, un professore di teologia, e un personaggio ambiguo ma disposto a tutto, Michael. Cos'è che vogliono esattamente evitare? Perchè credono, o temono, che quello di Baal non sia più soltanto un mito ma una tremenda realtà?

La violenza lacerava il cielo.
Kul-Haziz la fiutava nell'aria. Puzzava di spade che cozzavano insieme, di sudore, di sangue fresco, di colpe antiche.
Allarmato, staccò lo sguardo dalle pecore chine a brucare, socchiuse le palpebre e osservò il nord. Immobile nel biancore del cielo, il sole ardeva sempre uguale, così come ardeva da mille anni. Con il suo occhio vedeva quanto accadeva al di là dei burroni e ancora più avanti, oltre il bassopiano e i pascoli, dietro le colline che s'innalzavano in lontananza. Vedeva ciò che Kul-Haziz non poteva vedere. Kul-Haziz poteva soltanto sentirne l'odore.
Senza staccare gli occhi dall'orizzonte velato dalla foschia, Kul-Haziz raccolse da terra il bastone nodoso e si mosse lentamente in mezzo al gregge, sfiorando il fianco delle bestie. Lui, la moglie e il giovane figlio, avevano sempre seguito il cammino della pioggia, perché la pioggia portava l'erba. La vita del gregge. E adesso, verso il nord, dove sorgeva la città di Hazor, si addensavano grandi forme scure che sembravano nuvole. Ma non lo erano. Nell'aria non c'era odore di pioggia; se ci fosse stato, Kul-Haziz l'avrebbe già notato da qualche giorno. No. Non c'era odore di pioggia. C'era soltanto odore di violenza.
Dietro di lui, sotto la tenda di pelli di capra, la moglie cessò di lavorare il cuoio e sollevò lo sguardo. Di fronte a lui, sull'altro fianco della vallata, il figlio aveva picchiato, fino a pochi istanti prima, il bastone in terra, per richiamare qualche animale disperso. Adesso non batteva più, e guardava il padre.
Kul-Haziz era immobile come un sasso. Sollevò una mano, poi se la portò davanti agli occhi per proteggerli dal riverbero del sole. Non capiva cosa stesse accadendo. Ricordava le parole degli altri pastori nomadi. La collera di Yahweh ci sovrasta. Siamo una razza condannata, dicevano con voce tremante. Yahweh ci distruggerà tutti per la nostra perversità. Così mormoravano i profeti pastori, i nomadi della pianura, i signori delle colline. Kul-Haziz sentì che il suo cuore batteva tumultuosamente. Sembrava una voce che gridasse, chiedendo di sapere.
Suo figlio si fece strada in mezzo al gregge e venne a fermarsi accanto a lui. Gli afferrò la mano.
Ci fu un lampo che era simile a quello del fulmine, ma che non era il fulmine. Lontano, a nord, in direzione della città di Hazor. Un lampo azzurro e intenso, accecante, luminosissimo, terribile. Kul-Haziz si coprì gli occhi con la mano. Suo figlio lo abbracciò, e nascose la faccia sul suo petto. Dietro di lui, la moglie lanciò un grido di terrore; le pecore fuggirono in tutte le direzioni. Kul-Haziz sentì sul dorso della  mano una vampata di calore. Quando la vampata cessò, riaprì gli occhi e non vide più il lampo. Suo figlio lo fissava: nei suoi occhi c'era una domanda a cui Kul-Haziz non osava rispondere.
E poi vide. Al di là dei burroni, ai limiti della pianura, gli alberi si piegavano sotto un vento fortissimo, si spezzavano e prendevano fuoco. E le distese coperte d'erba diventavano nere, come se fossero state calpestate da un esercito che si allontanasse da Hazor. L'esercito delle fiamme attraversò il bassopiano, lo bruciò. I roveti presero fuoco. La sabbia si arroventò.
Il vento raggiunse Kul-Haziz nella bassa vallata coperta d'erba, mulinò intorno a lui, tentò di strappare gli stracci che lo coprivano, gli soffiò nell'orecchio il suo segreto. Le pecore belarono atterrite.
Entro pochi istanti sarebbe sopraggiunto anche il fuoco che aveva consumato Hazor e che adesso consumava ogni essere vivente nelle vicinanze della città. Kul-Haziz si rese conto che a lui e alla sua famiglia rimanevano pochi respiri, prima che l'aria sempre più calda si trasformasse in una bianca fiammata.
Suo figlio, accanto a lui, mormorò: — Padre...?
I profeti avevano detto il vero. I loro teschi e i loro bastoncini, le loro parole scritte nel cielo, avevano predetto l'approssimarsi della fine. Era stata semplicemente questione di tempo.
Kul-Haziz disse: — Il grande dio Baal non è più.Restò immobile come un sasso.
Un sasso incendiato.

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