Robert R. McCammon (Birmingham, 17 luglio 1952) è un romanziere statunitense. Ha debuttato nel 1978 col romanzo Baal, iniziando una...

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Robert R. McCammon (Birmingham, 17 luglio 1952) è un romanziere statunitense.

Ha debuttato nel 1978 col romanzo Baal, iniziando una prolifica carriera di romanziere che lo ha portato a scrivere un totale di tredici romanzi prima di prendersi un lungo periodo di pausa dal lavoro alla fine del 1992. Recentemente è tornato a pubblicare: nel 2002 si è riaffacciato sul mercato con Speaks the Nightbird e nel 2007 è arrivato l'ultimo The Queen of Bedlam.

In Italia McCammon è stato recentemente riscoperto dalla Gargoyle Books, la casa editrice romana specializzata in narrativa horror, che ha pubblicato nel 2005 Hanno sete. Il bacio oscuro (They Thirst, 1981), nel 2006 L'ora del lupo. Gli artigli della notte (The Wolf's Hour, 1989), nel 2007 La via oscura (Mystery Walk, 1983), nel 2009 La maledizione della casa degli Usher (Usher's Passing 1984), ispirato al racconto Il crollo di Casa Usher di Edgar Allan Poe, e nel 2010 Mary Terror (Mine, 1990).

Ho scoperto questo autore in un mercatino dell'usato dove ho acquistato il libro Il canto del cigno. Ero così affascinato dalla sua lettura che ho iniziato a cercare le sue opere rimanenti.

In ordine cronologico dal primo all'ultimo, comincio a fare una recensione completa e dettagliata di ogni romanzo.

TRAMA

Baal, il tremendo dio dei Fenici, seminatore di Caos, è di nuovo tra i vivi. Sulle tracce di Baal si pongono alcuni individui che hanno intuito l'imminenza di un pericolo straordinario, e che forse sono gli unici in grado di fermarlo in tempo: uno sciamano di nome Zark, un professore di teologia, e un personaggio ambiguo ma disposto a tutto, Michael. Cos'è che vogliono esattamente evitare? Perchè credono, o temono, che quello di Baal non sia più soltanto un mito ma una tremenda realtà?

La violenza lacerava il cielo.
Kul-Haziz la fiutava nell'aria. Puzzava di spade che cozzavano insieme, di sudore, di sangue fresco, di colpe antiche.
Allarmato, staccò lo sguardo dalle pecore chine a brucare, socchiuse le palpebre e osservò il nord. Immobile nel biancore del cielo, il sole ardeva sempre uguale, così come ardeva da mille anni. Con il suo occhio vedeva quanto accadeva al di là dei burroni e ancora più avanti, oltre il bassopiano e i pascoli, dietro le colline che s'innalzavano in lontananza. Vedeva ciò che Kul-Haziz non poteva vedere. Kul-Haziz poteva soltanto sentirne l'odore.
Senza staccare gli occhi dall'orizzonte velato dalla foschia, Kul-Haziz raccolse da terra il bastone nodoso e si mosse lentamente in mezzo al gregge, sfiorando il fianco delle bestie. Lui, la moglie e il giovane figlio, avevano sempre seguito il cammino della pioggia, perché la pioggia portava l'erba. La vita del gregge. E adesso, verso il nord, dove sorgeva la città di Hazor, si addensavano grandi forme scure che sembravano nuvole. Ma non lo erano. Nell'aria non c'era odore di pioggia; se ci fosse stato, Kul-Haziz l'avrebbe già notato da qualche giorno. No. Non c'era odore di pioggia. C'era soltanto odore di violenza.
Dietro di lui, sotto la tenda di pelli di capra, la moglie cessò di lavorare il cuoio e sollevò lo sguardo. Di fronte a lui, sull'altro fianco della vallata, il figlio aveva picchiato, fino a pochi istanti prima, il bastone in terra, per richiamare qualche animale disperso. Adesso non batteva più, e guardava il padre.
Kul-Haziz era immobile come un sasso. Sollevò una mano, poi se la portò davanti agli occhi per proteggerli dal riverbero del sole. Non capiva cosa stesse accadendo. Ricordava le parole degli altri pastori nomadi. La collera di Yahweh ci sovrasta. Siamo una razza condannata, dicevano con voce tremante. Yahweh ci distruggerà tutti per la nostra perversità. Così mormoravano i profeti pastori, i nomadi della pianura, i signori delle colline. Kul-Haziz sentì che il suo cuore batteva tumultuosamente. Sembrava una voce che gridasse, chiedendo di sapere.
Suo figlio si fece strada in mezzo al gregge e venne a fermarsi accanto a lui. Gli afferrò la mano.
Ci fu un lampo che era simile a quello del fulmine, ma che non era il fulmine. Lontano, a nord, in direzione della città di Hazor. Un lampo azzurro e intenso, accecante, luminosissimo, terribile. Kul-Haziz si coprì gli occhi con la mano. Suo figlio lo abbracciò, e nascose la faccia sul suo petto. Dietro di lui, la moglie lanciò un grido di terrore; le pecore fuggirono in tutte le direzioni. Kul-Haziz sentì sul dorso della  mano una vampata di calore. Quando la vampata cessò, riaprì gli occhi e non vide più il lampo. Suo figlio lo fissava: nei suoi occhi c'era una domanda a cui Kul-Haziz non osava rispondere.
E poi vide. Al di là dei burroni, ai limiti della pianura, gli alberi si piegavano sotto un vento fortissimo, si spezzavano e prendevano fuoco. E le distese coperte d'erba diventavano nere, come se fossero state calpestate da un esercito che si allontanasse da Hazor. L'esercito delle fiamme attraversò il bassopiano, lo bruciò. I roveti presero fuoco. La sabbia si arroventò.
Il vento raggiunse Kul-Haziz nella bassa vallata coperta d'erba, mulinò intorno a lui, tentò di strappare gli stracci che lo coprivano, gli soffiò nell'orecchio il suo segreto. Le pecore belarono atterrite.
Entro pochi istanti sarebbe sopraggiunto anche il fuoco che aveva consumato Hazor e che adesso consumava ogni essere vivente nelle vicinanze della città. Kul-Haziz si rese conto che a lui e alla sua famiglia rimanevano pochi respiri, prima che l'aria sempre più calda si trasformasse in una bianca fiammata.
Suo figlio, accanto a lui, mormorò: — Padre...?
I profeti avevano detto il vero. I loro teschi e i loro bastoncini, le loro parole scritte nel cielo, avevano predetto l'approssimarsi della fine. Era stata semplicemente questione di tempo.
Kul-Haziz disse: — Il grande dio Baal non è più.Restò immobile come un sasso.
Un sasso incendiato.

Victoria Lynn Hayden, nota come Torey L. Hayden (Livingston, 21 maggio 1951), è una psicologa infantile e docente universitaria statunite...

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Victoria Lynn Hayden, nota come Torey L. Hayden (Livingston, 21 maggio 1951), è una psicologa infantile e docente universitaria statunitense, che ha scritto una serie di libri basati sulle proprie esperienze con bambini problematici.

Tra gli argomenti trattati nei suoi libri ci sono l'autismo, la sindrome di Tourette, abusi sessuali, la sindrome alcolica fetale e il mutismo elettivo (che adesso viene chiamato mutismo selettivo), in cui è specializzata.

Oggi faró la recensione del libro La figlia della tigre (pubblicato nel 1995) - titolo originale "Tiger's child"-

Il racconto della lotta che una bambina ha condotto negli anni, da sola, per riscattarsi dagli abusi, dall'abbandono e dalla violenza.

Sheila è cresciuta in un'atmosfera di violenza indescrivibile. Abbandonata dalla madre sull'autostrada a soli quattro anni, non ha mai avuto qualcuno che si occupasse di lei, e la mancanza di amore e di speranza l'ha resa selvaggia, intrattabile e ostile. A sei anni entra a far parte della classe di "bambini difficili" di Torey Hayden, che rimane colpita dal coraggio della piccola Sheila tanto da decidere di raccontarne la vicenda nel libro Una bambina.

Ma che cosa è successo dopo? La figlia della tigre è la risposta a questa domanda: il racconto della lotta che Sheila ha condotto per anni, da sola, per riscattarsi dagli abusi, dall'abbandono e dalla violenza del mondo in cui era costretta a vivere.

Quando la Hayden incontrò per la prima volta Sheila, la bambina si rifiutava di parlare e il suo unico modo di comunicare era attraverso esplosioni di comportamento violento e distruttivo.

Dopo cinque mesi intensi, la Hayden riuscì a fare breccia nelle difese di Sheila e lottò con successo perché fosse ammessa in una classe regolare.

La Hayden non rivide più Sheila fino a che questa aveva 13 anni. Con grande stupore della Hayden, Sheila ricordava molto poco degli straordinari momenti passati assieme. Man mano che la Hayden procede a riallacciare la relazione con l’adolescente Sheila, i ricordi lentamente riemergono, portando con sé sentimenti di abbandono e ostilità.

TRAMA

Fu un momento di déjà vu.

Ero a casa, a trovare mia madre nel Montana, e una domenica mattina ero uscita a passeggiare da sola mentre lei e la mia bambina erano andate a nuotare. Erano appena passate le undici e stavo camminando per il centro commerciale. Con i negozi ancora quasi tutti chiusi, l’ampio viale, illuminato soltanto dalle luci di sicurezza, aveva un’aria spettrale.

A un tratto la vidi. Se ne stava in piedi un po’ più in là, sul viale, all’ombra di una piantatrice. I capelli, lunghi e scompigliati, le coprivano le spalle; la frangetta le arrivava fin sugli occhi; le labbra, piene e sensuali, sporgevano in un tragico broncio. Aveva le braccia incrociate sul petto, strette l’una contro l’altra, e una feroce espressione di sfida in faccia; eppure c’era un che di commovente, in quella sua ferocia. Immagino che sapesse già che non avrebbe vinto. Avevo percorso un bel tratto di viale, quando la vidi, ma la riconobbi all’istante, tanto che sentii l’adrenalina entrarmi a fiotti nelle vene. Sheila.

Uno o due secondi dopo, mi ripresi. Ovvio che non era Sheila. Erano passati più di vent’anni da quel tiepido pomeriggio di giugno in cui l’avevo vista andarsene dalla mia classe. I tempi della scuola, almeno per il momento, me li sono lasciati alle spalle e, a malincuore, ho barattato la giovinezza con la mezza età. Eppure, per quei pochi istanti, al centro commerciale, gli anni scomparvero. Mi sentii trasportare indietro nel tempo, agli anni Settanta e ai miei vent’anni, tornando a essere la lavoratrice incallita di allora, nel mondo di allora.

Poi cominciò a imporsi la realtà, posandosi sull’episodio come un trasparente posato su una pagina. Mi avvicinai incuriosita alla bambina e, quando le fui accanto, finsi interesse per una vetrina per poterla osservare senza che se ne accorgesse. Era più grande della Sheila di allora. Poteva avere sette, otto anni. Aveva i capelli più scuri, castano-cenere più che biondi.

La mia vicinanza non diminuì affatto la sua rabbia. Ero un’estranea, così mi ignorò, concentrando tutta la sua attenzione sulla porta aperta del grande magazzino, gigantesco, alle mie spalle. Non riuscivo a vedere chi l’aveva sconvolta tanto. Chiunque fosse, era sparito nel grande magazzino, ma lei continuava a starsene lì, in piedi, con i pugnetti chiusi e i capelli arruffati che le scendevano sulla fronte, a sprizzare una rabbia disperata e impotente. Io rimasi dov’ero, silenziosa, a un paio di metri di distanza, a meravigliarmi di come un incontro da poco come quello potesse cancellare tanti anni, di come Sheila potesse ancora farmi battere tanto forte il cuore.

***

Sheila e io siamo state insieme soltanto cinque mesi, come allieva e insegnante. In quel breve periodo, il nostro rapporto produsse cambiamenti straordinari nel comportamento di Sheila e trasformò il corso della sua vita. Ma grandi cambiamenti li ebbi anch’io, e la mia vita, anche se questo, allora, non fu altrettanto evidente. Quella bambina così piccola ebbe un effetto profondo su di me. Il suo coraggio, la sua capacità di recupero, la sua involontaria propensione a esprimere quella fame di amore che tutti quanti proviamo, in breve, la sua umanità, mi fece scoprire la mia.

Quei cinque mesi in cui Sheila frequentò la mia classe li ho raccontati in Una bambina. Era un libro privato, che avevo cominciato a scrivere senza pensare affatto alla pubblicazione, ma soltanto per sforzarmi di capire meglio un rapporto che mi toccava tanto profondamente. Allora insegnavo all’università, dove tenevo un corso post-laurea in educazione speciale, ed è a una studentessa di quella classe che devo i miei ringraziamenti. L’ultimo giorno del corso mi regalò un libro di Ron Jones, The Acorn People. Sulla prima pagina aveva scritto: «A Torey, con la speranza che un giorno possa scrivere di Sheila, Leslie e tutti gli altri».

Una bambina, tradotto in ventidue lingue, ha fatto il giro del mondo e mi ha messa in contatto con persone di ogni paese, dalla Svezia al Sud Africa, da New York a Singapore. Un lettore mi ha scritto da una base in Antartide; decine di lettere mi sono arrivate dall’altra parte della cortina di ferro prima che cadesse; e ho da poco rapporti epistolari su Una bambina con la Cina continentale. La gioia con cui tutti hanno visto Sheila crescere e cambiare ha necessariamente prodotto una domanda, sempre la stessa: e dopo, che cosa è successo?

Una bambina è una storia vera, tratta dalle esperienze reali di persone reali. Se ho esitato a scriverne un seguito, è semplicemente perché Sheila, a sei anni, era tanto affascinante, e il periodo trascorso insieme era stato tanto costruttivo. E infatti, il mio editor di Una bambina mi propose addirittura di stralciare, nell’epilogo, la narrazione di quanto era successo a Sheila dopo che ci eravamo lasciate. È raro che la vita reale sia soddisfacente quanto un’opera narrativa, o quanto un’opera non narrativa giudiziosamente rivista, ed era opinione diffusa che il periodo tra lo scioglimento della mia classe e il momento in cui avevo scritto Una bambina fosse un finale troppo cupo per una storia tanto lieta. Così, il libro si concludeva con la bella poesia di Sheila ma non forniva ulteriori dettagli.

Ora ho cambiato idea, non soltanto per via delle innumerevoli richieste da parte dei miei lettori, ma anche per Sheila, che, nonostante lo svantaggio iniziale, è diventata una giovane donna affascinante e in grado di esprimersi articolatamente. Quei cinque mesi trascorsi insieme ebbero davvero un effetto profondo su di lei, ma Una bambina, contrariamente alle mie intenzioni, raccontava soprattutto la mia storia. Per Sheila l’esperienza fu molto diversa, ed ecco qui, per citare Paul Harvey, il resto della storia.

  Quel che rimane (All That Remains) è un romanzo della scrittrice Patricia Cornwell pubblicato nel 1992. Richmond, Virginia. Un seri...

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Quel che rimane (All That Remains) è un romanzo della scrittrice Patricia Cornwell pubblicato nel 1992.

Richmond, Virginia. Un serial killer si accanisce sulle coppie di fidanzati. Quando della quinta coppia uccisa fa parte la giovanissima figlia di Pat Harvey, un'importante esponente politica, impegnata nella lotta alla droga, lo scalpore è enorme. Ma l'autore del delitto è il serial killer o c'è dietro una cospirazione politica? Kay Scarpetta indaga insieme Marino e alla giornalista Abby Turnbull, che troverà la morte dopo aver risolto il caso nel tentativo di ricavarci uno scoop. Sullo sfondo, la sua tormentata vicenda sentimentale con l'agente federale Mark James.

TRAMA

Sabato, ultimo giorno di agosto, mi misi al lavoro prima dell'alba. Non vidi la foschia sollevarsi come fumo da un prato bruciato, né il cielo colorarsi d'azzurro intenso. Per tutta la mattina i tavoli d'acciaio rimasero occupati dai cadaveri, e l'obitorio non ha finestre. Il fine settimana del Labor Day si era inaugurato con una catena di incidenti e una sparatoria a Richmond.
Quando finalmente tornai nella mia casa nel West End e udii Bertha passare lo straccio sul pavimento di cucina, erano ormai le due del pomeriggio. Bertha veniva a farmi i mestieri ogni sabato e sapeva per esperienza di non doversi preoccupare del telefono, che si era appena messo a squillare.
«Non ci sono» dissi ad alta voce, aprendo il frigorifero.
Bertha si fermò. «Ha suonato anche un minuto fa» spiegò. «E suonava anche prima. Sempre lo stesso tizio.»
«In casa non c'è nessuno» ribadii.
«Come vuole, dottoressa Kay.» Lo straccio riprese a scivolare sul pavimento.
Nella cucina baciata dal sole cercai di ignorare l'intrusione dell'incorporeo messaggio destinato alla segreteria. L'autunno si avvicinava: era tempo di cominciare a fare scorta di pomodori. In quel momento me ne restavano tre. E l'insalata di pollo che fine aveva fatto?
Il bip fu seguito da una voce maschile alquanto familiare. «Ehi, capo, sono Marino...»
Signore, sospirai, richiudendo con un colpo d'anca la porta del frigorifero. Pete Marino, agente investigativo della Squadra Omicidi di Richmond, era in pista da mezzanotte e lo avevo incrociato in obitorio, mentre estraevo i proiettili da uno dei suoi casi di omicidio. In teoria avrebbe dovuto essere in viaggio verso il lago Gaston, per quel che gli restava di un weekend di pesca. E io non vedevo l'ora di dedicarmi un po' ai lavori in giardino.
«Ho bisogno di rintracciarti, sto andando fuori città. Richiamami, ho il cercapersone...»
La voce di Marino era venata d'impazienza. Sollevai il ricevitore.
«Eccomi, eccomi.»
«Ehi, sei tu o è ancora quel maledetto aggeggio?»
«Prova un po' a indovinare» risposi.
«Brutte notizie, capo. Hanno trovato un'altra macchina. New Kent, l'area di sosta sulla Sessantaquattro, direzione ovest.
Benton mi ha appena...»
«Un'altra coppia?» lo interruppi, i programmi della giornata ormai svaniti.
«Fred Cheney, maschio, razza bianca, diciannove anni. Deborah Harvey, femmina, bianca, diciannove anni. L'ultima volta sono stati visti ieri sera verso le otto, mentre si allontanavano in auto dalla casa degli Harvey a Richmond, diretti a Spindrift.»
«E adesso la macchina è sulla corsia ovest?» chiesi, visto che Spindrift, nella Carolina del Nord, si trova tre ore e mezza a est di Richmond.
«Già. A quanto pare andavano nella direzione opposta, come per rientrare in città. Un'ora fa un agente ha trovato la macchina, una jeep Cherokee. Nessuna traccia dei ragazzi.»
«Arrivo subito» dissi.
Questa volta Bertha non si era fermata, ma sapevo che aveva captato ogni singola parola della conversazione.
«Appena finito qui me ne vado anch'io» disse. «Ci penso io a inserire l'allarme, dottoressa, non si preoccupi.»
Afferrai la borsetta e uscii di corsa, in preda a una sensazione di paura.
Fino a quel momento le coppie erano quattro. Ognuna scomparsa e poi ritrovata assassinata in un raggio di settantacinque chilometri da Williamsburg.
I casi, ribattezzati dalla stampa "Omicidi per due", erano del tutto inspiegabili e nessuno sembrava in possesso del benché minimo indizio o di una teoria credibile; nemmeno l'Fbi con il suo VICAP, il Programma Verifiche Incrociate Crimini Violenti, fondato su una banca dati nazionale gestita da un computer in grado di stabilire connessioni fra omicidi in serie e cadaveri di persone scomparse non identificati. In seguito al ritrovamento della prima coppia di vittime, un paio d'anni prima, la polizia locale si era rivolta alla squadra regionale VICAP, composta fra gli altri dall'agente speciale Fbi Benton Wesley e dal veterano Pete Marino, agente investigativo della Squadra Omicidi di Richmond. Poi era scomparsa una seconda coppia, e poi un'altra, e un'altra ancora. Ogni volta, prima che il VICAP venisse informato, e prima che il Centro Nazionale Informazioni sui Crimini, o NCIC, avesse il tempo materiale di diffondere via cavo le descrizioni ai dipartimenti di polizia di tutta l'America, i giovani scomparsi erano stati ritrovati in qualche bosco, morti e in stato di decomposizione.
Spensi la radio e superai la barriera del casello, quindi accelerai imboccando la I-64 verso est. Voci e immagini mi riaffiorarono di colpo alla mente. Ossa e abiti imputriditi cosparsi di foglie. I volti belli e sorridenti dei ragazzi sulle pagine dei giornali, i famigliari sgomenti e disperati nelle interviste televisive, o all'altro capo del telefono.
«Mi dispiace moltissimo, mi creda.»
«La prego, mi dica come è morta la mia bambina! Dio, Dio, ha sofferto? Ha sofferto molto?»
«La causa della morte non è stata ancora accertata, signora Bennett. Purtroppo in questo momento non so dirle altro.»
«Cosa significa non so?»
«Tutto quel che rimane sono le sue ossa, signor Martin. E con i tessuti molli se ne vanno anche le possibili ferite...»
«Le vostre stronzate mediche non mi interessano! Voglio sapere cosa ha ucciso mio figlio! I poliziotti vengono qui e chiedono se era drogato: mio figlio non ha mai bevuto, figuriamoci se si drogava! Mi ascolta, signora? Lui è morto e quelli cercano di farlo passare per uno sballato...»
"SCONFITTA DEL MEDICO LEGALE: LA DOTTORESSA KAY SCARPETTA INCAPACE DI PRONUNCIARSI SULLE CAUSE DEL DECESSO."
Causa non identificata.
Ogni volta la stessa storia. Otto giovani vite.
Tremendo. Nella mia carriera, un fatto senza precedenti.
Ogni patologo forense ha qualche caso irrisolto, ma non me ne erano mai capitati così tanti legati fra loro. Almeno apparentemente.
Aprii il tettuccio della macchina e mi sentii rinfrancata. La temperatura sfiorava i venticinque gradi, presto le foglie avrebbero cominciato a ingiallire. Gli unici momenti dell'anno in cui non sentivo nostalgia di Miami erano l'autunno e la primavera. Le estati di Richmond erano altrettanto calde, ma mancava l'effetto benefico delle brezze oceaniche che ripulivano l'atmosfera; il tasso di umidità era altissimo, e d'inverno non mi andava meglio visto che non amo il freddo. In compenso, primavere e autunni erano eccitanti, e ogni cambio di stagione mi andava diritto alla testa, inebriandomi.
L'area di sosta della I-64 nella contea del New Kent distava esattamente quarantasette chilometri da casa mia. Assomigliava a qualunque altra area di sosta della Virginia, con tavoli per picnic, barbecue per le grigliate e botti di legno come bidoni portarifiuti, servizi igienici in mattoni, distributrici automatiche e alberelli appena piantati. Ma non un viaggiatore o un camionista in giro: solo una distesa di macchine della polizia.
Un agente, accaldato e serio nell'uniforme grigiazzurra, mi si fece incontro mentre parcheggiavo vicino ai bagni delle donne.
«Spiacente, signora» annunciò, piegandosi verso il mio finestrino. «Oggi l'area è chiusa. Purtroppo devo pregarla di continuare fino alla prossima.»
«Dottoressa Kay Scarpetta» mi identificai, spegnendo il motore. «Mi ha chiesto la polizia di venire.»
«Per quale motivo, signora?»
«Sono il capo medico legale» spiegai.
Mentre mi scrutava dalla testa ai piedi, notai lo scetticismo che gli trapelava dagli occhi. Certo non avevo l'aria del "capo": gonna di jeans stone-washed, camicia Oxford rosa e comode scarpe da passeggio in pelle. In altre parole, ero priva dei tratti distintivi dell'autorità, compresa la macchina d'ordinanza che aspettava un nuovo treno di gomme nell'officina del dipartimento. Di primo acchito sembravo forse più una yuppie stagionatella in giro per commissioni sulla sua Mercedes grigio scuro, una svagata biondo-cenere diretta al centro commerciale più vicino.
«Mi occorre un riconoscimento.»
Frugai in borsetta fino a trovare il portadocumenti nero e sottile ed esibii lo stemma in ottone di medico legale, quindi gli tesi la patente di guida e l'agente esaminò entrambi per un lungo momento. Intuivo il suo imbarazzo.
«Lasci pure qui la macchina, dottoressa Scarpetta. Quelli che cerca sono là dietro.» Fece un cenno verso l'area di parcheggio riservata a camion e autobus. «Buon divertimento» aggiunse poi stupidamente, allontanandosi.
Seguendo un vialetto di mattoni girai attorno all'edificio e passai all'ombra degli alberi, dove venni accolta da altre macchine della polizia, un carro attrezzi con luce lampeggiante e almeno una dozzina di uomini in uniforme o in borghese. Non vidi la Cherokee rossa finché non me la trovai davanti. Giaceva sul bordo della strada, nascosta dal fogliame a metà della rampa d'uscita. Si trattava di un modello a due porte, coperto da una pellicola di polvere. Lanciai un'occhiata attraverso il finestrino del guidatore e notai i lindi interni in pelle, i bagagli ordinatamente stipati sul sedile posteriore, una tavola e un rotolo di fune in nylon giallo per sci d'acqua, una borsa termica di plastica bianca e rossa. Dal blocco d'accensione pendevano ancora le chiavi. I finestrini erano abbassati, ma non completamente. Sul declivio d'erba  spiccavano i segni dei pneumatici, mentre la griglia anteriore cromata poggiava contro una macchia di giovani pini.
Marino stava parlando con un tizio magro e biondo che non conoscevo ma che mi venne presentato come Jay Morrell, della Polizia di Stato. Aveva tutta l'aria di essere il capo.
«Kay Scarpetta» dissi di mia spontanea iniziativa, visto che Marino non era riuscito a dire altro che "la dottoressa".
Morrell mi puntò addosso i suoi Ray Ban verde scuro e annuì. In abiti civili e con baffetti più simili a una peluria adolescenziale, trasudava la spavalderia professionale che, ormai automaticamente, associavo agli agenti alle prime armi.
«Questo è quanto sappiamo al momento.» Si guardava intorno con fare nervoso. «La jeep appartiene a tale Deborah Harvey, che insieme al fidanzato... Fred Cheney si è allontanata dall'abitazione dei genitori ieri sera Verso le venti. Erano diretti a Spindrift, dove gli Harvey hanno una proprietà.»
«I genitori della ragazza si trovavano a casa, quando la coppia è partita?» chiesi.
«No, signora.» Per un attimo le lenti si voltarono dalla mia parte. «I genitori si trovavano già a Spindrift, erano partiti qualche ora prima. Deborah e Fred volevano viaggiare separati perché progettavano di tornare a Richmond lunedì. Frequentavano entrambi il secondo anno all'università della Carolina, dovevano rincasare presto per prepararsi all'inizio dei corsi.»

The Butler (titolo completo The Butler di Lee Daniels ) è un film drammatico del 2013 scritto e diretto da Lee Daniels e interpretato da...

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The Butler (titolo completo The Butler di Lee Daniels ) è un film drammatico del 2013 scritto e diretto da Lee Daniels e interpretato da Forest Whitaker.

Il film è l'adattamento cinematografico dell'articolo di giornale A Butler Well Served by This Election, scritto dal giornalista Wil Haygood e pubblicato sul The Washington Post, che racconta la storia di Eugene Allen, maggiordomo della Casa Bianca per più di trent'anni. Nel film il nome del protagonista è stato cambiato in Cecil Gaines.

 

TRAMA

 

Cecil Gaines è un uomo di colore che ha lavorato come maggiordomo alla Casa Bianca dal 1957 al 1986, servendo sotto sette presidenti: Dwight D. Eisenhower, John Fitzgerald Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon, Gerald Ford, Jimmy Carter e Ronald Reagan. L'anziano Cecil è nella sala d'attesa della Casa Bianca, dove è stato convocato dal neoeletto Barack Obama che ha insistito per incontrarlo personalmente. Mentre aspetta di incontrare il primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti, Cecil ripensa alla sua vita e a tutte le difficoltà che ha dovuto superare per diventare degno di considerazione.

Nel 1926, Cecil è un bambino di sette anni che lavora con la sua famiglia in una piantagione di cotone in Georgia, dove vengono sfruttati dalla ricca famiglia bianca Westfall. Un giorno, il proprietario Thomas Westfall costringe la madre di Cecil a seguirlo nella stalla, dove viene violentata e lasciata in stato di shock. Quando esce, uccide con un colpo di pistola il padre di Cecil, che aveva osato parlargli. Cecil è in lutto per la morte del padre, quando l'anziana signora Annabeth si avvicina e decide di prenderlo come "negro di casa". A Cecil vengono insegnati i rudimenti del servizio e l'aplomb che tutti i neri sono tenuti ad avere quando entrano in contatto con padroni bianchi: per il giovane Cecil, questo significa sopportare i rimproveri di Thomas Westfall senza poter obiettare.

Arriviamo al 1937, quando Westfall viene scoperto per la sua brutalità e condannato alla sedia elettrica. Cecil ha diciotto anni e, nonostante la morte del traditore Thomas, ha preso la decisione di lasciare la tenuta di Westfall per cercare fortuna. Dopo aver reso un ultimo omaggio alla tomba del padre e salutato la madre, muta dal giorno della violenza, Cecil cammina fino a raggiungere la città. Qui, in preda alla fame, irrompe in una pasticceria, attirato dai dolci esposti in vetrina: per sua fortuna, a fare la guardia è Maynard, un uomo di colore come lui, che riesce quindi a immedesimarsi nella sua situazione e decide di assumerlo per servire i clienti bianchi. Dopo qualche anno, a Maynard viene offerta una promozione in un hotel di lusso a Washington, ma essendo troppo vecchio per un cambiamento di vita così radicale pensa di raccomandare Cecil: il giovane accetta, consapevole che avrà maggiori possibilità di costruirsi un futuro. La sua deferenza, appresa dopo molti anni di servizio, è molto apprezzata da un influente politico di Washington che decide di raccomandarlo per un incarico di maggiordomo alla Casa Bianca: il motivo principale è il fatto che Cecil ha perfettamente compreso la dottrina dei bianchi, ovvero che i neri non possono aspirare a posizioni che contano e non devono interessarsi affatto di politica. Nel frattempo, Cecil ha incontrato e successivamente sposato Gloria: insieme hanno due figli, Louis e Charlie.

Cecil inizia a prestare servizio alla Casa Bianca nel 1957, quando Eisenhower è Presidente. Cecil incontra i colleghi Carter Wilson e James Holloway, con cui condividerà gioie e dolori del lavoro per oltre trent'anni. La famiglia Gaines festeggia il traguardo raggiunto da Cecil, ma l'unico a non esserne entusiasta è il primogenito Louis: il ragazzo sta per laurearsi ed è consapevole del fatto che non potrà mai ambire a lavori importanti perché è nero. Il giorno della laurea Cecil è orgoglioso di Louis, essendo il primo della famiglia ad aver ricevuto un'istruzione, ma non vede di buon occhio la scelta del figlio di iscriversi alla Fisk University di Nashville: si tratta di un college riservato ai neri che si trova nel profondo Sud, dove il movimento segregazionista è più forte e radicato. Louis inizia infatti a trascurare gli studi perché si è unito alla Southern Christian Leadership Conference che si batte per i diritti civili dei neri. Viene conquistato da James Lawson, il leader carismatico dell'organizzazione, ma soprattutto da Carol Hammie, una studentessa di cui è innamorato e con cui condivide la battaglia che stanno affrontando. Louis e il suo gruppo intraprendono le prime iniziative di protesta pacifica, come sedersi al bancone di una tavola calda destinata ai bianchi, finché non vengono portati via con la forza dalla polizia. Per Louis arriva la prima di una lunga serie di detenzioni in carcere: Cecil è preoccupato per la strada che sta prendendo il figlio, ma il ragazzo non ha nessuna intenzione di arrendersi. L'uomo non si rende conto che nel frattempo la moglie Gloria, a cui continua a promettere che un giorno prima o poi la porterà a visitare la Casa Bianca, sta precipitando nel tunnel dell'alcolismo e si sta affezionando molto al vicino Howard.

Nel 1961, Kennedy entra in carica alla Casa Bianca. Cecil e Gloria sono sempre più preoccupati per Louis, ma il maggiordomo inizia ad apprezzare il nuovo giovane presidente che era stato descritto da Richard Nixon (vicepresidente dell'amministrazione Eisenhower e sfidante di Kennedy nella corsa alla presidenza) come un "ricco moccioso bianco". Nel frattempo, l'attivismo politico di Louis continua senza freni: lui e Carol si sono uniti ai Freedom Riders e sono stati coinvolti in incidenti con il Ku Klux Klan in Alabama. Cecil si avvicina sempre di più al presidente Kennedy, che gli annuncia che suo figlio ha avuto il merito di fargli capire l'urgenza di affrontare la questione dei diritti dei neri. Quando la polizia di Birmingham respinge i manifestanti neri con gli idranti, Kennedy annuncia in un discorso alla nazione l'introduzione di una legge chiamata Civil Rights Act contro la segregazione razziale nelle scuole e la registrazione ineguale alle elezioni. Nel 1963 Kennedy fu assassinato: prima di lasciare la Casa Bianca, la First Lady Jackie regalò a Cecil la cravatta preferita del marito.

La morte di Kennedy dà a Louis la forza di continuare la sua lotta, tanto da spingerlo ad unirsi al movimento per i diritti civili di Martin Luther King. Una volta assassinato anche lui, Louis decide di tornare a casa dopo molti anni. A cena presenta Carol alla famiglia e annuncia il loro ingresso nelle Black Panthers, una nuova fazione che ha deciso di abbandonare gli ideali di protesta pacifica per assumere atteggiamenti violenti contro l'intimidazione dei bianchi. Cecil disapprova la decisione del figlio, soprattutto perché ha interrotto i suoi studi e ha rovinato tutti i suoi sacrifici per dargli una buona istruzione. Quando Louis dice al padre che non vuole diventare un "servo negro" come lui, i due hanno una violenta discussione e Louis viene cacciato di casa dai genitori insieme a Carol. L'episodio scuote profondamente Charlie, il secondo figlio di Cecil, che decide di arruolarsi nell'esercito per combattere nella guerra del Vietnam. Louis non approva la scelta del fratello, contrario all'intervento bellico, e gli comunica che, se verrà ucciso in battaglia, non andrà al suo funerale. Purtroppo, è proprio questo il destino che attende Charlie. La sua morte, unita alla deriva sempre più violenta delle Pantere Nere, convincono Louis ad abbandonare Carol e il movimento per riprendere gli studi: il ragazzo consegue un master in scienze politiche, ma quando si reca alla Casa Bianca per dare la notizia al padre, quest'ultimo lo ignora perché non gli ha perdonato l'assenza al funerale del fratello. Il lutto familiare, tuttavia, ha l'effetto di avvicinare Cecil e Gloria: la donna promette di non bere più, ma in cambio vuole che il marito sia più presente in casa.

Nel 1980, Ronald Reagan viene eletto presidente degli Stati Uniti. La first lady Nancy prende in simpatia Cecil, tanto da invitare lui e Gloria a una serata di gala. Cecil può finalmente mantenere la promessa fatta alla moglie di portarla nel posto in cui lavora, dove per la prima volta sarà un padrone di casa e non un cameriere. Durante la cena, però, l'uomo prova un forte senso di disagio, rendendosi conto che in tutti gli anni in cui ha prestato servizio alla Casa Bianca, le differenze sociali non sono del tutto diminuite. Quando chiede al suo diretto superiore di ricevere lo stesso stipendio di un domestico bianco, gli viene detto che può andarsene se non gli piace lo stipendio: Cecil, che aveva già parlato con Reagan, risponde dicendo che è espressa richiesta del presidente che riceva un trattamento equo dato il suo lungo servizio. In televisione, Cecil scopre che Louis è entrato in politica, candidandosi al Congresso: la sera delle elezioni riceve una telefonata che lo informa che il figlio non ce l'ha fatta, dopo che Gloria gli ha confessato di aver visto Louis qualche tempo prima e che lui le aveva confidato di rispettare entrambi i genitori. Quando sente Reagan dire che non intende sostenere il movimento per la libertà dei neri in Sudafrica, Cecil prende la dolorosa decisione di dimettersi dopo trentuno anni di servizio e si riconcilia con Louis, partecipando con lui a una protesta contro l'apartheid in cui entrambi vengono arrestati e rilasciati dopo poche ore.

La vita della famiglia Gaines prosegue felicemente fino al 2008, anno in cui Barack Obama viene eletto presidente. Cecil e Gloria, molto anziani, restano in prima linea come sostenitori del candidato afroamericano, ma Gloria non potrà assistere alla sua elezione perché muore pochi mesi prima. Cecil invece guarda in televisione il discorso della vittoria di Obama insieme a Louis, che nel frattempo ha messo su famiglia ed è stato eletto al Congresso. Il nuovo presidente convoca Cecil alla Casa Bianca perché vuole incontrarlo: l'uomo può indossare con orgoglio la cravatta di Kennedy e recarsi all'appuntamento, scherzando con il maestro di cerimonia sul fatto che non ha bisogno di essere accompagnato allo Studio Ovale perché conosce la strada.

 

INTERPRETI E PERSONAGGI

 

Forest Whitaker: Cecil Gaines
Oprah Winfrey: Gloria Gaines
David Oyelowo: Louis Gaines
Cuba Gooding Jr.: Carter Wilson
Lenny Kravitz James: Holloway
John Cusack: Richard Nixon
Robin Williams: Dwight Eisenhower
James Marsden: John F. Kennedy
Alan Rickman: Ronald Reagan
Liev Schreiber: Lyndon B. Johnson
Minka Kelly: Jackie Kennedy
Jane Fonda: Nancy Reagan
Terrence Howard: Howard
Alex Pettyfer: Thomas Westfall
Vanessa Redgrave: Annabeth Westfall
Jesse Williams: Reverendo James Lawson
Elijah Kelly Charlie Gaines
Nelsan Ellis: Martin Luther King
Mariah Carey: Hattie Pearl
Dana Michelle: Gourrier nel ruolo di Helen Holloway
James DuMont: Sherman Adams
Aml Ameen: Cecil Gaines da giovane
Colin Walker: John Ehrlichman
Adriane Lennox: Gina
Yaya DaCosta: Carol Hammie
Michael Rainey: Cecil Gaines a 8 anni
Alex Manette: HR Haldeman
David Banner: Earl Gaines
Colman Domingo: Freddie Fallows
Clarence Williams III: Maynard
Stephen Rider: Stephen W. Rochon
John P. Fertitta: Jenkins
Jim Gleason: RD Warner
Mo McRae: Eldridge Huggins
Nealla Gordon: Senatore Kassebaum

 

Doppiatori italiani


Paolo Marchese: Cecil Gaines
Marco Vivio: Thomas Westfall + Stephen W. Rochon
Massimo Rossi: Richard Nixon
Carlo Valli: Dwight Eisenhower
Andrea Lavagnino: Howard
Francesco Prando: John F. Kennedy
Dario Penne: Ronald Reagan
Pino Insegno: Lyndon B. Johnson
Francesca Fiorentini: Jackie Kennedy
Maria Pia Di Meo: Nancy Reagan
Fabio Boccanera: Carter Wilson
Edoardo Stoppacciaro: Reverendo James Lawson
Paila Pavese: Annabeth Westfall
Simone Crisari: Louis Gaines
Alessandro Quarta: James Holloway
Laura Romano: Gloria Gaines
Alessandra Cassioli: Helen Holloway
Francesco Bulckaen: Martin Luther King
Roberto Stocchi: Sherman Adams
Andrea Mete: Cecil Gaines da giovane
Anna Cugini: Gina
Gabriele Patriarca: Charlie Gaines
Chiara Gioncardi: Carol Hammie
Enrico Di Troia: H.R. Aldeman
Alberto Angrisano: Earl Gaines
Roberto Draghetti: Freddie Fallows
Fabrizio Temperini: Maynard
Stefano De Sando: Jenkins
Saverio Indrio: R.D. Warner
Riccardo Niseem Onorato: Eldridge Huggins
Roberta Pellini: Senatrice Kassebaum
Graziella Polesinanti: Anziana Cliente
Oliviero Dinelli: Giudice

 

mi opinion

 

La storia americana vista attraverso gli occhi di un uomo di colore, dalla sua infanzia da schiavo alla vecchiaia da elettore del primo presidente nero degli Stati Uniti d'America; un punto di vista diverso basato su un'esperienza reale.

Una vita da maggiordomo, domestico di colore al servizio dei bianchi, che nasconde il suo vero volto ma è in prima linea in tutti gli eventi più importanti, al punto da non sapere più dove si trova, chi è, totalmente smarrito di fronte ai tanti cambiamenti e alle emozioni vissute.

Un impressionante Forrest Whitaker, accompagnato in modo eccellente - sono molti gli attori di fama coinvolti - nella sua futura interpretazione premiata per raccontare una vita intera e tutto ciò che essa implica. Molto più impressionante per le persone che sono i protagonisti della storia che per te stesso, sei in grado di vedere lo sforzo fatto, il grande compito raggiunto e l'importanza di ciò che viene raccontato; ma sempre come spettatore non coinvolto, a una distanza inevitabile la cui conseguenza è la mancanza di coinvolgimento emotivo, l'assenza di ogni possibile affinità sebbene, allo stesso tempo, impressionato da ciò che viene raccontato.

Confermi ciò che è stato venduto, dai un'occhiata alla grande campagna pubblicitaria - è un gran film -, sei d'accordo con tutti i prossimi premi che vincerà, ma lo fai razionalmente, con un pensiero consapevole, logico e deduttivo, non perché arrivi a sentire il film come tuo con passione o entusiasmo; uno spettatore che guarda ma non partecipa; osserva, contempla ma non riesce a vederlo o a viverlo in prima persona.

The-Buttler-un-Maggiordomo-alla-Casa-Bianca

  Docente universitaria e psicologa infantile, Torey Hayden è autrice di numerosi romanzi ispirati alla sua lunga esperienza di insegna...

Torey-Hayden-Una-bambina-e-gli-spettri

 

Docente universitaria e psicologa infantile, Torey Hayden è autrice di numerosi romanzi ispirati alla sua lunga esperienza di insegnamento con bambini difficili, affetti da disturbi emotivi e di apprendimento.

Ne “Il gatto meccanico” che lessi alcuni anni fa il nodo centrale era l’autismo, ne “La bambina e gli spettri” Jadie, la protagonista, manifesta un mutismo selettivo.

Attraverso il racconto documentale dei lunghi mesi di vicinanza didattica e personale in cui Torey conquista la fiducia della bambina, si fa strada l’ipotesi di possibili traumi legati a violenze psicologiche, pratiche pedopornografiche, fino a ventilare un coinvolgimento nell’ambito del satanismo.

Il libro mette a nudo le difficoltà che insegnanti e psicologi incontrano nell’interpretare i segnali di disagio e i comportamenti che sembrano ricondurre ad abusi infantili.

Chi abbia avuto a che fare con bambini in età prescolare sa quanto possa essere difficile stabilire un confine tra realtà e fantasie infantili. Anche i bambini apparentemente meno disturbati possono disorientare con racconti e giochi inquietanti ed è un attimo sospettare siano stati vittime di incontri che ne hanno turbato l’innocenza.

Questo libro non esaurisce tutte le domande, ma I bambini, del resto, spesso non sono in grado di fornire spiegazioni univoche e non contraddittorie, a volte è addirittura impossibile riuscire a farsi dare delle risposte senza turbarli ulteriormente e senza imbeccarli sulla base di idee preconcette.

La tutela del minore è certamente la prima istanza ma è altrettanto vincolante dimostrare che siano stati effettivamente perpetrati degli abusi, perchè le cause del disagio potrebbero essere di natura psichica, disfunzionale o traumatica.

In alcuni casi deve bastare il fatto di sapere di aver restituito ai bambini la possibilità di un futuro sereno.

TRAMA

Dalla città a Falls River c'erano 245 chilometri di strada, poi altri 37 fino a Pecking. Ed era tutta prateria, sconfinata, piatta, interrotta soltanto dall'interstatale. Lungo la strada sorgevano alcune città, anche se chiamarle “città” era decisamente esagerato; tuttavia quasi tutte avevano nomi promettenti: Harmony, New Marseilles, Valhalla.

Ero partita poco prima dell'alba, dopo essermi preparata un sandwich con insalata e uova sode e avere riempito un thermos di caffè; se le pessime condizioni atmosferiche di quel giorno di gennaio non mi avessero riservato spiacevoli sorprese, sarei dovuta arrivare a Pecking dopo due ore e mezzo, e cioè intorno alle otto.

Per quasi tutto il viaggio non incontrai altre macchine. All'altezza di Falls River incappai nel traffico dell'ora di punta, ma per il resto nulla turbò la quiete assoluta di quell'immenso deserto imbiancato. Una debole brezza sollevava mulinelli di neve farinosa che cancellava le tracce dei miei pneumatici con la stessa rapidità con cui si formavano, mentre nel cielo lattiginoso si intravedeva appena un sole pallido e incerto. Nell'attraversare un piccolo centro abitato, lanciai un'occhiata al corso principale; sulla facciata di un edificio c'era un display luminoso che segnalava l'ora e la temperatura: cinque gradi sotto zero.

Essendo nata e cresciuta in un paesino delle Montagne Rocciose, nel Montana, da quando mi ero trasferita in città sentivo la mancanza della natura sconfinata, selvaggia e incontaminata.

La vita di città era piacevole e stimolante, sia dal punto di vista umano che da quello professionale, ma gli spazi ristretti, la sporcizia e soprattutto il rumore mi davano un senso di oppressione insopportabile.

Di conseguenza, quella mattina di gennaio, mentre attraversavo la prateria innevata, non pensavo alla nuova vita che mi aspettava, ma respiravo a pieni polmoni la stupenda sensazione di libertà assoluta, sfrenata che quello splendido paesaggio suscitava in me. Ero scappata dalla città, ero sola in quell'immenso scenario silenzioso: il senso di liberazione che provavo rasentava l'estasi. Forse non pensavo neanche alla mia destinazione. O, per meglio dire, non osavo pensarci. Dopo quasi tre anni di lavoro alla Sandry Clinic come terapista e coordinatrice delle ricerche, un bel giorno di punto in bianco, mi ero licenziata. Il fine settimana prima di Natale, mentre sfogliavo il giornale della domenica, nella pagina degli annunci economici avevo trovato un'offerta di lavoro: una supplenza fino al termine dell'anno scolastico in una classe speciale per minorati mentali. La proposta non lasciava adito a dubbi, e io non ne ebbi: decisi subito di accettare il lavoro.

La cosa strana era che in quel periodo non stavo cercando un nuovo lavoro. Alla Sandry Clinic mi trovavo bene, avevo un ottimo rapporto con i colleghi ed ero soddisfatta anche sul piano professionale. Gestita da sette psichiatri e da un gruppo di psicologi specializzati come me, la clinica era una piccola struttura privata che sorgeva in una bella zona.

Ero stata assunta soprattutto per la mia esperienza di ricercatrice e per la mia specializzazione nel trattamento delle patologie psicologiche dei bambini affetti da disturbi del linguaggio. Avevo lavorato sodo, e non erano di certo mancati gli alti e bassi, ma ne era valsa la pena. Ero sinceramente convinta di essere felice. Niente a livello conscio mi aveva spinto ad abbandonare la grande stanza ariosa delle terapie, piena di giocattoli, i miei brillanti colleghi e lo stimolante lavoro di ricerca; nemmeno per un attimo mi era passato per la testa di rimettermi i jeans e ricominciare a strisciare sul pavimento polveroso di qualche aula scolastica per uno stipendio pari al rimborso delle spese di viaggio che percepivo alla clinica. Ma la Sirena mi aveva chiamato e io, senza pensarci due volte, avevo risposto.

Come tanti altri piccoli centri abitati che avevo attraversato durante il tragitto, anche Pecking aveva un'aria di sonnacchiosa decadenza. Le ampie strade, fiancheggiate dagli alberi, erano una testimonianza del periodo precedente all'arrivo della ferrovia e alla costruzione dell'interstatale, che adesso permetteva agli automobilisti di aggirare l'abitato.

Pecking sembrava un fantasma esangue dell'America di provincia, con il chiosco della birra A&W ancora in piedi ma abbandonato e la ragazza della Coca Coca che sorrideva con fare invitante dal manifesto sul fianco della Cassa di risparmio. Il centro non esisteva più, da quando tutti i grandi negozi si erano trasferiti nel complesso commerciale di Falls River. Resistevano ancora una banca e un emporio, un paio di bar, un'agenzia immobiliare, un distributore di benzina sulla Main Street e un negozio di selle, stivali e cappelli all'angolo con la First Street. Quasi tutte le attività si erano spostate alla periferia meridionale della città, nel tentativo di richiamare il traffico dell'interstatale. Un centro commercia le era stato costruito pochi anni prima, e consisteva di un supermercato, di un altro emporio e di un parcheggio così ampio che avrebbe potuto ospitare tutte le macchine immatricolate in un raggio di cinque miglia.

    Fondatore dei Genesis e protagonista di una carriera grande solista, Peter Gabriel è stato un innovatore, sperimentando nuovi lingu...

 

Ovoi-Peter Gabriel

 

Fondatore dei Genesis e protagonista di una carriera grande solista, Peter Gabriel è stato un innovatore, sperimentando nuovi linguaggi musicali. Centinaia di milioni di dischi venduti, sei Grammy Award con 14 nomination, cantante e polistrumentista, Gabriel è stato protagonista di un'integrazione tra rock, elettronica e musica tradizionale che lo ha portato a realizzare album che hanno lasciato un segno anche nelle successive generazioni. Nato a Chobham, poco distante da Londra, figlio di un ingegnere elettrotecnico, iniziò da adolescente la sua avventura nel mondo della musica formando nel 1966 insieme a due compagni di scuola, Tony Banks e Chris Stewart, la band Garden Wall. Il resto, come si dice, è storia

Oggi parleremos del suo album OVO

Peter Gabriel, a prima vista, non sembra proprio una rockstar. Ed in fin dei conti al mondo patinato del rock&roll non appartiene più da tantissimi anni, da quando cioè, abbandonati i suoi compagni di strada, i Genesis, diede inizio ad una brillante e fortunata carriera, come solista, cantante e autore, creando un suo personalissimo mondo di suoni. Un mondo di suoni costruito all' incrocio tra naturalismo ed elettronica, tra passato e futuro, tra comunicazione telematica e tam tam elementare. Un modo di suonare che lo ha posto all' avanguardia negli anni ottanta e novanta, in quel territorio di crossover tra culture e sistemi di comunicazione diversi, che ha cambiato radicalmente lo scenario musicale in tutto il mondo. Non solo suoni, però, ma anche parole, idee e sentimenti che lo hanno spinto ad esprimersi in maniera dura anche in politica, contro la Thatcher, a favore di Amnesty International, ma soprattutto contro l'apartheid sudafricano (Gabriel è stato uno dei primi a dedicare a Steve Biko un'intensa e bellissima canzone), e che hanno portato il musicista inglese in prima fila in molte battaglie.

OVO la storia di una famiglia che attraverso tre generazioni descrive la parabola dell’umanità.

Nel 2000 viene allestito uno spettacolo all’interno del Millennium Dome di Londra, basato sulle musiche e su un concept di Gabriel: la storia di una famiglia che attraverso tre generazioni descrive la parabola dell’umanità. Il risultato si chiama Ovo ed è un vero mappamondo musicale così pieno di spunti da fare girare la testa: rap, industrial, celtica, prog, ambient, folk, soul… Con tanti ospiti e le bellissime voci di Elizabeth Fraser e Alison Goldfrapp.

OVO è il tredicesimo album della carriera solista del musicista inglese Peter Gabriel, colonna sonora dell'omonimo spettacolo allestito all'interno del Millennium Dome di Londra nel 2000. È stato pubblicato il 29 agosto 2000.

L'album ospita vari cantanti tra cui Paul Buchanan dei Blue Nile, Neneh Cherry, Rasco, Richie Havens ed Elizabeth Fraser. Si tratta di un concept album incentrato su tre generazioni di una famiglia, che rappresentano metaforicamente la storia dell'umanità.[1]

Ne sono state pubblicate due versioni diverse: una «regolare» destinata al mercato statunitense e una «limitata» per l'Europa; quest'ultima edizione contiene un fumetto con la storia di OVO, un bonus CD con tracce aggiuntive e video tratti dallo spettacolo londinese.

Tracklist edizione limitata


"Low Light" – 6:37
"Time of the Turning" – 5:06
"Man Who Loved the Earth / The Hand That Sold Shadows" – 4:15
"Time of the Turning (Reprise)/The Weavers Reel" (Peter Gabriel / Richard Evans) – 5:37
"Father, Son" – 4:55
"Tower That Ate People" – 4:49
"Revenge" – 1:31
"White Ashes" – 2:34
"Downside-Up" – 6:04
"The Nest That Sailed the Sky" – 5:05
"Tree That Went Up" – 2:14
"Make Tomorrow" – 10:01
Tracklist bonus cd

"The Story of OVO" – 5:21

Tracklist edizione regolare

"The Story of OVO" – 5:21
"Low Light" – 6:37
"The Time of the Turning" – 5:06
"The Man Who Loved the Earth / The Hand That Sold Shadows" – 4:15
"The Time of the Turning (Reprise)/The Weaver's Reel" (Peter Gabriel / Richard Evans) – 5:37
"Father, Son" – 4:55
"The Tower That Ate People" – 4:49
"Revenge" – 1:31
"White Ashes" – 2:34
"Downside-Up" – 6:04
"The Nest That Sailed the Sky" – 5:05
"Make Tomorrow" – 10:01

Musicisti


Peter Gabriel - Voce, tastiere, percussioni, programmazione, trattamenti, produzione, arrangiamenti orchestrali
Brian Transeau
Paul Buchanan - Voce
Richard Evans - Tecnico del suono, programmazione, missaggio (1-6, 10-12), sintetizzatori (1), basso synth (2), trattamenti (3, 11), chitarra in loop (3), mandolino (3,5,12), flauto (3,5), dulcimer (3), crotali (4), battito di mani (4), basso (5), programmazione batteria (5), shaker (5), chitarra elettrica a 12 corde (10,12), chitarra acustica a 12 corde (10), chitarra elettrica (12)
Richard Chappell - Tecnico del suono, programmazione, missaggio (1-3, 7-9), trattamenti (1,4,7,9), programmazione batteria (1,3,4,7-9), loop (7), tom (7)
Manu Katché - Batteria, percussioni
Tony Levin - Basso, Chapman Stick
Hossam Ramzy
David Rhodes - Chitarra
L. Shankar - Violino
Assane Thiam
Jim Barr
Jim Couza
Sussan Deyhim
Markus Dravs
Nigel Eaton
Simon Emmerson
Kudsi Erguner
Elizabeth Fraser - Voce
Steve Gadd - Batteria
Stuart Gordon
Will Gregory
Johnny Kalsi
Ged Lynch - Percussioni
James McNally
Jocelyn Pook
Jacquie Turner
Richard Chappell
Alan Coleman
Edel Griffith
Adzido Pan African Dance Ensemble
Electra Strings

In questi ultimi giorni ho avuto modo di leggere un po' più del solito (con mia grande gioia!) e infatti questa settimana sono riuscit...

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In questi ultimi giorni ho avuto modo di leggere un po' più del solito (con mia grande gioia!) e infatti questa settimana sono riuscita a finire non uno ma ben due libri!

Il primo è quello di cui vi parlo oggi, Body of Evidence , il secondo libro della serie di gialli di Patricia Cornwell con protagonista Kay Scarpetta. La mia intenzione era di leggere questo libro il mese scorso, ma sfortunatamente ho dovuto aspettare; ma l'attesa è stata decisamente ricompensata!

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1Qualcuno sta perseguitando la scrittrice Beryl Madison. Qualcuno che la spia, osserva ogni sua mossa e fa telefonate minacciose e oscene. E una notte, inspiegabilmente, Beryl lascia entrare il suo assassino in casa sua. Così inizia l'indagine della dottoressa Kay Scarpetta su un crimine tanto subdolo quanto bizzarro. Perché Beryl ha aperto la porta? Scarpetta inizia a mettere insieme le intricate prove forensi e, mentre ripercorre i passi della giovane scrittrice, si avvicina gradualmente e inconsapevolmente a un assassino che si nasconde nell'ombra...

 

TRAMA

 

13 agosto

Key West

Caro M,

Sono passati trenta giorni di delicate sfumature di sole e venti mutevoli. Penso troppo e non dormo.

Trascorro la maggior parte dei pomeriggi sulla veranda di Louie's, scrivendo e guardando il mare. Sopra il patchwork di lingue sabbiose, l'acqua è smeraldo screziato, verde-bluastro dove si fa più scura. Il cielo è eterno, le nuvole sono volute bianche in perpetuo movimento, come fumo. Una brezza costante trasporta i suoni delle persone che nuotano e delle barche a vela che gettano l'ancora oltre le rocce. La veranda è coperta e quando arriva un temporale improvviso, come spesso accade nel tardo pomeriggio, resto al mio tavolo, annusando la pioggia e guardandola incresparsi sull'acqua come una pelliccia accarezzata contro i capelli. A volte diluvia e c'è il sole allo stesso tempo.

Nessuno mi disturba. Ormai faccio parte della famiglia del ristorante, come Zulu, il labrador nero che si tuffa in acqua per rincorrere i frisbee, e i gatti randagi che si aggirano silenziosi in cortese attesa degli avanzi. Le creature a quattro zampe di cui si prende cura Louie mangiano meglio di qualsiasi essere umano. È confortante vedere come il mondo tratti le sue creature con gentilezza. Non posso lamentarmi delle mie giornate.

Sono le notti che mi spaventano.

Quando i pensieri si insinuano di nuovo nelle oscure fessure della mia mente e tessono le loro terrificanti ragnatele, mi tuffo nelle affollate strade della città vecchia, attratta dal trambusto dei bar come una falena dalla luce. Walt e PJ hanno trasformato le mie abitudini notturne in arte. Walt torna per primo alla pensione, dopo il tramonto, perché il commercio di gioielli in argento a Mallory Square cessa non appena cala la notte. Stappiamo bottiglie di birra e aspettiamo PJ. Poi usciamo, di bar in bar, e di solito finiamo allo Sloppy Joe's. Stiamo diventando inseparabili. Spero che rimangano tali per sempre. Il loro amore non mi sembra nemmeno più fuori dall'ordinario. Niente sembra più così, tranne la morte che vedo intorno a me.

Uomini emaciati, senza vita, i loro occhi sono come finestre attraverso cui intravedo le loro anime tormentate. L'AIDS è un olocausto che brucia le offerte di questa piccola isola. È strano che mi senta a casa tra gli esiliati e i morenti. Ma potrebbero tutti sopravvivermi. Quando vado a letto la sera ascoltando il ventilatore che ronza alla finestra, vengo assalito dalle immagini di come accadrà.

Ogni volta che sento squillare il telefono, mi ricordo. Ogni volta che sento qualcuno camminare dietro di me, mi giro. Di notte guardo nell'armadio, dietro la tenda e sotto il letto, e poi spingo una sedia contro la porta.

Oddio, non voglio tornare a casa.

Beryl

30 settembre

Key West

Caro M,

ieri da Louie's, Brent è uscito sul portico per dirmi che ero ricercato al telefono. Quando sono entrato, il mio cuore batteva forte, ma ha risposto solo il gracidio interurbano, e poi la linea è caduta.

Dio, che sensazione! Mi sono detto che ero troppo paranoico. Se fosse stato lui, avrebbe detto qualcosa, si sarebbe divertito con la mia paura. Non c'è modo che sappia dove sono, non c'è modo che avrebbe potuto localizzarmi qui. Uno dei camerieri si chiama Stu. Qualche tempo fa ha rotto con un amico al nord e si è trasferito qui. Forse era lui a chiamare, e la linea era pessima. Forse sembrava che stesse chiedendo "Straw" invece di "Stu", quindi quando ho risposto ha riattaccato.

Vorrei non aver detto a nessuno il mio soprannome. Sono Beryl. Sono Straw. Ho paura.

Il libro non è finito. Ma sono quasi al verde e il tempo è cambiato. Stamattina è buio e c'è vento. Sono rimasta nella mia stanza perché se avessi provato a lavorare da Louie's le pagine sarebbero volate via in mare. I lampioni sono accesi. Le palme lottano contro il vento e le loro foglie sembrano ombrelli. Fuori dalla mia finestra il mondo geme, come se fosse ferito, e il rumore della pioggia sul vetro suggerisce che un esercito oscuro ha marciato su Key West per assediarla.

Presto me ne andrò. Mi mancherà quest'isola. Mi mancheranno PJ e Walt. Mi hanno fatto sentire accudita e protetta. Non so cosa farò quando tornerò a Richmond. Forse dovrei andarmene ora, ma non so dove.

Berillo

 

LA MIA OPINIONE

 

Innanzitutto devo ammettere che sono stata felice di aver ritrovato i personaggi che mi avevano tanto colpito nel primo libro della saga, 'Postmortem'; Kay Scarpetta, anatomopatologa conosciuta in tutto il mondo, caparbia e determinata a dare pace ai corpi che arrivano al suo tavolo e Pete Marino, il suo fedele compagno, sempre pronto a proteggerla e anche a farla (e farci) ridere a crepapelle. Una coppia che mi piace molto e che sono stata felice di aver ritrovato in questa nuova avventura.

In 'Objects of Crime' ho ritrovato anche tutti quegli elementi che mi avevano convinto leggendo il libro precedente, lo stile di scrittura della Cornwell è sempre eccezionale, riesce a catturarti alle pagine presentandoti un'indagine intrigante, scritta con assoluta fluidità, e che, forse non ti fa trattenere il fiato, ma si lascia leggere con estremo piacere.

Anche in questo caso non mancano colpi di scena, così come l'insolita soluzione, che si trova proprio dove non avresti mai pensato, il tutto ruota attorno a questo misterioso manoscritto che nessuno riesce a trovare ma che porterà diritti diretti alla soluzione? O forse sì?

Cosa aggiungere, un libro assolutamente consigliabile che avrebbe sicuramente meritato di più se non fosse stato per un piccolissimo difetto; mi è piaciuto il fatto che anche in questo caso lavoro e vita privata della protagonista siano legati attraverso il ruolo di un personaggio, in questo caso Mark Jones, ex fidanzato di Kay che all'improvviso è tornato a trovarla per un po', ma non più come prima. è strutturato. La rivelazione sul suo reale spazio all'interno della storia, infatti, mi ha sorpreso ma non mi ha convinto particolarmente.

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Postmortem è il primo romanzo di Patricia Cornwell, pubblicato nel 1990. Il romanzo segna l'inizio di un nuovo genere di narrativa ...

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Postmortem è il primo romanzo di Patricia Cornwell, pubblicato nel 1990.

Il romanzo segna l'inizio di un nuovo genere di narrativa poliziesca, dove l'indagine sulla scena del crimine e l'interrogatorio dei sospettati si uniscono all'analisi scientifica e dettagliata dei corpi delle vittime. L'eroina Kay Scarpetta, infatti, non è una detective, ma una dottoressa, capace di ricostruire il modus operandi di un serial killer dalle tracce impercettibili che lascia dietro di sé: DNA, fibre, impronte digitali. La scienza si trasforma in avventura, suspense e fascino.

Postmortem è l'unico romanzo ad aver vinto sette premi letterari americani dedicati alla narrativa poliziesca nello stesso anno: l'Edgard Award, il Creasey Award, l'Anthony Award, il Macavity Award e il Prix du Roman d'Aventure francese.

Tre donne sono state trovate brutalmente assassinate nelle loro camere da letto. La persona responsabile di questi crimini agisce sempre di sabato, all'alba, e lascia pochissimi indizi. Così, quando la dottoressa Kay Scarpetta, capo della medicina legale della città, riceve una chiamata alle 2:33 di notte, presume che sia successo qualcosa di grave: c'è una quarta vittima.

Kay Scarpetta utilizzerà gli ultimi progressi della medicina legale e dovrà vedersela con chi vuole sabotare il suo lavoro. Non piace a tutti vedere una donna nella sua posizione?

TRAMA

Venerdì 6 giugno pioveva a Richmond. L'incessante acquazzone, iniziato all'alba, aveva tagliato i gigli fino a farne cadere gli steli e sparso le foglie sull'asfalto e sui marciapiedi. Rivoli d'acqua scorrevano per le strade; pozzanghere si estendevano sui campi da gioco e sui prati. Andai a dormire con il rumore della pioggia che cadeva sul tetto di ardesia e, mentre la notte sfumava nella nebbia dell'alba di sabato, feci un sogno orribile.
Un volto livido apparve attraverso la finestra rigata dalla pioggia, lineamenti informi e inumani come quelli di una bambola con le calze di nylon. La finestra era buia quando la figura apparve, come uno spirito maligno, che sbirciava dentro. Mi svegliai e fissai l'oscurità. Solo quando il telefono squillò di nuovo capii cosa mi aveva svegliato. Trovai il ricevitore senza armeggiare.
"Dr. Scarpetta?"
"Sì." Raggiunsi l'interruttore della lampada e lo accesi.
"Sono Pete Marino. Ne abbiamo trovato un altro al 5602 di Berkley Avenue. Penso che sia meglio che venga."
Il nome della vittima, continuò, era Lori Petersen, donna, bianca, trent'anni. Suo marito aveva trovato il corpo circa mezz'ora prima.
Non servivano altri dettagli. Lo seppi nell'istante in cui presi il telefono e riconobbi la voce del sergente Marino. Forse me ne resi conto la prima volta che il telefono squillò. Chi ha paura dei lupi mannari ha paura anche della luna piena. Avevo iniziato a temere le ore tra mezzanotte e le tre, quando il venerdì diventa sabato e la città sembra sprofondare nell'incoscienza.
In circostanze normali, il medico legale di turno va sulla scena di un omicidio. Ma questo non era un omicidio come gli altri. Avevo ribadito, dopo il secondo caso, che se ci fosse stato un altro omicidio, a qualsiasi ora, avrebbero dovuto chiamarmi. A Marino l'idea non era piaciuta. Da quando ero stato nominato direttore del Virginia Commonwealth Medical Examiner's Center meno di due anni prima, mi aveva reso la vita difficile. Non ero sicuro se non gli piacessero le donne o se semplicemente non gli piacevo io.
"È a Berkley Downs, Southside", disse con tono condiscendente. "Conosci la strada?"
Confessai di non saperlo e scarabocchiai le indicazioni sul quaderno che tenevo sempre vicino al telefono. Un attimo dopo aver riattaccato, i miei piedi erano sul pavimento, l'adrenalina mi martellava i nervi come un espresso. La casa era silenziosa. Afferrai la mia valigetta nera, malconcia e consumata da anni di utilizzo.
L'aria della notte sembrava una sauna fredda, le finestre delle case vicine erano buie. Mentre facevo marcia indietro con la mia station wagon blu fuori dal vialetto, alzai lo sguardo verso la luce del portico, verso la finestra del secondo piano, quella nella camera degli ospiti. Lì dormiva Lucy, la mia nipotina di dieci anni. Ecco un altro giorno della sua vita che mi sarebbe mancato. L'avevo presa all'aeroporto mercoledì sera e da allora eravamo riusciti a mangiare insieme solo poche volte.
L'unica volta che ho incontrato traffico è stato quando sono entrato nella Parkway. Pochi minuti dopo, stavo sfrecciando verso il fiume James. I fanali posteriori delle auto davanti a me brillavano come rubini e, nello specchietto retrovisore, incombevano le sagome spettrali del centro città. Su entrambi i lati della strada, pozze di oscurità ornate da festoni di luce fangosa scorrevano via. Là fuori, da qualche parte, c'è un uomo, ho pensato. Potrebbe essere chiunque: cammina, dorme sotto un tetto, ha tutte le dita delle mani e dei piedi. Probabilmente è bianco e ha molto meno dei miei quarant'anni. È un ragazzo tipico secondo la maggior parte degli standard e probabilmente non guida una BMW, non frequenta i bar Slip o indossa i vestiti delle boutique di lusso di Main Street.
Ma d'altronde, potrebbe fare tutte queste cose. Potrebbe essere chiunque e non è nessuno. Il signor Nessuno. Il tipo di ragazzo di cui ti dimentichi dopo aver percorso venti piani di ascensore con lui.
Era l'autoproclamato signore notturno della città, un'ossessione per migliaia di persone che non aveva mai visto, così come per me. Il signor Nessuno.
Poiché i crimini erano iniziati due mesi prima, poteva essere stato rilasciato di recente dalla prigione o da un istituto psichiatrico. Almeno questo era ciò che la gente pensava la settimana prima, ma le teorie cambiavano di continuo.
La mia, d'altra parte, era rimasta invariata dall'inizio. Sospettavo fortemente che non vivesse in città da molto tempo, che avesse colpito altrove, che non avesse mai trascorso un giorno dietro le sbarre di una prigione o di un istituto psichiatrico. Non era disorganizzato, non era un dilettante e di certo non era "pazzo".
Wilshire era due semafori più in là, sulla sinistra; un altro semaforo e poi arrivò Berkley.
Riuscivo a vedere le luci rosse e blu lampeggiare a un paio di isolati di distanza. La strada di fronte al 5602 Berkley era illuminata come una scena di un disastro. Un'ambulanza, con il motore che rombava, era parcheggiata accanto a due auto della polizia senza contrassegni con le luci sul tetto lampeggianti e tre auto bianche con tutte le luci accese. La troupe del notiziario di Channel 12 era appena arrivata. Le finestre erano illuminate lungo tutta la strada e c'erano un sacco di persone in pigiama e vestaglia sui portici.
Ho parcheggiato dietro il furgone del notiziario mentre un cameraman attraversava di corsa la strada. Con la testa china, il bavero del mio impermeabile color cachi tirato sugli occhi, ho percorso velocemente il sentiero fino alla porta d'ingresso. Mi ha sempre disgustato vedermi al telegiornale della sera. Da quando sono iniziati i casi di strangolamento a Richmond, il mio ufficio era stato inondato dagli stessi giornalisti che mi chiamavano e mi ponevano le stesse domande brutali.
"Questo significa che probabilmente ce ne saranno altri come questo, dottoressa Scarpetta?"
Come se lo volessero.
"È vero, dottoressa Scarpetta, che ha trovato segni di morsi sull'ultima vittima?"
Non era vero, ma indipendentemente da come rispondessi alla domanda, avevano la meglio. Un "niente da dichiarare" li aveva portati a supporre che fosse vero. Un "no" nella prima edizione recitava: "La dottoressa Kay Scarpetta nega che siano stati trovati segni di morsi sui corpi delle vittime..." E l'assassino, che come tutti gli altri legge i giornali, potrebbe avere una nuova idea.
Gli articoli recenti sulla stampa erano pieni di dettagli orribili. Andavano ben oltre l'utile servizio di avvertire il pubblico. Le donne, soprattutto quelle che vivevano da sole, erano terrorizzate. Nella settimana successiva al terzo omicidio, le vendite di revolver e lucchetti di sicurezza erano aumentate del cinquanta percento e il canile comunale era rimasto senza cani, un fatto che, naturalmente, era finito in prima pagina. Il giorno prima, la famigerata e premiata giornalista di cronaca nera Abby Turnbull aveva dimostrato il suo coraggio entrando nel mio ufficio e attaccando il mio staff con attacchi basati sul Freedom of Information Act nel tentativo fallito di ottenere una copia del rapporto dell'autopsia.
I giornalisti di cronaca nera erano aggressivi a Richmond, una vecchia città della Virginia di 220.000 abitanti che l'anno prima aveva il secondo tasso di omicidi più alto degli Stati Uniti. Era comune per i coroner del Commonwealth britannico trascorrere un mese nel mio ufficio per saperne di più sulle ferite da arma da fuoco. Era comune per poliziotti di carriera come Pete Marino fuggire dalla follia di New York o Chicago solo per scoprire che Richmond era peggio.

OPINIONE

Un romanzo che mi ha tenuta con il fiato sospeso dal primo momento in cui l'ho letto. La personalità della protagonista è attraente, logica e il suo sviluppo nel corso del libro è coerente. Qui non ci troviamo di fronte al tipico detective della vecchia scuola, la dottoressa Escarpeta è un medico legale, che vede il mondo dal suo punto di vista medico e che ha bisogno dell'aiuto della nipote e del detective di turno. La narrazione è veloce, senza entrare troppo nei dettagli nelle descrizioni e si concentra di più sull'azione e sui monologhi analitici della dottoressa, che fanno vedere al lettore le diverse dimensioni della protagonista. Si va da un'amante, una dottoressa in procinto di perdere il lavoro, passando per un picco di stress e fragilità di fronte a un serial killer. Senza dubbio, altamente consigliato per chi vuole immergersi in questo genere e leggere qualcosa di contemporaneo.

fonte: https://blurt.blog/books/@argenvista/6yqlf8-postmortem-of-patricia-cornwell-is-the-first-novel-in-the-series-starring-forensic-doctor-kay-scarpetta

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