Romanzo di una Strage, un film parziale, troppo parziale.
Un film parziale, troppo parziale. Non perché la storia che racconta è troppo complicata per essere racchiusa tutta in un film. Ma perché Giordana non fa davvero i conti con la gigantesca attualità di una storia che non ho vissuto da testimone (sono nato nel ’66) ma che ho vissuto da cronista anni dopo: mi ricordo la telefonata di Guido Salvini – il magistrato che ha riaperto le indagini su piazza Fontana negli anni ’90) il giorno della prima sentenza che confermava la sua inchiesta (Maso, ho chiamato prima te di mio padre, te lo dovevo, sei stato il primo a credere nel mio lavoro. E’ andata bene!).
Sul film di Giordana (come anche sulla strategia della tensione, a partire dalle carte processuali) ho letto tutto. E ho trovato un solo commento molto azzeccato: nessun “doppio Stato”, ma doppia Costituzione (Miguel Gotor, la Repubblica, 1 aprile 2012).
Ma bisogna ricominciare daccapo, dall’inizio. Il doppio Stato cos’è? E’ la teoria, uscita anche dai lavori della Commissione Stragi secondo la quale c’era uno Stato legalitario, costituzionale, fedele ai principi della Repubblica nata dalla Resistenza e un pezzo dello Stato deviato, parallelo, che non rispettava la Costituzione democratica e che faceva di tutto per instaurare in Italia una dittatura.
Passo indietro, necessario, perché oramai nessuno più ricorda cos’era questa Repubblica nata dalla Resistenza. E perché molti dei lettori di oggi, manco l’hanno vissuta, quella Repubblica.
L’Italia esce dalla Seconda guerra mondiale un po’ sconfitta (il fascismo) e un po’ no (la resistenza e il governo Badoglio) e entra nel dopoguerra portandosi appresso – grazie anche alla amnistia voluta dal comunista Togliatti – quasi l’intero apparato dello Stato fascista: prefetti, funzionari ministeriali, tutori dell’ordine, servizi segreti.
Altrove, il mondo viene diviso tra i vincitori. Da una parte i Paesi che dovranno (per un accordo, non perché lo vogliono) stare sotto l’influenza e il tallone dell’Unione Sovietica ancora staliniana e dall’altra i Paesi che dovranno (anche loro lo stesso accordo firmato tra i vincitori) stare sotto l’influenza dei paesi occidentali vincitori della guerra: Stati Uniti e Regno Unito.
Tutto fila liscio? No, né da una parte né dall’altra del mondo le cose si stabilizzano. Al di là della cortina di ferro, questo lo sanno in tanti, i movimenti riformatori che colpirono alcuni dei paesi “comunisti” vennero schiacciati dai cingoli dei carri armati sovietici.
Ma anche al di qua della cortina, nel cosiddetto mondo libero (veniva davvero chiamato così), non sono tutti contenti del loro presente. In Grecia, in Spagna, in Portogallo, le istanze di libertà e di progresso che avrebbero voluto maggiore distribuzione della ricchezza accumulata dai grandi proprietari (terrieri o industriali) vennero schiacciate sotto i cingoli di dittature feroci che pur di impedire la vittoria dei socialisti e dei comunisti hanno causato decine di migliaia di vittime.
E in Italia? In Italia la situazione era del tutto particolare. I partigiani, checché ne dicano (o non dicano) i libri di storia voluti dai berluscones e dai loro complici annidati a “destra” come a “sinistra”, hanno contribuito enormemente alla sconfitta del fascismo e del nazismo. E la Costituzione repubblicana, della Repubblica che non per fantasia si è definita “nata dalla Resistenza”, è stata scritta anche da quei comunisti e da quei socialisti e da quei cattolici progressisti che nella Resistenza hanno combattuto.
Una Costituzione avanzata, avanzatissima ancora oggi. Che si fonda sul lavoro, e dice dei diritti delle persone, della prevalenza dell’interesse collettivo su quello individuale, della necessità della tutela della proprietà privata sì, ma solo fino a che questa non vada a intaccare gli interessi di tutti che sono più importanti. Che dice no alla guerra e anche tante altre cose che, fossero state rispettate, avrebbero fatto una Italia decisamente migliore.
Ma c’era un’altra cosa del tutto anomala, in Italia: c’era un partito comunista non solo eccentrico rispetto al blocco sovietico, ma anche fortissimo per voto popolare.
C’era dunque in Italia il presupposto perché si costruisse quel che altrove e ancora oggi non si è riusciti a costruire. Un mondo migliore, dove giustizia, libertà, uguaglianza di diritti doveri e possibilità fossero davvero reali. E questo, ovviamente, faceva paura ai potenti di allora come fa paura ai potenti di oggi.
E faceva paura al di qua e al di là della cortina, perché avrebbe potuto essere un esperimento contagioso e destabilizzante di quell’ordine uscito dalla seconda guerra mondiale.
Per questo, alla Costituzione repubblicana figlia della Resistenza e scritta col sangue, formalmente in vigore, se ne è sostituita una che avrebbe usato il sangue per scrivere la storia, e in vigore sostanzialmente.
Una costituzione sostanziale e maledettamente concreta che per funzionare si è servita di quegli apparati dello Stato nati e cresciuti sotto la dittatura fascista, che nulla avevano in comune con quelli che sarebbero stati necessari per costruire e far vivere la Repubblica. Quegli apparati dello Stato che hanno usato i rottami della storia nostrana che erano i neofascisti per impedire a questo Paese di progredire. Da soli? Certamente no. Non da soli avevano agito o avrebbero potuto agire i regimi in Spagna, in Portogallo, in Grecia. Non da soli avrebbero potuto agire indisturbati come hanno agito in Italia. E infatti la storia della strategia della tensione si intreccia innumerevoli volte con le vicende della Grecia, della Spagna, del Portogallo.
Le sentenze dei tribunali, lo hanno detto in tanti in questi giorni, non hanno scritto i nomi dei colpevoli degli innumerevoli attentati attraverso i quali questo paese è stato “destabilizzato per stabilizzare”. Ma la Storia, quella che poi si può scrivere sui libri, l’hanno molto ben delineata, con tanto di documenti, testimonianze non anonime, ricostruzioni puntigliose e puntuali.
In sintesi, quelle sentenze ci dicono che la strategia della tensione l’hanno materialmente messa in atto i fascisti, sotto la guida e la regia degli apparati dello Stato che erano a loro volta non autonomi ma guidati passo dopo passo da coloro i quali avevano in affido la parte occidentale del mondo. Non stiamo parlando degli “apparati deviati”: i deviati, in questa lunga e sanguinosa storia sono stati i pochi sinceri democratici nelle istituzioni che hanno pagato spesso con la vita il loro voler servire la Costituzione nata dalla Resistenza con le loro inchieste. E coloro che seguivano passo passo gli esponenti dei nostri Servizi non erano a loro volta dei deviati, ma erano stati mandati nel nostro Paese (come avevano già fatto altrove) perché si affiancassero ai nostri apparati statali nel progettare e costruire quella destabilizzazione che avrebbe stabilizzato l’Italia nel loro seno. Quegli uomini non si sono limitati a osservare e a dare suggerimenti. Le inchieste hanno provato che agenti statunitensi hanno insegnato ai fascisti di Ordine Nuovo a progettare attentati e a costruire le bombe che da subito dopo la guerra, dalla strage di Portella delle Ginestre in poi, hanno condizionato pesantemente la vita politica e sociale italiana, contrastando anche con i metodi della guerra non ortodossa, della guerra a bassa intensità, quei tentativi di rinnovamento che gli italiani chiedevano. Che non erano poca cosa, per gli equilibri mondiali. A partire dal tentativo di emancipare il sud e la Sicilia dalla mafia (con la quale le truppe liberatrici avevano stretto una santa alleanza per poter avanzare indisturbate nel ’44 e nel ’45), dalla gestione clientelare, dallo sfruttamento della terra e dei braccianti per finire con il grande movimento operaio prima e studentesco poi che portarono al nostro Paese prima che agli altri le più avanzate riforme del lavoro (culminate con lo Statuto dei Lavoratori), della scuola (culminata con la riforma dei decreti delegati del 1973) e della vita sociale (aborto, divorzio, abolizione dei manicomi ecc ecc).
Questa grande ondata di riforme (le quali, oggi, vengono smantellate pezzo a pezzo senza bisogno di stragi e di attentati) stava mettendo in discussione quell’ordine precostituito e deciso a tavolino dai vincitori della Seconda guerra mondiale. E stava portando pezzi importanti di Democrazia Cristiana ad aprirsi alla collaborazione con il Partito Comunista.
Questo è il quadro in cui nacque e crebbe la strategia della tensione che il film di Giordana racconta troppo parzialmente, utilizzando come base per il suo film una inverosimile teoria (quella di Paolo Cucchiarelli e del suo libro Il segreto di Piazza Fontana) secondo la quale gli attentati furono progettati e attuati contemporaneamente dagli anarchici (quindi la sinistra) e dai fascisti con l’aiuto di qualche pezzettino di servizi segreti deviati, dando così un colpo al cerchio e uno alla botte. E’ un bene che si sia tornati a ragionare su quegli anni, perché sono stati chiusi in un cassetto troppo velocemente e con troppi colpi alle botti e ai cerchi.
E’ vero che oramai fanno parte della Storia, perché il mondo intero è radicalmente cambiato nel 1989 quando il muro di Berlino è crollato e sotto le sue macerie è stato sepolto non solo il comunismo ma l’intero movimento operaio occidentale.
Ma la doppia Costituzione esiste oggi forse anche più di ieri. E il non aver giudicato (non nei tribunali, ma nella coscienza collettiva) la seconda metà dello scorso secolo per quel che è stata davvero, ha traghettato l’incompiutezza della nostra democrazia (che ha prosperato anni con un Stato formalmente di diritto che sostanzialmente era invece costruito consapevolmente fin dalle più alte cariche dello Stato sulla illegalità) nel nostro presente.
Un presente nel quale è normale che tutto quel che ci accade intorno (soprattutto per quanto riguarda le scelte politiche) sia incontrollabile, e quindi prescinda dal nostro impegno politico e sociale.
Per questo i nuovi “partiti” sono fatti come sono fatti, per questo i “politici” sono così tanto distanti dalla vita reale e concreta delle persone. Hanno tutti imparato, a destra come a sinistra, che lo Stato si può dirigere meglio dietro che davanti alle quinte.
E questo punto, che il film di Giordana, Romanzo di una strage, non centra, è proprio quello che di importante ci sarebbe da dire sul romanzo delle stragi.
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